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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 66 – PADRE AMANTE E DIO DI MAESTÀ INFINITA
      • 3. La vicenda del monaco certosino
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3. La vicenda del monaco certosino

 

Un fatto riporto, per obbedire al mio padre spirituale, che me ne ha fatto un assoluto comando. il racconto lo faccio per extensum, per essere questa l’obbedienza che mi ha imposto.

Il lodato mio padre in Gesù Cristo, nel mese di maggio del 1822 ricevette una lettera dalla Spagna, dove veniva informato da un amico che il suo fratello certosino si trovava malato di un’infermità di petto e che erano quattro mesi che guardava il letto, e per l’estrema debolezza non aveva potuto scrivere di proprio pugno, che il suddetto si era dato ad una profonda malinconia, non permettendogli le indebolite sue forze né di leggere, né di scrivere, né di recitare il divino ufficio, e che si trovava in una grande desolazione di spirito, temendo della sua eterna salute.

Il mio padre spirituale mi fece sentire la lettera, che gli aveva scritto l’amico del suo fratello certosino, mi disse di raccomandarlo al Signore, che se era in piacere della volontà di Dio l’avesse fatto guarire.

Il suddetto mio padre volle celebrare la santa Messa nel mio oratorio privato, per il suo fratello infermo, io unii al suo santo sacrificio la povera mia Comunione, il Signore, per sua bontà, mi fece intendere che il suddetto infermo sarebbe morto.Nel partire dalla mia casa, il mio padre spirituale tornò a dirmi che avessi pregato per il suo fratello, io gli risposi che non facesse speranza sopra la vita del suo fratello, perché il Signore mi pare se lo voglia portare in paradiso.

 

La notte del 28 maggio, vale a dire 25 giorni prima della morte del suddetto infermo, ecco cosa seguì nel mio spirito: stavo orando nel mio oratorio, poco dopo la mezzanotte, il mio spirito era tutto raccolto in Dio, godendo nell’intimo dell’anima un riposo, una quiete, una pace propria di paradiso, tutto ad un tratto mi parve di vedere da lungi il suddetto infermo, in una situazione molto afflittiva e dolente. Mosso il mio spirito dalla compassione, mi rivolgo al mio Dio, e con umile sentimento di carità lo prego di mandarmi a consolare, a confortare l’infermo.

Questa preghiera la feci con tanto fervore e fiducia, che il Signore, per sua bontà, mi accordò la grazia: «Va’», mi disse il mio Dio, «va’ qual mesaggera di pace. A mio nome di’ al mio servo che presto sarà con me in paradiso, per segno di questa verità io gli donerò pace, tranquillità e unione perfetta al mio divino volere, e una certa speranza di godermi per tutta l’interminabile eternità».

Ricevuta l’ambasciata, in senso molto migliore di quello che io ho saputo scrivere, attesa la mia grande ignoranza, ad un tratto mi parve di trovarmi nella camera dell’infermo, si avvicinò il mio spirito al suo piccolo letto e fece l’ambasciata, per la quale lo spirito dell’infermo esultò in Dio, e pieno di gaudio celeste fece i suoi cordiali ringraziamenti all’Altissimo; quanto grandi fossero i suoi ringraziamenti verso il suo Dio, per avergli compartita la suddetta grazia, non mi è possibile poterlo ridire.

Con il mio spirito si mostrò molto grato, per avergli portato questa consolante nuova, mi promise di raccomandarmi alla Santissima Trinità.

Ritornata in me stessa, mi trovai tutta aspersa di lacrime, per la tenerezza di questo fatto, proseguii a lodare, benedire e ringraziare il Signore di tutto l’accaduto. La mattina seguente, riflettendo a quanto era seguito nel mio spirito la notte, disprezzai questo fatto, e non ebbi coraggio di manifestarlo al mio padre spirituale, prendendo questa cosa per una alterazione della mia fantasia; come ancora tacqui il suddetto fatto, per non affliggere il mio padre per la vicina morte del suo santo fratello.

Dissi fra me stessa: «con la lettera che riceverà, lo saprà». E difatti il mio padre mi scrisse un biglietto, dove mi diceva che aveva ricevuto la lettera che il suo fratello il 12 di giugno 1822 era passato all’eternità. La lettera lo notiziava che quindici giorni prima della sua morte aveva acquistato una pace, una tranquillità imperturbabile, ed erano terminate tutte le sue desolazioni ed afflizioni, rendendo il suo spirito a Dio nella pace del Signore, aveva fatto una morte da santo.

Il mio padre spirituale, ricevuta la lettera della morte del suo fratello, all’Ave Maria, mi scrisse un biglietto secco secco, senza accennarmi, né punto né poco, la santa morte che aveva fatto il suo fratello, mi scrisse solo tre righe che tali e quali qui trascrivo:

Il mio fratello certosino il 12 morì, se si trova in purgatorio e non sorte domani alla mia messa, sarete grandemente castigata. Dio vi benedica!

Proseguo il racconto. Letto il biglietto, subito mi ritirai nel mio oratorio, chiedendo lume al Signore, acciò mi avesse fatto conoscere lo stato di questo defunto. Il Signore, per sua bontà, mi fece intendere essere di già gloriosa la sua anima in cielo.

Fu tanto forte questo sentimento, che non potei per questa anima santa fare in quella notte il minimo suffragio, nonostante il mio spirito non restava appagato di questa sola notizia, tornai a pregare il Signore e così gli dissi: «Mio Dio, a me non basta questa sola notizia, per assicurarmi della verità».

Così intesi intimamente rispondermi: «Domani mattina, alla Messa del tuo padre spirituale, ne avrai tutta la sicurezza».

Mi porto dunque la mattina in chiesa, ad ascoltare la santa Messa del suddetto mio padre. Il Signore, per sua bontà, mi diede a vedere la gloria grande che godeva l’anima di questo suo servo, ma perché il grande splendore della sua gloria il mio spirito non poteva contenere, mi diede il mio Dio a vedere il solo albore del suo splendore.

Questo bastò per farmi provare una consolazione di spirito tanto grande, che non ho termini di poterlo esprimere: il suo splendore era assai più bello di quello che sia bello il sole nello spuntar nel bel mattino, assai più, e senza paragone più bello.

Oh come tutta si ricreò la povera anima mia per mezzo di questo bello splendore, la mia mente fu sollevata da celesti pensieri, la dolcezza e la soavità inondava il mio cuore e mi faceva lodare e benedire il mio Dio, ammirando l’infinita sua bontà.

Questo bene fu durevole in me per vari giorni, mentre quando mi ponevo in orazione, ricordevole dell’accaduto fatto, tornavo a godere un bene nell’anima molto grande, che mi univa al mio Dio.

 




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