Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
|
|
4. Lo sguardo fisso verso il finestrino
6 aprile 1823. Cartolare quarto. Riprendo il filo del racconto: passato che fu il mio spirito nell’anzidetta grave aridità e desolazione, altro conforto non avevo che tener fisso il mio sguardo in quell’anzidetto finestrino, da dove, di tratto in tratto, Dio si degnava di mandare i raggi del suo divino splendore, e così restava illustrata l’anima mia e confortata da un bene grande, che Dio si degnava comunicarmi, in mezzo a tanti patimenti, affanni e pene, proseguiva dunque l’anima il suo cammino nell’interno del monte, non ero per questo malcontenta; benché fossero grandi le pene che soffrivo ma il divino aiuto, che Dio mi compartiva, era molto grande, perciò camminavo per l’erto monte, quasi senza avvedermi del disastroso viaggio. La mattina del 17 aprile 1823, nella santa Comunione, fui esortata ad affrettare il passo, per giungere a quel surriferito finestrino, da dove doveva sortire il mio spirito, per così riprendere il suo viaggio nell’esterno del monte; a questa cognizione non poco restai sorpresa, e non mi potevo persuadere come io potessi sortire da quel piccolo finestrino, che non era che un palmo di altezza e uno di larghezza, mi pareva davvero impossibile; mi umiliavo per questa difficoltà che insorgeva nella mia mente, e confessavo la mia ignoranza, assoggettando il mio intelletto ed il mio corto intendimento all’infinita potenza di Dio, al quale niente gli si rende impossibile. Nonostante, però, ne attendevo con ammirazione il successo, difatti la cosa ben presto si avverò. Passati tre giorni dopo questa esortazione, il mio spirito trapassò il detto finestrino e si trovò in un batter d’occhi al di fuori del monte, dove mi trovai tutta circondata da immensa luce; come seguisse il fatto io non lo so, perché non me ne avvidi, per essere stato come un improvviso rapimento, che non mi diede luogo né alla cognizione né alla riflessione di quanto seguiva nell’anima mia per mezzo di questo divino favore, solo posso dire che fui accesa di un grande amore di Dio, che credevo di perdere la vita per la piena dei santi affetti, che inondavano il mio cuore, i quali affetti non potevo contenere per essere molto superiori alle mie forze, e troppo energici e sublimi al basso mio sentimento e corto mio intendimento; qual dolce strazio provò il mio cuore non posso al certo spiegarlo, credevo sicuramente che questa piena di affetti così esuberanti avessero annegato il mio cuore nel mare immenso della divina carità. Tenevo per certo che questo fuoco divino non si sarebbe in me né estinto né raffreddato, speravo al certo che i buoni effetti fossero in me permanenti; ma, oh Dio! chi lo crederebbe? questa grande piena di santi affetti che avevano non solo inondato il mio cuore, ma lo avevano del tutto annegato, non furono in me permanenti, ma durarono tanto quanto durò il favore divino, e poi ne restai priva affatto, sicché in un momento passò il mio spirito dalla luce alle tenebre, e dalla piena dei santi affetti in una penosissima aridità e gravissima desolazione; questo improvviso ed inaspettato cambiamento mise in grave timore il mio spirito, dubitavo di essere abbandonata dal mio Dio, trovandomi priva del suo divino aiuto, più non sapevo dove mi trovavo, credevo certo di essere abbandonata dal mio Signore per le tante ingratitudini da me commesse verso di lui; volevo piangere la mia sciagura e non potevo, mi volevo raccomandare al mio Dio e non lo sapevo più fare, cresceva per questo la mia angustia, trovandomi priva affatto di ogni sentimento e santo affetto, mi pareva di essere una creatura del tutto insensata; durò questo strazio così crudele per lo spazio di tre giorni. Tanto era forte questo patimento che il povero mio spirito non lo poteva più reggere, parevami perire in mezzo a tanti affanni e pene, mi assicurò di non avermi abbandonata, come io scioccamente credevo, mi promise ancora, per sua bontà, che non mi avrebbe giammai abbandonata; qual consolazione, qual gaudio di paradiso sperimentò il mio cuore a questa consolante nuova, il mio spirito esultò e, ripreso il suo vigore, ringraziò incessantemente il Signore. Ma, o Dio, appena l’anima mia aveva esultato per avere rintracciato l’amato suo, che sul momento lo tornò a perdere di vista, eccomi dunque di nuovo afflitta e dolente, per aver perduto l’unico mio bene, quale affanno, quale pena, quale smarrimento provavo in me stessa, non so al certo spiegarlo. Nel tempo di questa grave angustia, mi diede Dio a vedere il mio spirito, vidi dunque il mio spirito seduto giacente per terra, per la strada di quel vastissimo monte, stava appoggiato ad una grande e smisurata pietra, in una positura molto composta e devota, le mani giunte, gli occhi rivolti verso il cielo, l’aria del mesto suo volto dimostrava l’affanno del desolato suo cuore, per la cagione di non vedersi di appresso al suo amato Dio, girava il suo mesto sguardo or qua, or là, da ogni intorno guardava e non lo ritrovava, mandava infuocati sospiri ben lontani per ritrovarlo, ma tutto invano, piangevo amaramente la mia disavventura.
|
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
IntraText® (V89) Copyright 1996-2007 EuloTech SRL |