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LE TEORIE DEL CONTE ALBERTO (Scherzo drammatico in due atti). ATTO PRIMO. Scena sesta. Alberto e Lorenzo. |
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Scena sesta. Alberto e Lorenzo.
ALBERTO. Benedetta colei che in te s'incinse.
LORENZO. Dunque?
ALBERTO. Ah! Lorenzo! Lorenzo! Se avessi un microscopio onde riporla tutta sotto.
LORENZO. Per che farne?
ALBERTO. Onde centuplicarla!
ALBERTO. Intanto voglio quanto c'è! Te la domando ufficialmente in sposa. Non ho alcun parente che potesse farlo per me. Qui nemmeno amici più intimi. Scusami se non è fatto con tutte le formole dell'etichetta ma è fatto con tutto il cuore.
LORENZO. Io non ci ho nulla in contrario. Ma però una domanda! Da quanto tempo conosci la mia pupilla?
LORENZO. E sei già tanto sicuro di lei, di te, da legarti per tutta la vita.
ALBERTO. Sicurissimo! Sono stati trenta giorni bene impiegati. Non sono mica un ragazzo! Con tutto l'amore che ho qui (mostra il cuore) qui (tocca la fronte) è tutto freddo, tranquillo; io penso come pensai sempre dinanzi a tutte le manifestazioni della vita. Ho calcolato tutto con tanta freddezza come se il caso non fosse mio.
LORENZO. Davvero che non parrebbe. Io, ecco, non vorrei prestarmi ad un passo inconsiderato che potrebbe riuscir fatale a te ed anche ad Anna.
ALBERTO. Ad Anna? In quale modo?
LORENZO. Se tu ti pentissi Anna non sarebbe la più felice delle donne.
ALBERTO. Credi alla mia parola di onore? Ebbene, ti dò la mia parola di onore che dacché ho il lume di ragione qui entro (mostra la fronte) non mi sono mai pentito.
LORENZO. Perché accettavi i fatti compiuti con la rassegnazione di uomo educato.
ALBERTO. No, ma semplicemente perché dei fatti da me compiuti non c'era mai da pentirsi.
LORENZO. Ah!
LORENZO. Tu che sei naturalista dovresti sapere che questa qualità di cui ti vanti è propria soltanto alle bestie che sono perfette ed infallibili.
ALBERTO. Io non pretendo di essere infallibile ma è un fatto che nelle principali occasioni della mia vita quando precisamente si trattava di decidere di cose importanti decisive io ho dimostrato una chiaroveggenza incredibile. Guarda persino in tenerissima età. Sono nato a Dresda. Dodicenne ero debole tanto che si temeva per la mia vita. Un dottore ordinò di condurmi in clima più mite e mia madre della quale io era l'unico amore mi condusse a Sorrento. In un anno mi fortificai tanto che si pensava di ricondurmi in patria. Ma io no! Non so se fosse gratitudine alla terra che mi aveva donata la salute o più semplicemente un istinto prodotto dall'organismo che si riposava in clima a lui adatto rifiutai e tanto tenacemente che costrinsi mia madre a rinunziare alla sua patria e rimanere in Italia con me. Non so se feci male ma se allora era cieco oggi lo sono di più e ciò che feci fanciullo rifarei uomo. Sta poi a sentire come quanto sono lo debba a me solo. Ero ricco e avrei potuto vivere senza far nulla. Ma no. Mi ricordo ancora le idee che si svolgevano allora nella mente del fanciullo malaticcio. Erano tutte giuste, precise, ora le saprei formulare meglio ma non con più tenacia porle ad esecuzione. In quella volta decisi di dedicarmi agli studi; la vera felicità della vita; in quella volta decisi di dedicarmi allo studio della scienza naturale, l'unico vero studio. Tutte scelte fatte che in modo più giudizioso ora non saprei.
LORENZO. E l'istinto del ragazzo passò all’uomo?
ALBERTO. Più raffinato e più cauto.
LORENZO. E… scusa (ridendo.) la presunzione l'hai ereditata anche quella dal ragazzo?
