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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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2. Sopra un altro monte molto più elevato
Secondo cartolare dell’anno 1824. Il dì 29 giugno, festa dei gloriosi santi apostoli Pietro e Paolo, dopo la santissima Comunione, mi trattenni in orazioni per lo spazio di tre ore e più, senza distinguere, senza capire la propria sensazione, mentre Dio, per sua bontà, aveva come sottratto il mio spirito dal corpo, ovvero sollevato fosse il mio spirito sopra i propri sensi. In questo tempo il Signore cambiò situazione alla povera anima mia, ma prima di fare questa divina operazione, molti furono i lumi interni che si degnò compartirmi di propria cognizione di me stessa, compartendomi cognizioni ed intelligenza molto alta per conoscere l’ineffabile suo amore. Rapita l’anima da questa divina cognizione, si inabissò nel proprio suo nulla, umiliandosi profondamente, confessando l’alta bontà di questo grande ed incomprensibile Dio onnipotente, e con ogni giustizia inabissando me stessa nel profondo del mio nulla. Quando, per mezzo di questa divina illustrazione, ero così profondata ed annientata, il mio Dio si degnò manifestarsi alla povera anima mia, ed ecco il fatto come seguì. Stava l’anima in quell’anzidetto recinto sopra quel monte dove Dio l’aveva collocata, come si è già detto nei passati fogli del primo cartolare del 1824. In questo giorno piacque al mio Dio di condurmi sopra un altro monte, molto più elevato di quello di prima. Il mio spirito si trovava in quell’anzidetto monte, dentro a quel recinto bene muragliato ed impenetrabile. L’anima mia, dopo la santa Comunione, si era dolcemente sopita in Dio, dopo le anzidette cognizioni. Come in soave sonno riposavo nell’infinita bontà di Dio, quando, ad un tratto, fu destata l’anima da un armonico canto di dolcezza e di soavità ripieno. Il rimbombo dell’amabile voce in quel solitario luogo lo rendeva un vero paradiso, mi desta l’anima e fissa lo sguardo e vede aperta la porta del surriferito recinto, e con sommo suo stupore vede l’agnello immacolato. Vedo il mio Gesù, che con l’armonica sua voce invita l’anima a sortire da quel luogo ed andare presso di lui. L’anima si arresta prima di accettare l’invito, e con umile preghiera al suo Signore ricorre, per timore di essere ingannata, ma l’agnello divino bene si fa conoscere dall’anima, per quello che egli è. Assicurata dal vero, prontamente obbedisce, sorte dal recinto e se ne va presso al divino agnello, il benignissimo Signore avverte l’anima di porre il suo piede nelle sue orme divine, altrimenti, le dice, che non potrà salire sopra quell’altissimo monte. L’anima intimorita da questa istruzione divina, con somma diligenza, attenta badava di porre il suo piede sopra le orme di quel puro ed immacolato agnello, che scintillava fiamme della più pura carità, e inebriava l’anima del santo e divino amore. In questa guisa, camminando mi trovai, senza avvedermi del disastroso viaggio, sopra quell’altissimo monte. Arrivata che fu l’anima alla sommità di quello, sopraffatta da interna dolcezza, ebria di santo amore, si riposò in quella benedetta terra del santo monte, che può chiamarsi vera abitazione di Dio. Non posso al certo spiegare la bellezza, l’amenità, la soavità di questo benedetto monte. L’anima dunque, sopraffatta da un tanto bene inarrabile ed incomprensibile, dolcemente si riposò, e il divino agnello, compiacendosi di avere trasportata la povera anima mia tanto oltre, dolcemente nel seno dell’anima, graziosamente anch’esso si addormentò. Oh dolce riposo, che trasformò l’anima nel suo Signore, io non ho termini, io non ho lena di potermi spiegare; i santi affetti, l’ardente amore strettamente mi univano, mi congiungevano al mio divino Signore. Altro non dico, perché non so ridire, che cose grandi siano questi favori divini, che Dio comparte alle anime per sua infinita bontà.
Il dì 6 luglio 1824, il divino agnello pur si degnò farsi vedere, ma per mettere tutto in chiaro, alla meglio che mi sarà possibile, per mezzo della divina grazia, descriverò la situazione di questo benedetto monte. Era questo monte altissimo, amenissimo e di soavità ripieno, ai piedi di questo monte vi era un mare placidissimo, le dolcissime sue acque cristalline, spumeggianti di splendore, da dove si vedeva in prospettiva la beata magione. Benché quel beato soggiorno io lo vedevo in distanza, sotto la similitudine di un magnificentissimo fabbricato triangolare, come ho di già detto nel primo cartolare del 1824. Conosco in vero la mia ignoranza, non avendo termini sufficienti di spiegare la bellezza, la vastità, la magnificenza di queste spirituali intelligenze, o siano divine rappresentanze intellettuali, che il Signore si degna mostrarmi, nel più segreto ed intimo dell’anima mia. Ed è ben vero che non si possono alle cose sensibili paragonare, per quanto grandi e belle siano le cose che vediamo in questa terra mortale, c’è una grande diversità dalle celesti alle terrestri, dalle cose spirituali alle temporali; mi pare al certo che lo scrivere i favori e le grazie che Dio comparte alle anime, per sua infinita bontà, altro non sia che segnare al muro, con un nero carbone, la bellezza e lo splendore del sole.
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