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Scena quinta. Maria, poi Giuliano e detti.
MARIA. C'è il signor Giuliano che domanda se può entrare! (S'indugia alquanto, poi parte.)
LUCIA. Già qui! Io non assisterò a questa scena!
GIULIANO. Anzi! anzi! la pregherò di rimanere qui! (Contenuto. Lucia si avvia verso la porta a destra; Giuliano le impedisce il passo; ella lo guarda un istante in volto, poi siede, affettando calma.) Signora Giovanna; lei sa il rispetto che porto, che ho sempre portato a lei; comprenderà che deve essere una cosa molto grave che mi trascina qui, a quest'ora, in tale modo. La prego di leggere questa lettera che la sua signora figlia mi ha indirizzato quest'oggi e dirmi il suo parere. (Fruga nelle tasche e non trova subito.) Maledizione! (Poi la trova e gliela porge.)
GIOVANNA (freddamente). Se volete sedere! (Emilio premuroso porta una sedia, Giuliano vi si appoggia.) «Signore! Lei comprenderà che dopo gli avvenimenti di iersera…»
GIULIANO. Dopo le dirò quali sieno stati questi terribili avvenimenti!
GIOVANNA. Li conosco. «… dopo gli avvenimenti di iersera è impossibile ch'io rimanga ancora in casa sua. Mi rifugio…»
GIULIANO. Precisamente «rifugio». Le venne già raccontato tutto? Tanto meglio!
GIOVANNA. «Mi rifugio presso mia madre. Suppongo che Lei troverà giustificatissimo il mio procedere. Le comunico contemporaneamente che scrissi già al signor Chelmi per riavere il posto ch'ebbi il torto d'abbandonare. Lucia.»
GIULIANO. Ebbene? Che gliene sembra?
GIOVANNA. È forte! Ma ritorniamo agli avvenimenti, come li chiamate, di iersera. Per trascinare un uomo come voi ad atti da persona poco pulita…
GIULIANO (con esaltazione). Ma signora! Se lei crede a tutto quello che sua figlia le racconta, darà naturalmente torto a me. Le ha raccontato ch'io l'ho bastonata?
GIOVANNA. No! Lucia fu esatta! Lei la prese per le spalle e la costrinse a sedere.
GIULIANO. Costrinse! costrinse! La feci sedere! La presi per le spalle? Le appoggiai le mani sulle spalle! Per farla sedere era necessario così.
GIOVANNA. Ma perché? perché…?
GIULIANO (un breve istante imbarazzato, poi scaldandosi). Perché? Ecco! Quando un uomo viene a casa… viene a casa… dopo ore, ore, ore di un lavoro uggioso… ecco! egli non ha voglia di parlare. Che cosa avrebbe da dire? Uggiarla e uggiarsi ancora parlando dei suoi lavori? E poi si ha un gruppo qui (indicandosi la gola) un gruppo formato dalla fatica, dalla noia, dall'ira. (Riposandosi.) Si viene dunque a casa. Il desiderio, naturalmente, sarebbe di sedersi là e rimanere quieto, senza pensieri, senza movimento. Si vorrebbe poi vedere attorno a sé tutt'altra cosa di quella che si vide durante la giornata. Dunque, non musoni. Si vorrebbe non sentirsi rimproverato il proprio malumore, la taciturnità, tutto ciò ch'è tanto naturale in certi uomini. Si vorrebbe…
LUCIA. Aveva detto io qualche cosa?
GIULIANO (senza abbadarle, rivolto a Giovanna). Occorre parlare per offendere? Vi sono silenzi che offendono più che una parola od un atto offensivo. La signora…, vedendomi di malumore, per punirmi…
LUCIA. Per punirvi? (Sorpresa.)
GIULIANO. Sì! Io le dissi: Rimani qui. Ma no, ella volle allontanarsi!
LUCIA. Chi poteva pensare che la mia presenza vi premesse tanto? Mi diceste con tanta indifferenza: Rimani qui. Io aveva da fare e mi sedetti al telaio.
GIULIANO (sempre parlando a Giovanna). Le assicuro, signora, ch'io la osservai attentamente. Al telaio ella non aveva nulla da fare, o almeno non fece nulla.
GIULIANO. Tutto questo mi sembra adesso, del resto, molto secondario in confronto a quella lettera.