ALBERTO. Ne ho io di presunzione? Io ti cito i fatti e le conseguenze che io ne traggo puoi trarle nel modo medesimo anche tu. Io non ti parlerò che di Anna. Era già prima felice, oh! tanto! tanto! ne avevo coscienza chiara ragionata. Ma nel medesimo tempo aveva anche coscienza che qualche cosa ancora mi mancava e che era precisamente tempo di aggiungere questo qualche cosa. Per strada persino io guardava fisso tutte le donne che incontrava. È quella che mi completerà? Uno sguardo era sufficiente a disilludermi. Avevo tanta fiducia nel mio sguardo che mi giurava che il giorno in cui l'avessi incontrata avrei saputo di averla incontrata e tanta fiducia nel mio buon destino che era certo che se io non fossi andato a lei, ella sarebbe venuta a me. Fu fortuna il primo incontro con Anna ma tutto il resto lo debbo a me stesso. Un mattino dovevo andare ad attendere un mio amico alla stazione. Sto per entrarvi quando mi ferma la vista di una figurina di donna appoggiata al pilastro della porta e che guardava verso il mare. Pareva che il caso le avesse imposta quella posizione onde la vedessi. Quello che a bella prima mi colpi fu un occhio splendido azzurro in cui brillava una gioja tranquilla, ma più gioja che tranquillità come dai bimbi quello stupore allegro che manifestano dinanzi al creato. Il volto era perfettamente ovale e c'erano le due fossette sulle guancie. Il corpo era ben cresciuto da adulta quantunque mi fece ridere l'idea venutami non so su quali dati, e giusta, che dovevano essergli stati da poco levati gli abiti da ragazzina. La mano senza guanto era piccola e paffutella e attaccata ad un polso roseo e rotondo proprio da persona buona.
LORENZO. Più da persona bella.
ALBERTO. Hai ragione buona e bella. L'istinto aveva parlato, sta ora a vedere cosa dirà la scienza pensai. Se fossi stato ancora dodicenne le sarei già allora saltato al collo; da vero uomo invece continuai ad osservare. Quasi a far strada al mio occhio la brezza denudò la fronte dai capelli, quella fronte che tu conosci magnifica con una leggerissima prominenza al di sopra del naso che lo rende concavo, cosa che osservai molto raramente in donne. Una vera corona. Era pettinata da scolara come per mio desiderio lo è ancora e le treccie legate intorno alla testa lasciavano vedere l'estremità della nuca ed indovinare i contorni di tutto il teschio. Vedi, Lorenzo, un altro al mio posto vedendo una ragazza sola avrebbe potuto malignare. Io invece indovinai subito che con quell'angolo facciale non si fa del male. Poco dopo che io l'aveva scorta sortisti tu dall'atrio. Io ti riconobbi ma non mi avvicinai temendo di seccarti. Ella si appoggiò al tuo braccio e vi avviaste. Io vi seguii calmo ma ancora cercando un piano onde potermi avvicinare. Oh! tu non sai il male che mi faceste decidendo tutto ad un tratto di salire in una carrozza di piazza. Di altre carrozze non ce n'erano lì attorno ed io poco abituato a correre diffidava delle mie forze. Pure, preso il cappello in mano onde non perderlo, mi vi ci misi ed ebbi fortuna perché il vostro ronzino quantunque per tale specie di cavalli avesse un passo assolutamente rapido, aveva la strana abitudine di esitare un momento prima di voltare strada, abitudine che io non ho. Per mia sfortuna vidi in quell'istante una carrozza. Vi saltai dentro ordinando di seguire quell'altra. Quell'asino di cocchiere mi lasciò un istante fare. Non aveva udito le mie parole e pensava: poi scese lentamente, aprì la porta con qualche stento e chiese: Dove ho da andare? Ti racconto tutto ciò per dimostrarti con quale rapidità io riconosca l'importanza delle cose e che non fu mia colpa se non mi presentai subito. Alla sera appresi che tu eri partito. Non mi scoraggiai. Andai da Guglielmo al quale chiesi con arte, chi poteva essere una giovinetta che vidi con te; mi disse essere tua pupilla e che certo Chieti la conosceva. Mi feci prima presentare a questo Chieti e lo costrinsi quasi a condurmi qui. Doveva fare una triste figura agli occhi di tutta questa gente, ma che m'importava? Io correva dietro alla mia felicità!
ALBERTO. Matto! matto! ma un matto che calcola, calcola, calcola, e di più calcola bene.
