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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 72 – CONGIUNTA CON L’ETERNO BENE
      • 5. Vieni appresso a me
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5. Vieni appresso a me

 

In questo stato di derilizione si trattenne il mio spirito per lo spazio di 12 giorni, vale a dire dal 21 aprile fino al 3 maggio 1823.

La notte del 2 maggio mi trattenevo nel mio oratorio orando, quando improvvisamente da interna voce sento dirmi: «Prepàrati, che domani devi di nuovo intraprendere il cammino», questa nuova commosse il mio spirito in affetti santi e devoti, ma molto mi intimorì l’invito, non sapendo qual arduo viaggio dovessi intraprendere; tutto si concentrò il mio spirito, umiliandosi profondamente chiedeva aiuto al Signore, pregandolo a volermi mostrare la strada per dove dovevo camminare, supponendo di riprendere la mia croce in spalla, per così salire l’erto monte.

La mattina del 3 maggio 1823, festa dell’Invenzione della santissima Croce, ricevetti la santa Comunione con sommo raccoglimento di spirito, passai buone tre ore in questo santo raccoglimento, mai niente vedevo di quanto la notte antecedente mi era stato promesso, mai nell’ora quarta della mia orazione ad un tratto si concentrò viepiù il mio spirito, e tornai di bel nuovo a vedere il mio spirito, giacente per terra appoggiato alla detta pietra, quando in un momento da mano invisibile fu il mio spirito levato in piedi, quello che mi recò sommo stupore fu nel vederlo non più con gli abiti di prima, ma vestito da pellegrino con lo sbordone in mano, i piedi scalzi, la testa scoperta.

«Mio Dio», dicevo, «che novità è questa mai?Mio Dio, io sono altamente confusa! Degnatevi di farmi intendere questo cambiamento, questa improvvisa mutazione, invece della croce trovo nelle mie mani uno sbordone, il mio solito abito si è convertito in abito da pellegrino, che improvvisa mutazione è mai questa? datemi la grazia di comprenderla».

In tempo che stavo così perplessa né sapevo consigliare me stessa, ignorando le divine disposizioni, ecco improvvisamente uno splendore che tutta l’interna vista mi abbagliò e riempì il mio cuore di celeste dolcezza. «Ah mio Dio, mio Signore», esclamai, «ecco ai vostri santissimi piedi la vostra misera serva», ma interrotte furono le mie parole dalla sua divina presenza; mi si fece vedere l’umanità santissima di Gesù Cristo, sotto la forma di pellegrino. «Figlia», mi disse, «ti conviene camminare per questa foresta. Io ti scorterò, vieni appresso a me».

Il mio spirito ritroso nell’obbedirlo restò per qualche momento, dubitando di essere ingannato, ma non ardiva spiegarlo, allora riprese a parlare il nobile pellegrino e mi disse: «Seguimi pure, non temere di inganno, io sono la vita, la via e la verità».

A queste parole tramandò dal suo petto una splendida luce di vita eterna, che mi assicurò non esservi inganno, ma quello che mi parlava era il divino mio Redentore; a queste parole, a questo splendore, il mio spirito profondamente si umiliò, e pieno di ammirazione e di santo timore, con santa fiducia e con sommo rispetto e riverenza, intrapresi il cammino per la foresta, andando appresso al divino pellegrino, il quale dopo poco tempo mi si rese invisibile, lasciando un raggio, di luce per guida al mio spirito; scortata da questo raggio, feci il mio viaggio con molto profitto, mercé il divino aiuto. La mia ignoranza non mi permette di spiegare i santi affetti, i buoni desideri, le celesti illustrazioni, le alte cognizioni che il mio Dio, per sua bontà, mi comunicò; oh, come in questo solitario viaggio conoscevo bene la differenza, la diversità che passa fra i beni transitori di questa misera terra da quei veri beni eterni che ci promette Dio, per mezzo degli infiniti meriti del nostro divino Redentore.

Internata l’anima in queste infallibili verità formava le idee più alte, i sentimenti più puri per poterle contemplare, gustando in modo molto particolare queste eterne verità, ad onore e gloria del medesimo Dio e con somma soddisfazione e consolazione del mio spirito, aborrendo ed odiando i vani e superbi beni di questa misera terra che non sono che tristezza e afflizione di spirito.

Il camminare in questo solitario luogo altro non fu che un disporre il mio spirito a proseguire il suo viaggio al monte santo, come appresso dirò.

Il divino pellegrino, nell’invitarmi a camminare presso di lui per quella foresta, mi fece bene intendere che in questa solitudine dovevo apprendere per via di meditazioni e riflessioni molte cose appartenenti alla perfezione. In questa solitudine l’anima mia fu ammaestrata in vari modi, vale a dire, per cognizione, per illustrazione, per intelligenza. Al mio poco giudizio mi pare di conoscere che la cognizione, l’illustrazione, l’intelligenza siano tre gradi di scienza, l’uno diverso dall’altro, come ancora per gli effetti che ne ho sperimentati nel mio spirito, questi tre gradi di divina scienza mi pare ancora che siano l’uno maggiore dell’altro; salva la verità, mentre io mi protesto di essere digiuna affatto di questa dottrina, per non avere mai letto nessuno di questi libri, appartenenti a questa scienza, mi servo dunque degli effetti che ne ho sperimentato in me stessa, per spiegarmi dico così: la cognizione sollevava l’anima mia verso il suo Dio, e gli faceva conoscere le sue divine perfezioni molto da vicino, e con molta chiarezza le ravvisava per immense e incomprensibili che l’anima ne restava ammirata.

L’illustrazione, poi, infiammava la mia volontà, e così la rendeva innamorata di Dio, in guisa tale che l’anima uscì fuori di se stessa, per il grande amore che sente verso l’unico suo vero bene; la divina intelligenza somministra al mio intelletto i mezzi proporzionati per unirsi con l’amato suo Dio, nella santa unione poi, molto maggior lume acquista, e così viepiù va crescendo la fiamma della divina carità. Questo divino fuoco ha preso in me tanta possanza che mi consuma giorno e notte, che sono ridotta pelle e ossa, e sono tanto indebolita nelle forze che mi pare ogni giorno di cessare di vivere, questo pensiero però non mi funesta, ma riempie il mio cuore di giubilo, mercé la grazia di Dio, in cui ho posto tutte le mie speranze.

Tutto quello che ho detto e tutto quello che sono per dire intendo assoggettarlo al savio consiglio e parere di vostra paternità reverendissima, per quiete del mio spirito.

 




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