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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 64 – MI INVITÒ ALLE SUE DIVINE NOZZE
      • 2. Non la chiamare nube importuna
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2. Non la chiamare nube importuna

 

Così passai il resto della quaresima, stette il mio spirito in questa afflizione mentale per lo spazio di dieci giorni, vale a dire dal giorno 18, giovedì di passione, fino alla domenica di Resurrezione che fu il 7 di aprile 1822.

In questa giornata di gaudio e di letizia, ricevetti dal mio Dio un distinto favore, che compensò molto bene tutto quello che avevo patito e sofferto negli scorsi giorn. Oh i infinita bontà di Dio, che non si fa vincere di cortesia, ma con soprabbondanza di perfetta carità viene a compensare il mio patire, L’amor suo verso di me viepiù mi innamora e mi obbliga di fare di tutta me stessa un perpetuo sacrificio alla sua maggior gloria, abbandonandomi in tutto e per tutto al suo beneplacito.

Alla meglio che potrò e saprò, descriverò il fatto che mi seguì. Tutto ad un tratto Dio si degnò rapire il mio spirito in una maniera molto particolare e distinta, mi trovai in un istante tutta assorta in Dio.Illustrate furono in un momento le potenze dell’anima mia da un raggio di luce inaccessibile, in un istante mi trovai vicino a Dio. Oh, come si sprofondò il mio spirito nel proprio suo nulla, quanto mai si umiliò davanti al suo Dio. In questo profondo abbassamento, in cui mi ero sprofondata ed annientata per vedermi tanto vicina all’immensità di Dio, mi sentivo rapire il cuore di dolcezza di paradiso, un torrente di gaudio inondava il mio cuore, che mi faceva languire d’amore alla vista dell’oggetto amato. Ma nel tempo in cui godevo di questo grande bene, una candida nube mi privò di questa amabilissima vista. Questa candida nube venne tutta a circondare il mio spirito, in una maniera per la quale mi trovai come dentro questa medesima nube senza più vedere, né sentire cosa alcuna, priva affatto di quella bella vista che pocanzi godevo, più non vedevo quella luce suprema, nella quale io scorgevo il mio amorosissimo Dio, «Oh nube importuna, – dicevo perché dentro di me mi racchiudi? – perché mi privi dell’amabile vista del sommo mio bene?».

Ma intanto, da soave riposo fu sopraffatto il mio spirito e nell’intimo del mio cuore intanto portavo scolpita l’immagine del mio signor Gesù Cristo, al quale consacravo tutta me stessa, riposando nel suo divino beneplacito, e con amore santo e puro tutta a lui mi donavo. Nel tempo in cui stavo in questo dolce riposo, il mio Dio la nobile sua voce mi fece sentir: «Figlia», mi disse, «importuna la nube, non la chiamare, ma chiamala apportatrice dei miei più alti favori. E non ti avvedi che io, quale artefice geloso, dei miei lavori, mi servo di questa per occultare il nobile lavoro che sto facendo in te? questa serve a te da custodia e a me serve per introdurti nei più reconditi luoghi la dove io mi compiaccio di mostrare l’eccesso del mio divino amore».

A queste divine parole, il povero mio spirito si umiliò profondamente. Confessando la mia ignoranza avanti al mio Dio e umilmente gli domandai perdono piangevo ancora di tenerezza e di gratitudine, vedendomi piena di tanti demeriti e nonostante tanto favorita da Dio. A questo riflesso si accese una fiamma di carità tanto grande nel mio cuore, che non la potevo contenere, che mi faceva amare Dio con tanta purità e semplicità e vivo affetto, che non lo posso spiegare, provando nell’anima un bene vero di paradiso, che mi faceva languire di santo amore.

 




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