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Scena seconda. Alfonso Bertet e Silvio.
SILVIO (all'udire il fischio s'è gettato a sedere in un atteggiamento di tristezza). Mia moglie! Finalmente!
ALFONSO (uomo di media età, vestito da persona che poco bada alle forme esteriori, cappello a cencio che non leva. Si ferma alla porta a contemplare Silvio che non lo guarda). L'uno fischia e l'altro piange. Che ci sia relazione fra le due azioni? (Ad alta voce.) Buon giorno.
SILVIO (stupito). Tu? Sei tu? (Riprendendosi.) Finalmente, amico mio! Ti sei deciso di frammetterti per regolare una storia che getta tale disordine nella nostra famiglia?
ALFONSO (molto freddo). Sì! Sono venuto precisamente a questo scopo.
SILVIO. Ebbene! Siedi! Che cosa vuole dunque mia moglie da me?
ALFONSO. Non lo sai ancora? Essa vuole che tu confessi. Non domanda altro.
SILVIO. Si è data mai tortura maggiore della mia? Che cosa vuole essa ch'io confessi quando sono innocente?
ALFONSO (seccato). Uff! (Calmo.) Mia sorella non ha quest'opinione. Sai! Noialtri Bertet non siamo letterati come te ma una certa dose di buon senso ce l'abbiamo anche noi.
SILVIO. È però la vera pratica della vita ch'io dico vi manchi, non il buon senso. Il buon senso! È il senso comune, il senso volgare, stupido, basato sulla conoscenza di certe leggi costanti che poi non s'avverano che raramente. A voi manca l'immaginazione per vedere e capire come le più varie circostanze campate in aria ai quattro poli possano riunirsi e cadere in dato luogo e in un dato tempo sulla testa di un disgraziato per schiacciarlo.
ALFONSO. Di' pure la parola: Un cumulo di circostanze. È parola bellissima e l'hai impiegata varie volte con mia sorella. Ne abbiamo riso abbastanza. Cioè per parlare esattamente sono stato io a ridere di quella parola; mia sorella ne piange. Piange non soltanto delle circostanze ma anche del cumulo. Non soltanto mi tradisce - essa dice - ma mi disprezza ritenendomi tanto sciocca da potermi far credere una cosa simile. Vediamo caro amico! Mia sorella entra in una stanza e ti trova in letto con una donna. Nella stanza una dolce semioscurità; le finestre ermeticamente chiuse ma la porta aperta. Tu dici che basta il fatto di quella porta aperta a provare la tua innocenza. Noi Bertet crediamo invece che certi uomini in certi momenti dimentichino di chiudere quello che veramente andrebbe chiuso. Sta bene! Tu ti sei gettato per caso, per una stanchezza fisica e morale che noi Bertet diciamo invece immorale su un letto ove c'era una donna. Come va che questa donna non si sorprese affatto di vederti nel letto ove essa dormiva?
SILVIO. Se dormiva non poteva sorprendersi.
ALFONSO (accalorandosi). Ma per non destarla tu devi essere entrato in quella stanza sulla punta dei piedi, devi aver badato di non far cigolare la porta…
SILVIO. Infatti non cigolò! (Sorpreso.) Doveva essere stata unta di fresco.
ALFONSO. A mia sorella parve anche di aver visto che la testa della donna poggiasse su un tuo braccio.
SILVIO. È un'invenzione cotesta. Questo poi mi meraviglia di Fanny.
ALFONSO. Essa disse: «Mi parve.» È onesta! Se ne fosse certa, allora, credo, non avrebbe neppure il bisogno di avere la tua confessione.
SILVIO. Credo io! Come potrei negare allora?
ALFONSO. Oh! Tu potresti negare ancora! Che cosa proverebbe quella testa sul tuo braccio? Semplicemente che certo fosti tu ad entrare per primo in quella stanza e che fu la donna tanto smemorata da gettarsi su quel letto quando tu c'eri già addormentato. Figurati quale sorpresa al tuo ridestarti di scoprire quella donna che al tuo arrivo sicuramente non c'era stata. (Ridono ambedue.)
SILVIO. Hai della fantasia tu.
