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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 64 – MI INVITÒ ALLE SUE DIVINE NOZZE
      • 6. Una stessa cosa con Dio
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6. Una stessa cosa con Dio

 

Proseguo il racconto.Dopo che Dio, per pura sua bontà, mi aveva così adornata, si degnò compiacersi dell’anima mia, nella sua compiacenza chiamò l’anima a sé e le donò un’agilità prodigiosa che mi rese in quell’istante capace di sollevarmi fino al cielo. Lo spirito penetrava con tanta sottigliezza, e agilità che liberamente andava al suo Dio, che fortemente la chiamava,e intimamente la toccava,con la divina sua grazia, così la sollevava e la rapiva e l’invitava alle sue divine nozze. Cosa mai dirò di questo sublime favore?

Non ho al certo termini di poterlo spiegare, per essere io ignorantissima, non ho maniera di poterlo manifestare. Con molta maggior forza tirava e sollevava Dio l’anima mia, di quello che un gran masso di calamita tiri ed unisca a sé un leggero ferro, ma l’anima mia unita al suo Dio perdeva affatto la sua proprietà, e per mezzo di trasformazione diveniva una stessa cosa con il suo Dio.

Dopo aver goduto di questo bene sommo, inarrabile ed incomprensibile, che non si può a qualunque bene paragonare, l’anima mia si ritrovò tutta raggiante di luce, e in luogo di trovarsi gli anzidetti ornamenti, si trovò che Dio l’aveva rivestita di un abito molto più bello, e gli aveva donati altri tre misteriosi segnali.

Questi erano uno scettro, che mi trovai nella sinistra mano, di una bellezza incomprensibile, nella destra mano mi trovai un bastone di comando, che io non so descrivere né paragonarlo, per essere cosa misteriosa e divina, una risplendente corona che cingeva la mia fronte; mi spiego: questi adomamenti non li vedevo nel mio corpo; ma bensì ne vedevo adorna l’anima mia, che in sembianza di leggiadra giovinetta la vedevo.

Nel vedere l’anima mia così bella e così adorna, piena di stupore mi rivolsi al mio Dio e con profonda umiltà così gli dissi: «Mio amorosissimo Dio, questi adornamenti non convengono ad una peccatrice che sono io. Io sono piena di rossore e di confusione, al riflesso dell’enorme mia ingratitudine ed iniquità; punitemi piuttosto, Dio mio, in luogo di favorirmi con tante grazie, perché queste vostre grazie, altamente mi confondono. Che voi Dio mio non lo vedete? Che voi non lo sapete che io altro non faccio che abusare delle vostre grazie, altro non faccio che oscurare la vostra gloria con tanta mia ingratitudine»? A questa verace riflessione, detti in un dirottissimo pianto, sprofondandomi nel proprio mio nulla. Ma l’infinita bontà di Dio, non volle vedermi così afflitta e addolorata in una giornata così solenne, che si era degnato di favorirmi con grazia così grande e particolare, prese dunque a consolarmi con dolci parole, e mi fece intendere quanto grande sia l’amore che porta all’anima mia, e che l’amor suo oltrepassa la mia viltà e miseria e mi rende degna dei suoi divini favori, mi spiego, ancora, quali fossero quei tre doni che aveva fatti all’anima mia, cioè lo scettro, il bastone, la corona.

Questa spiegazione la passo sotto silenzio, perché mi pare sarà molto più conveniente di farla vostra paternità reverendissima, per così risparmiarmi la canfusione di manifestare i tratti amorosi di un Dio amante di me, povera e miserabile sua creatura, che con tutta ingenuità mi confesso per la più vile creatura che abbia la terra essendo io peggiore assai di tutti i demoni dell’infermo per i miei gravissimi trascorsi, come sono ben noti a vostra paternità reverendissima

La prego dunque di non obbligarmi di fare di questi misteriosi segnali la descrizione, e questo lo domando per carità, perché troppo confondono e umiliano il povero mio spirito.

 

Questa comunicazione mi tenne assorto lo spirito per molti giorni, e il mio corpo restò tanto estenuato nelle forze che, appena potevo reggermi in piedi, mancandomi perfino la voce, e poca o niente cognizione avevo delle cose sensibili, e di tratto in tratto ero alienata dai sensi. In questa situazione stetti per lo spazio di dieci giorni, che mi ridussi pallida e smorta che pareva avessi sofferto una grave malattia.

Tanto era dolcemente chiamato il mio spirito da Dio, che il mio corpo pareva incadaverito per i continui languori d’amore che mi camunicava lo Spirito divino.

 




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