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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 65 – LE CHIAVI DEL PURGATORIO
      • 3. Voglio che quest’anima vada in paradiso
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3. Voglio che quest’anima vada in paradiso

 

Il dì 28 giugno 1822, vigilia dei gloriosi apostoli santi Pietro e Paolo, terzo giorno della suddetta mia afflizione, mi portai a fare la santa Comunione in San Carlo alle Quattro Fontane, dove vidi, dopo essermi comunicata, una lapide nuova, poco distante da dove mi ero posta in ginocchio, senza mia volontà, gli occhi in quella lapide mi si fermavano, più volevo ritirarli, viepiù la vista sulla lapide si fermava, fui dunque obbligata a leggere contro la mia volontà, e leggo: qui riposano le ceneri di Carolina Alvarez. Pensai che questa fosse una donna anziana, di vecchia età, che avesse in vita frequentato la suddetta chiesa, e per sua devozione lì stessa sepolta; formato questo pensiero, così sento dirmi con voce mesta e dolente: «Non sono vecchia come tu credi; ma sappi che sono di giovanile età, sovvengati chi io sono pure in vita mi conoscesti! leggi con attenzione che mi rammenterai». Torno a leggere con riflessione la lapide e ben conobbi esser questa la figlia del celebre scultore Alvarez che cinque anni or sono abitava incontro alla mia casa e per conseguenza questa figliola la conoscevo, sapevo ancora che era passata all’altra vita l’anno 1821, nella sua giovanile età di anni 16 o 17. Supponendo che già stesse in paradiso, così io le dissi: «Anima benedetta, che già sei in cielo, prega per me, misera peccatrice». Così mi rispose la suddetta: «Sappi che ancora sono dalla giustizia di Dio ritenuta in purgatorio, da te aspetto il suffragio e la liberazione da questo orrido carcere! La tua preghiera molto mi può giovare, impégnati per me presso l’altissimo Dio, perché io possa andarlo presto a godere per tutta l’interminabile eternità, se mi ottieni questa grazia io ti prometto di ottener grazia da Dio per Anna, tua figlia».

A queste parole intesi tutto commuovermi lo spirito, e piangendo così le risposi: «E che cosa posso farti io, anima benedetta, che sono tanto miserabile e peccatrice, che devo confessare, a mia confusione, che sono la creatura più vile della terra?». Proseguendo a piangere, non sapevo cosa dovevo fare per liberare questa anima, trovandomi tanto sprofondata nel mio proprio nulla; pensai di parlare, quella mattina medesima, al mio padre spirituale, sicché lo feci chiamare e tornai per la seconda volta in confessionario, e gli raccontai quanto mi era accaduto.

Il lodato padre, vedendomi piangere, e sentendo da me che non sapevo come fare per aiutare questa anima con voce grave così mi disse: «Fatevi coraggio che se voi conoscete di essere una peccatrice, non vi dovete smarrire per questo, avete i meriti di Gesù Cristo, in questi dovete avere tutta la fiducia. Presentatevi all’eterno Padre, chiedetegli questa grazia in nome del suo santissimo Figliolo, e per gli infiniti suoi meriti, e non abbiate paura che non solo questa anima potete liberare dal purgatorio, ma anche mille, se vuole, e andate che siete una sciocca. Io» mi disse, «vi comando che preghiate per questa anima che domani voglio che se ne vada in paradiso. Veramente siete una sciocca che non vi sapete approfittare della grazia che vi fa il Signore, ricordatevi che più volte si è degnato di consegnarvi le chiavi del purgatorio, dite dunque a Gesù Cristo che ve le ridia per scarcerare questa anima, ditegli che questo è il comando del vostro confessore, ditegli che, se gli piace vi faccia fare questa obbedienza, chiedetelo a Dio per la sua infinita carità, vedrete che non vi negherà la grazia».

Alle parole del mio padre ad altro non pensai che di puntualmente obbedirlo, col fare quanto mi aveva comandato. In quel giorno mi diedi tutto il carico di suffragare questa anima, visitando la Via Crucis ed altre preghiere e mortificazioni; pregai ancora il principe degli apostoli per essere la sua vigilia. La mattina, festa del suddetto principe san Pietro, nella santa Comunione, la quale feci in suffragio della detta anima, si concentrò il mio spirito tutto in Dio, in questo tempo così mi intesi parlare dalla suddetta, ma senza vederla: «Ti rendo infinite grazie tra poco me ne vado al paradiso, sarò sempre memore della tua carità, torno a prometterti di ottenere da Dio grazia per Anna, tua figlia, non dimenticherò i miei genitori, ai quali spero ottenere la misericordia. Pregherò ancora per il tuo padre spirituale, al quale devo la sollecita mia liberazione dal Purgatorio, per il comando che ti ha imposto».

Circa un’ora e mezza dopo viepiù si concentrò il mio spirito, e mi parve trovarmi in quell’anzidetta celletta, collocata sopra quell’altissimo monte, come già dissi. Da questa altura vidi la bella anima di Carolina Alvarez che se ne volava al cielo in mezzo ad un bello splendore di chiarissima luce; ma quello che osservai con mio stupore fu di vedere che portava un bello scapolare trinitario, tutto risplendente, con la croce rossa e turchina, lunga e larga quanto era lo scapolare. Domandai come le convenisse quel nobile segnale, mi fu risposto per essersi Dio degnato di annoverare questa anima sotto il glorioso stendardo dell’ordine Trinitario per avere il di lei padre consegnato il suo cadavere ai Padri Trinitari con molto affetto di devozione e per altri motivi che per prudenza si tacciono. Fu il mio spirito invitato a ringraziare la Santissima Trinità, per avergli compartito questo favore; finalmente si sollevò al cielo quella benedetta anima così risplendente di gloria, così ne perdetti la vista, restando nel mio cuore un giubilo di Paradiso, che mi durò un’intera giornata. Questa vista sollevò il mio spirito a contemplare l’infinita bontà di Dio e le sue infinite perfezioni, l’infinito suo amore verso di noi, poveri figli di Adamo. Si internò tanto il mio spirito in questi sentimenti, che per tre giorni continui mi tennero fuori dai propri sensi, perché ogni giorno più si accresceva in me la cognizione delle perfezioni di Dio, che l’anima fu tanto penetrata dal santo amore di Dio, che credevo di perdere la vita.

Dio mi dava tanta attività e forza d’amore, che per mezzo della sua divina grazia tanto l’anima si inoltrò, che arrivò a lottare con il santo amore di Dio.

Oh, chi sapesse spiegare questo fatto, potrebbe arrivare in qualche maniera a manifestare quanto mai sia grande l’amore che Dio porta a noi miseri mortali! Ma io sono molto ignorante, e per conseguenza insufficiente affatto di poterlo spiegare, perché mi mancano i giusti termini di poterlo manifestare, ma la povera anima mia ne prova in sé i buoni effetti, di queste divine, scienze che le vengono dettate dalla divina sapienza, per le quali viene l’anima a fare certe operazioni soprannaturali e quasi divine, per la partecipazione che Dio fa di sé all’anima. Queste operazioni sono per me del tutto nuove, per essere digiuna affatto di queste celesti dottrine.

 




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