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Scena seconda. Carlo Bezzi e detti.
CARLO. Donato non è ancora venuto?
ALBERTA. No.
CARLO. Quando viene mandalo da me che gli faccio vedere quelle stampe che mi sono state offerte. Devo decidermi domani. L'avevo pregato di venire di buon'ora. Non c'è di peggio che aver da fare con un artista. (S'avvia.)
ALBERTA. Aspetta un momento. Avrei da dirti qualche cosa. (A Clelia.) Arrivederci signorina. Venga domattina senz'altro.
ALBERTA (esitante). Fra le 9 e le 11.
CLELIA (un po' sorpresa). Verrò dunque alle dieci.
ALBERTA Sì! Le dieci o le dieci e mezzo. (Clelia esce.)
CARLO. Chi è costei?
ALBERTA. L'infermiera per zia Teresina. La scelsi accuratamente. È carina e spero farà alla zia la vita meno greve. Non mi costa poi troppo perché ho trovato una signorina a modo ad un prezzo non eccessivo. Ed anche per lei la situazione che le offro è una fortuna. Ciò è molto, molto bene. Siamo accomodati in tre: Io, lei e la zia. Sarà poi una buona compagnia anche per Alice.
CARLO. Tu, lei, la zia e anche Alice. Sono contento di vederti contenta. (S'avvia.) Se viene Donato mandamelo.
ALBERTA (seccata). Te ne prego, Carlo, stammi a sentire per un momento. Non avviene mica di spesso ch'io ti strappi ai tuoi affari o alle tue stampe.
CARLO (affettuoso). Me ne strappi più di spesso di quanto credi. Non sono col pensiero sempre a te?
ALBERTA. Anche quando ti occupi delle stampe?
CARLO (esitante). Anche allora. C'è anche allora il sentimento che la mia collezione si trova in questa casa e che questa casa col suo ordine e la sua pace è tutta opera tua.
ALBERTA (leggermente). Tu sai sempre dire delle cose gentili. Ma non mi basta. Ora devi pensare a me, dimenticando i tuoi affari e anche le stampe. Senti! Alice dice di aver bisogno di un aumento di almeno 1000 lire al mese.
CARLO. Eh! Capisco! La vita va diventando ogni giorno più cara.
ALBERTA. Sarebbe una buona ragione perché noi si spenda di meno. Giusto perché il costo della vita sale non siamo al caso di aumentare il denaro ad Alice.
CARLO. Come ragionamento non fa una grinza. Se tu hai deciso così sta bene; si tratta di una cugina tua.
ALBERTA. Proprio perché la cugina è mia, la mia posizione è alquanto più difficile della tua. Io le dirò che debbo parlare con te perché senza la tua autorizzazione io non posso darle nulla. Ora è escluso ch'essa ch'è tanto fiera a te si rivolga ma pure potrebbe avvenire e allora voglio essere ben sicura che tu sia preparato.
CARLO. È semplice: Le dirò che non vuoi.
ALBERTA. Ma no! Se è questo che desidero di evitare. Devi dirle che non puoi darle di più: I tuoi affari non vanno bene, i tempi son difficili e così via. Quando parlo con te non saprei credere che tu sia l'uomo d'affari astuto e accorto che dicono; a me sembri un semplicione qualunque e non capisco perché non ti truffino di tutto quanto possiedi.
CARLO. Ma i miei affari sono più semplici dei tuoi. Ricorda che quasi tutti gli affari da me si fanno per telegrafo. E il telegrafo costa. Non posso dire più di tante parole. Perciò lascio via tutte le parole superflue e divento molto furbo. Ma negli affari dove c'entrano le donne le parole costano meno ed è più difficile di essere furbi. In quella volta proprio con Alice tu volevi io le dicessi che tu eri uscita. Glielo dissi ma poi si continuò a ciarlare insieme ed io, non so più a che proposito, mi lasciai sfuggire le parole: Alberta or ora mi avvisò di non so che cosa.
CARLO. Sarebbe stato meno chiaro se tu, interpellata da lei, non avessi subito confessato d'essere stata a casa.
ALBERTA. Conoscendoti ti credetti capace di averlo detto anche più chiaro.
CARLO. Fosti danneggiata dalla tua sfiducia. C'è da me talvolta una piccola assenza. Sto preparando quei dispacci. Poche parole quelle ma bisogna pesarle. Ora però ho capito: Devo far credere alla signora Alice che sono io che ti proibisco di darle una maggior quantità di denaro. Non mi fai fare una bella figura perché io anzi penso che non bisognerebbe lasciar soffrire una signora tanto bella e due bambini.
ALBERTA. Ma se le diamo tutto quello ch'essa domanda finirà con l'esigere molto; spenderà addirittura quello che spendiamo noi. Io penso d'accordarle la metà di quanto domanda.
CARLO (ridendo). Noi in commercio ribassiamo di dieci, di venti per cento, ma mai di cinquanta.
ALBERTA. Quanto farebbe il venti per cento?
CARLO. Dovresti darle ottocento invece di mille lire.
ALBERTA. Mai più! Sarebbe come concederle tutto. Alice spende troppo. Per i bambini e per se stessa. S'addobba come una principessa ed i bambini li veste di bianco. Dice che il bianco si può lavare. Ma anche altri colori si possono lavare e occorre lavarli meno di spesso.
CARLO. Capisco! È veramente male ch'essa spenda troppo. Ma non porta di solito i vestiti che tu smetti? L'altro giorno m'imbattei in lei sulle scale e pensai: Ecco un vestito ch'io ho già abbracciato.
ALBERTA. Bada che l'involucro non ti faccia sbagliare. Io ho fiducia in te perché studiando quelle parole brevi brevi dei dispacci mi racconteresti tutto. Poi ho fiducia in Alice. (Sentitamente.) Quella poverina è l'orgoglio della nostra famiglia. Rimasta vedova tanto giovine avrebbe potuto procurarsi tanto facilmente i denari che io le rifiuto. (Commossa.) Sai! Io non penso mica di essere tanto crudele con lei. Per il momento credo sia prudente di non accordarle tutto quello che domanda. Poi vedremo. Certamente non la lascerò soffrire.
CARLO (si china a lei per baciarla paternamente). Brava la mia capretta. Così ti amo.