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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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8. Un tesoro di immenso valore
Il dì 15 febbraio 1822, mi trattenevo in cappella ad orare, come già dissi, si sollevò ad un tratto il mio spirito e da perfetta quiete fui sopraffatta. In questo tempo vidi il mio spirito che stava in un’orrida foresta, tutta intralciata di montuosi boschi e solitarie selve, che il solo vedere luogo così deserto e afflittivo intimoriva il mio cuore. La maggior pena era sentirsi in quel solitario luogo, lo strepitio ed il ruggito di molti animali feroci le cui grida facevano terrore; questi animali feroci, io ben conoscevo, erano i miei spietati nemici, che tutti congiurati contro di me, cercavano a tutti i costi di spaventarmi, perché avessi retrocesso il cammino, e non mi fossi più inoltrata.In questo solitario luogo vedevo il mio spirito tremare, ramingo, negletto, vestito di bianca e rozza tonaca, nelle mani portava un tesoro di grande valore, che cercava con ogni diligenza di custodire e mettere in salvo, mentre i miei nemici cercavano di involarlo dalle mie mani: lo vedevo dunque tutta sollecitudine affrettarsi per il dritto sentiero, per rendere sicuro questo tesoro dalle mani dei nemici. Obbligato era il mio spirito di portarlo allo scoperto e nelle proprie mani, a vista dei propri nemici, senza poter loro occultare un tesoro di s’immenso valore. Questo mi pare che voglia significare, al mio sciocco parere, che 1’anima non può occultare ai suoi nemici di amare il suo tesoro che è Dio, deve dunque portarlo allo scoperto, che come nelle mani, a fronte dei suoi nemici, e dalle loro insidie, dove l’anima, in questo penoso cammino, fidarsi puramente di Dio e con frequente ricorso pregarlo di abbreviare questo penoso cammino, che se fosse più lungo, di certo, l’anima non potrebbe reggere e andrebbe a pericolo di morire, per i gravi patimenti che, senza una grazia speciale di Dio, non si può a questa sorta di patimenti sopravvivere.Vedevo dunque il mio spirito affaticato e stanco, per il laborioso viaggio che aveva già fatto. Era ancora tutto grondante di gelido sudore, per le pene sofferte, ciò nonostante, non curando la propria fatica, affrettava il passo, camminando con molta celerità teneva sempre fisso lo sguardo nel suo amato tesoro, dubitando ad ogni passo, che dai suoi nemici non gli venisse rapito.
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