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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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3. Una chiamata improvvisa
Il dì 3 febbraio 1823, la notte stava ragionando con le mie due figliole di cose indifferenti, non lasciavo intanto di soffrire le mie interne pene e le mie gravi angustie di spirito, quando improvvisamente sento un tocco interno della divina grazia, ma tanto forte e violento, che mi trasse in un subito fuori dei propri sensi, per la forte chiamata il mio corpo si levò in gelido sudore. Io non capivo il significato di questa improvvisa chiamata; in questo tempo mi sopraggiunse un forte svenimento, le figlie, avvedutesi di questo mio male, volevano adagiarmi sopra il letto, ma io le dissi: «Non posso, conducetemi al mio oratorio!». Come di fatto fecero. Una delle figlie stette un poco di tempo a vedere come io mi sentivo, essendomi avviticchiata in terra, perché non mi potevo reggere altrimenti; la suddetta mi mise una sedia, perché mi sostenesse, mi voleva portare dei cuscini, perché mi appoggiassi, ma io la ringraziai e le dissi che fosse andata pure a fare le sue incombenze, che mi avesse lasciata in libertà, che stesse quieta, che io mi sentivo bene. Obbedì la figliola, mi lasciò in libertà. Chiusa nel mio oratorio, l’anima mia se ne andò al suo Dio, che così fortemente la chiamava: «Mio amorosissimo Dio», diceva l’anima, «cosa volete da me, io non v’intendo!». In questo tempo si sopì in Dio l’anima mia, ed il Signore dolcemente così la chiamò, e la destò da quel soave sonno: «Giovanna Felice del mio cuore», mi disse, «perché tanto ti affliggi? E non vedi che il divino aiuto è nelle tue mani? Di che temi, di che paventi? Se io sono con te, chi sarà contro di te? chi ti potrà nuocere? chi ti potrà sovrastare?». A queste amabilissime parole, qual mi restassi io non so dirlo, perché in quel momento che il mio Dio si degnò manifestarsi all’anima, ad un tratto passai dalle afflizioni ad una consolazione tanto grande che non posso spiegarlo, passai dalle folte tenebre alla risplendente luce. L’anima intanto, vedendo il suo Dio, ebria di amore, con affettuose parole, così rese a parlare, umiliandosi profondamente con sommo rispetto, così gli dissi: «Mio Dio, mio Signore, padrone assoluto del cielo e della terra, mio Creatore, mio Redentore in cui credo fermamente, da cui spero tutto il mio bene, vi amo, sì, vi amo, mio Dio, mio Signore, vi amo più di me stessa, oh quanto sono contenta! oh quanto è grande la mia consolazione di avervi pur ritrovato una volta! oh quanto è stato crudo il mio esilio! Io lungi da voi? e voi lungi da me? Mio Dio, io più non vi sentivo in me, ciò nonostante mi sentivo viepiù innamorata, appassionata di voi, mio Dio, mio amore, mio tutto, il vostro santo amore ha fatto crudo scempio di me. Ah Gesù mio, non sia più così, non vi nascondete più agli occhi della mia mente, non vedete a che stato mi ha ridotto il vostro amore! Ah, Gesù mio, abbiate pietà di me, adesso che vi siete fatto da me ritrovare, non vi separate più da me: Ne permittas me separari a te». Con queste ed altre simili espressioni, che non mi dà l’animo di poterle manifestare, perché in questi casi cento e mille affetti insieme assalgono il mio cuore, perché prodotti sono dalla grazia del Signore. Lascio per um momento il mio spirito con il suo Dio, sfogando il suo ardente amore, e ricevendo dal suo amato bene i più distinti favori della sua divina carità.
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