GIOVANNA. Vi scusate tanto bene voi che potrete anche trovare delle ragioni per iscusare mia figlia, che, lo confesso, fece un atto poco pensato.
LUCIA. Io non ho bisogno di venir scusata; io potrei forse scusare.
EMILIO. Ma Lucia, vedi pure che lui è pronto a far pace?
GIULIANO. Far pace? Io? Con mia moglie? Io sono venuto qui per tutt'altra cosa. Io venni per domandare semplicemente a mia moglie: (si rivolge a Lucia e gridando) Vuoi ritornare in casa mia senz'altre moine, senz'altre discussioni?
GIULIANO. No? No? Veramente, no? Allora non c'è più nulla da aggiungere. Io posso andarmene. (Si volge verso la porta, poi ritorna.) Rammentati però di aver pronunciato questo no e come lo hai pronunciato; rammentatelo acciocché non ti desti meraviglia tutto quello che ne seguirà.
GIOVANNA. Ve ne prego, Giuliano, calmatevi. Si trattava realmente di far la pace, dopo una disputa provocata per torti d'ambidue. D'ambidue, lo ammetto, e non era quello il modo di proporla questa pace.
GIULIANO. Eh! via! finiamola con questa pace che mi rammenta la prima fanciullezza. Non siamo ragazzi qui. Qui vi sono delle persone che hanno diritti e persone che hanno doveri. Ognuno rimanga dalla sua parte. Chi ha diritti, li esiga, chi ha doveri li compia. Ma il mio diritto io non l'intendo come voi forse ritenete. Io non moverò un capello per costringere la signora a ritornare in casa sua. Giacché vuole rimanere, rimanga, giacché volete trattenerla e abbiatela dunque, godetevela; di lei io ne ho fin qua (indica la gola).
LUCIA (con le lagrime agli occhi). Potevate dirmelo prima. Adesso capisco perché mi maltrattavate.
GIULIANO. Ho piacere che lo sappiate. Buon giorno. (Via, Matilde lo segue.)
EMILIO. Ora siamo conciati per le feste.
GIOVANNA. È orribile! Io non lo vidi mai in tale stato.
LUCIA. E adesso, dovessi morire, in quella casa non rimetto più piede.
GIULIANO (rientra con Matilde che gli parla sottovoce, in atto supplichevole). Ah! Ah! Ah! Questa è buona! Ma io non posso, cara signora! proprio non posso. Dica al suo signor marito che paghi oggi. Del resto ha tempo fino a dopopranzo alle quattro! Io non posso che dargli buoni consigli! Anche per la cambialetta che scade dopodomani, provveda! Io non posso conceder dilazioni. Volentieri, ma non posso, cara signora! Ah! Ah! Ah! (Via, dopo aver dato un'occhiata a Lucia.)
MATILDE (piange). Vedi, Lucia, siam gente rovinata.
LUCIA (piangendo ella pure). Darei la vita per salvarvi. Ma hai pur veduto tu stessa! È un uomo col quale si possa vivere?
GIOVANNA. Che cosa gli hai chiesto?
MATILDE. Arturo sarà dispiacente che l'abbiate appreso. È stato Giuliano che è rientrato per raccontarvi tutto. Arturo gli deve del denaro. Oggi scade una sua cambiale di trecento fiorini e mi pregò di chiedere a Giuliano una dilazione, perché credo che non li abbia.
MATILDE (mesta). Adesso ricomincia per me la bella esistenza! Mio marito riavrà le angosce di una volta nel dover far nuovi debiti per pagare i vecchi, nel dover pregare e scongiurare a destra e a sinistra. Addio buon umore in famiglia!
GIOVANNA. Per questi trecento fiorini?
MATILDE. Non sono soltanto questi. Questo mese scadono ancor due altre cambiali simili.
GIOVANNA (pensierosa). Questo è male, è molto male!
EMILIO. E voi, finora, non vedete che una piccola parte dei mali che ci toccheranno dall'ira di Giuliano. Non sapete tutto il male che ci può fare.
LUCIA (appassionatamente). Oh! vorrei che tutto questo male avesse da toccare a me; non cederei, come del resto non cederò, in nessun caso. È dunque inutile che mi piangiate d'attorno.
MATILDE (con disprezzo). Adesso sarebbe inutile tornare indietro. Giuliano non è un ragazzo che lasci giuocare con sé. Adesso il male è fatto. (S'avvia.)