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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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2. Presto saranno con me in paradiso
Riprendo il filo del racconto. Mi trattenevo, dunque, piena di timore, avanti al divino cospetto, non sapendo cosa dovevo fare: «Va’», mi disse Dio, «presentati a quel carcere a mio nome, reca a quelle anime la consolante nuova che presto saranno con me in paradiso». In quell’istante apparvero tre santi angeli, i quali accompagnarono l’anima mia all’orrido carcere del purgatorio. L’anima mia la vedevo sotto la forma di un’ombra chiarissima, tutta risplendente di luce, si approssimò dunque l’anima a quell’orrido carcere in compagnia dei tre santi angeli, e recai, da parte di Dio, a quelle sante anime la consolante nuova della loro prossima liberazione. Non mi è possibile il ridire l’esultazione, il gaudio, la consolazione di quelle sante anime, e quanto mai grandi fossero i loro ringraziamenti e le lodi che ne resero all’infinita misericordia di Dio. Questo fatto mi seguì la mattina. Il giorno dopo il pranzo mi portai alla chiesa e stetti in orazioni più di tre ore, pregando per le anime purganti; in questo tempo il mio Dio si degnò mostrarmi il trionfo della sua misericordia verso le anime purganti. Vidi dunque quelle sante anime che a schiere, a schiere, accompagnate dai loro santi angeli custodi, gloriose e trionfanti se ne salivano al cielo. In tutti i giorni dell’ottavario, seguì lo stesso, anzi in nove giorni, perché il duomo di Marino incluse un’altra giornata di esposizione in suffragio dei fedeli defunti, sicché in nove schiere può dirsi che si spopolò il purgatorio! Vista più bella di questa non vi può essere, che dimostri più al vivo l’infinita misericordia di Dio, e il trionfo grande degli infiniti meriti del sangue preziosissimo di Gesù Cristo. La vista di questo trionfo rese il mio spirito estatico, di maniera che nei detti giorni era il mio corpo tanto alienato dai sensi, che dalla chiesa mi portavo a grande stento alla casa di mia abitazione, che restava poco distante, strascinando il mio corpo, alla meglio che potevo. Mi chiudevo subito nella mia camera, e, per quanto potevo, mi rendevo invisibile a tutti, mentre per queste interne comunicazioni il mio corpo pareva un cadavere in piedi, che faceva compassione a chi lo mirava. Supponevano le padrone di casa dove io abitavo, che mi sentissi molto male di salute, ed io lasciavo che lo credessero, così molto meglio veniva occultata la vera cagione, che mi aveva in quello stato ridotta. Nella mia camera me la passavo in orazioni, più o meno ero alienata dai sensi, il mio spirito tutto rapito ed assorto in Dio, di maniera tale che non conoscevo più di abitare il mondo.
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