ALFONSO. Ho rimorso di aver riso di cosa tanto triste. Ho torto di discutere le tue bugie. Sono tanto piramidali che non si possono discutere.
SILVIO. Già! tu sei mio nemico.
ALFONSO. Non crederlo. Non siamo amici perché tu, il tuo carattere e la tua immaginazione mi sono avverse. Però siamo alleati naturali. Infatti che cosa ne faccio io di mia sorella, io che non ho bisogno dei suoi denari? Figurati che l'ho tutto il santo giorno fra' piedi a lagnarsi di te e della sua sventura; è una bella seccatura ed anche uno scandalo. La sorpresi ieri che non trovando altri confidava le sue pene a mia figlia. Dovetti proibirle di confondere le idee a quella innocente. Fammi il piacere di riprendertela al più presto.
SILVIO. Sei un bel Tizio tu! Io vi sono dispostissimo, lo sai bene! Oh! se tu volessi aiutarmi con una sola parola! Sarebbe cosa tanto facile! Senti, Alfonso. È evidente che tu non puoi tenere in casa mia moglie. Io la conosco. Quando è gelosa dice… tutto. Poveretta quella tua figliuola; deve sentirne di grosse. Bisogna assolutamente che tu m'aiuti.
ALFONSO. Ed io sono pronto di farlo.
SILVIO. Io ti domando una cosa semplicissima. A me basta che tu dica a Fanny che sai che da molto tempo io mi trovo in cura per una grave malattia nervosa; di tutto il resto m'incarico io.
ALFONSO. Io non dico delle bugie.
SILVIO. Ed io non voglio delle bugie. Vieni con me dal dottor Cirri ed egli ti confermerà che già da tre mesi mi fa delle applicazioni elettriche.
ALFONSO. Quel dottor Cirri col quale tu passi le notti quando Fanny è ai bagni?
SILVIO. Uff! che uomo! Il dottor Cirri è mio amico ed io ti prego di non mettere in dubbio la sua onestà.
ALFONSO. Sai che tu fai a me l'impressione di un uomo corto di mente? Ti arrovelli a combinare delle bugie che in nessun caso ti potrebbero condurre allo scopo. Perché piuttosto non confessi? Siamo giusti; mia sorella ha ragione. Essa dice: Lo vedessi pentito di quanto ha fatto, volesse scusarsi e cercare di meritarsi il mio perdono. Invece mi deride. Se gli perdono - date le premesse - ricomincerà domani se non addirittura oggi. Ebbene! Io le do ragione.
SILVIO. Eh! già! tu vuoi rovinarmi!
ALFONSO. Voglio salvarti invece! Io, sai, contadino arricchito non ho che un solo grande amore a questo mondo: La verità. Essa è la grande purificatrice e pacificatrice. Io l'amo! Dove essa è passata là c'è pace, dolcezza e virtù ed ogni mio sforzo è fatto per farla entrare in casa mia.
SILVIO. Ti assicuro che anche io l'amo.
ALFONSO. Dàlle albergo in casa tua e in te stesso e vedrai come la tua vita diverrà lieta e semplice. Un altro al mio posto potrebbe domandarti non so che atti di contrizione. Io invece convincerò mia sorella di non domandarti altro che la verità. Quella sola sarà l'espressione dei tuo pentimento. E quando la dirai sarai nello stesso tempo perdonato e corretto. Confessa! Racconta tutta la tua vita passata. Più misfatti racconterai non costretto come per quest'ultimo ma di tua libera volontà e maggiore sarà la commozione di mia sorella che correrà al perdono. Ne sono certo! Di' una parola e fra pochi minuti essa sarà qui.
SILVIO (guardandolo con ammirazione). Sei un grande poeta, tu. Quasi, quasi…
ALFONSO (accorgendosi di aver trionfato). Di' questa parola ed io corro da mia sorella.
SILVIO (risoluto). Ebbene! Dille che venga e saprà il mio delitto il mio nero delitto. A patto che tu poi mi aiuti ad ottenere il suo perdono.
ALFONSO. Ma io in questo caso sarò tutto tuo. Fra un quarto d'ora al più sono di ritorno con lei. (Via.)