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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 74 – AFFERRAI IL BRACCIO ONNIPOTENTE DI DIO
      • 2. Dio sdegnato
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2. Dio sdegnato

 

Quando fui in questo stato ridotta, che già più non distinguevo me stessa per lo spavento, né sapevo se più abitavo la terra dei viventi, allora mi si fece vedere Dio sdegnato, minacciando un subitaneo castigo, vedevo scorrere il suo braccio onnipotente or qua or là per incendiare, per distruggere, per mezzo di fulmini dell’irritato suo sdegno, quasi tutto il mondo.

Nel vedere questo eminente e terribile castigo, che Dio voleva mandare sulla terra, la povera anima mia, benché così atterrita e spaventata, per mezzo della grazia di Dio, riunì le indebolite sue forze, e correndo appresso all’irritato braccio onnipotente di Dio, ritenendolo forte, come un tenero figlio che si stringe al braccio del suo amato padre, quando vede che sdegnato vuole punire con severo flagello i suoi discoli figli, il fanciullo fratello, mosso dalla carità e dall’amore dei suoi fratelli, benché conosca le deboli sue forze, ciò nonostante spera nella pietà del suo buon padre, in simil guisa si diportò il povero mio spirito in questa funesta occasione, ma questo paragone è assai languido per esprimere la verità del fatto.

Il mio spirito dunque riunì le poche sue forze e per mezzo della grazia del Signore, con gemiti e sospiri, gridava misericordia, piangendo dirottamente per muovere a compassione il bel cuore del mio Dio, ma tutto questo non giovava, perché il suo braccio vendicatore si fermasse, tenendo nella sua onnipotente mano cento e mille fulmini racchiusi insieme. Mossa la povera anima mia da santo zelo, per non veder patire tante anime nel fuoco eterno, mi slanciai dunque verso il divino furore di Dio, che procedeva il suo braccio onnipotente e, oltrepassando i limiti del mio proprio dovere e della mia dovuta soggezione, afferrai con le mani dell’anima il braccio onnipotente di Dio e così, tenendomi fortemente stretta ed abbracciata, facevo a lui dolce violenza, ma intanto il braccio onnipotente, preso dal suo giusto furore, scorreva con violenza qual rapido vento, per fulminare, per castigare tutto l’universo. Ciò nonostante, il mio spirito, benché fosse molto malmenato, non lasciò mai di tenere forte il braccio vendicatore di Dio, perché io non volevo che avesse scagliato quei fulmini, che teneva racchiusi nella sua mano onnipotente. La tenevo dunque fortemente stretta con quanta forza avevo, con lacrime e sospiri così gridavo: «Giustissimo giudice, avete ragione, meritiamo per i nostri peccati questo tremendo castigo, ma vi muovano a pietà i meriti infiniti del nostro divino Redentore. Mio Dio, placatevi, per Gesù Cristo vostro figliolo».

Andavo, piena di affanno, ripetendo queste ed altre simili espressioni, invocando ancora l’aiuto di Maria santissima, per ottenere la grazia, non lasciavo intanto di tenere fortemente stretta la mano onnipotente di Dio, acciò non avesse scagliato i fulmini che teneva racchiusi, stretti nella sua mano. Intanto il suo divino braccio, mosso dal suo giusto furore, scorreva per l’aria qual rapidissimo vento. Il mio spirito, benché fosse così dibattuto, che credevo propriamente di morire, per avere scorso così rapidamente per l’aria centinaia e migliaia di miglia, così portato dal braccio onnipotente di Dio, finalmente vinsi la vittoria, anzi, per meglio dire, dico che dopo di avere, per gli infiniti meriti di Gesù Cristo, espugnata la grazia, Dio, per sua infinita bontà, si degnò di cedere alla costanza della povera anima mia, Dio si degnò di farsi vincere cortesemente dalle deboli mie forze, per così magnificare la sua grandezza.

Fatta questa operazione, che al mio povero spirito costò molta fatica e strazio, sia detto tutto alla maggior gloria di Dio, e a mia somma confusione, questa operazione, fatta dalla povera anima mia, si deve tutta a Dio, perché è un sommo ardire di una poverissima creatura peccatrice come sono io, di fare violenza alla divina giustizia di un Dio di infinita maestà.

A dire il vero io non so come la cosa andasse, mi pare di certo che io spontaneamente non deliberassi di commettere un simile ardire, mentre alla sola cognizione che ebbe l’anima dello sdegno di Dio, tremavo di spavento da capo a piedi, conoscendo che anche io entro nel numero dei peccatori, e non sapevo se in quel momento Dio era per mandarmi all’inferno per i miei peccati, e per l’attentato commesso di oppormi alla sua divina giustizia, con fargli violenza, sebbene mi pareva di non essere colpevole del detto attentato, mentre io non avevo deliberato volontariamente di fare al mio Dio una simile resistenza, ma per accrescimento delle mie pene non distinguevo se la mia operazione fosse stata grata al mio Dio.

 




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