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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 73 – SPROFONDATA NEL MIO NULLA
      • 9. L’anima rapita in Dio
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9. L’anima rapita in Dio

 

Camminava dunque l’anima mia nel profondo della santa umiltà, quando quei celesti spiriti additarono all’anima il divino tabernacolo, che posto era sopra un altissimo monte, a questa notizia l’anima frettolosa là diresse il suo passo, portata da santi affetti, volando e non camminando si trovò l’anima vicino al divino tabernacolo, dove risiedeva il mio Dio: non posso al certo spiegare di qual tempra fossero i santi affetti e i santi desideri dell’anima, prodotti dal santo e divino amore di Dio.

Alla porta del sacro tabernacolo vi erano due incliti personaggi riccamente vestiti, la loro maestà e bellezza destava nel mio cuore venerazione e rispetto; questi due grandi principi, vedendo l’anima mia accompagnata da quella moltitudine di spiriti celesti, segnatamente dal mio santo angelo custode, che fra tutti quei beati spiriti si distingueva per la sua sovrana bellezza, per essere della gerarchia maggiore. I due principi custodi del divino tabernacolo si degnarono introdurre nel divino tabernacolo la povera anima mia. Cosa dirò mai, se mi manca la lena di proseguire il racconto? Ma la santa obbedienza mi obbliga di manifestare, alla meglio che so e posso, quanto segue nel mio spirito. Dunque, a maggior gloria di Dio, proseguo il racconto con i soliti rozzi miei termini.

La povera anima mia ebbe la sorte di adorare Dio in spirito e verità. Introdotta che fui in quel sacrosanto tabernacolo, l’anima fu rapita in Dio: tante furono le bellissime cose che vidi, tante furono le belle cose che comprese il mio spirito, per mezzo di particolare cognizione e intelligenza, che non so né posso esprimerle né ridirle, tanta fu la piena dell’illustrazione divina, che l’anima restò assorbita, medesimata in Dio.

Non ho al certo termini di spiegare con qual tenerezza di affetto Dio si degnò trattare la povera anima mia, in questo divino suo tabernacolo, non è possibile al certo di manifestarlo.

Di santo orrore era ripieno il mio cuore, fisso tenevo nella mente la mia ingratitudine, la mia infedeltà. In mezzo a tanto bene, la contrizione, il dolore di avere tanto offeso il mio Dio mi crucciava il cuore; l’amore di corrispondenza e la gratitudine da un’altra parte mi struggeva, mi si stemperava il cuore, e con lacrime abbondantissime di dolore e di gratitudine, in questa guisa si liquefaceva il mio spirito. Dio si compiaceva di vedermi in quello stato ridotta per amor suo, a sé univa l’anima intimamente, abbracciandola la stringeva al castissimo suo seno, imprimendo nell’anima affettuosi baci. Oh mia grande confusione! devo aggiungere anche di più, il mio buonissimo Dio poi si degnò di invitare la peccatrice anima mia a fare con lui il simile contraccambio.

A questo invito cresceva a dismisura il sacro orrore dell’anima, e restava fuori di se stessa per lo stupore, e viepiù si accresceva in me il lume della propria cognizione, che mi umiliava profondamente, in maniera tale che non saprei bilanciare se sia più il godere di questi divini favori o la pena che si soffre nel conoscersi immeritevole di queste grazie; la santa umiltà che Dio comparte all’anima mia in questi casi è tanto grande, che l’anima si profonda sotto i piedi degli stessi demoni, benché anche si veda favorita dall’amoroso suo Dio, perché giustamente conosce che questo non è che un tratto purissimo della sua infinita carità.

 




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