LORENZO. Ma una volta sbagliasti!
ALBERTO. Quasi! Alludi alla contessina Armeni! Anzitutto io con essa non era giunto al punto a cui sono con Anna. Poi è stato una scoperta che naturalmente ha fatto cessare tutto. Mi affido alla tua discrezione. Figurati che ho scoperto nient'altro che la contessa Armeni era una poco di buono.
LORENZO. Ah! e per questo?
ALBERTO. Ti meraviglia?
LORENZO. Io ti credeva più spregiudicato! Hai timore delle dicerie del mondo! (Imbarazzato.)
ALBERTO. Che mondo! Pregiudizi non ho e del parere degli altri non mi curo. Ma uso nella vita della scienza e questa mi dà la legge dell'eredità; il metodo più sicuro per conoscere il carattere di un individuo è di raccogliere i dati che posso avere intorno al carattere dei genitori. (Simulando un brivido.) Brrr. Prima il brutto carattere trasfuso nel sangue, della madre stessa, poi l'aggiunta del carattere di non so chi…
LORENZO. E tu conosci i genitori di Anna?
ALBERTO. Se li conosco? So intanto che non hanno fatto nulla di male.
ALBERTO. Uuh! la fama me lo avrebbe riportato.
LORENZO. Naturalmente nel tuo gabinetto di chimica si sa tutto ciò che accade.
ALBERTO. Insomma tu sai qualche cosa di male? Io spero dalla tua franchezza che non mi nasconderesti nulla. Io debbo dirtelo: Se dopo legatomi apprendessi per esempio che la madre di Anna ha mancato ai suoi doveri, io non dormirei più le mie notti tranquille. Al dover supporre in essa qualche difetto che ancora non avesse avuto agio a manifestarsi ma che per natura, per destino, dovrebbe comparire in essa o nei miei figliuoli a guastarmi la gioja della vita, io sarei infelicissimo.
LORENZO. Così che se io ti raccontassi di qualche colpa dei suoi genitori tu l'abbandoneresti?
ALBERTO. Oh! ma tu non lo puoi! Anna proviene da un tronco sano! Non può essere altrimenti.
LORENZO. Ma tu la abbandoneresti?
ALBERTO. Non ho precisamente per questo abbandonato la contessina Armeni?
LORENZO. Allora esci da questa casa!
ALBERTO (spaventato). Lorenzo!
LORENZO. Povera la mia Anna! Oh! perché sono partito? Perché sono partito? Io subito te lo avrei raccontato ed avrei evitato questa onta! Ma a che cosa ti serve dunque la tua scienza tanto vantata se altri deve a forza aprirti gli occhi?
ALBERTO. Sarebbe ora che tu parlassi sai. Cosa mi dicono tutte queste esclamazioni? La signora Termigli dunque…
LORENZO (con violenza). No, la signora Termigli non c'entra. Ma credi che io vorrò gettare l'onta su una famiglia confidando i suoi segreti a te, ora null'altro che un estraneo per essa?
ALBERTO. No, un estraneo non sono. Questi segreti che hanno da separare Anna da me mi appartengono, io li debbo conoscere.
LORENZO. Oh! Mai più!
ALBERTO. Ma che ne sai tu se sono tali da indurmi ad abbandonarla?
LORENZO (dopo un istante di esitazione). Il padre di Anna si suicidò in carcere.
ALBERTO. E per quale delitto vi fu posto?
LORENZO. Era commerciante e… fallì.
LORENZO. Non aveva i suoi libri in regola.
ALBERTO. Oh! ma in allora! È una disgrazia e sarebbe meglio che non fosse avvenuta ma (ridendo) vedi che hai fatto bene a raccontarmela perché non varrà certamente a nuocere ai miei rapporti con Anna. Sono poveri, nevvero?
LORENZO. Non posseggono nulla!
ALBERTO (stropicciandosi le mani). Fallire e rimanere povero e per di più suicidarsi dimostra carattere puro, anzi. Mi avevi però fatto prendere una bella paura.
LORENZO. Ma il padre di Anna si rovinò col giuoco!
ALBERTO. Non è passione ereditaria e se mia moglie l'avrà (ridendo) giuocheremo la cricca chioggiotta.