Italo Svevo: Raccolta di opere
Italo Svevo
Commedie

CON LA PENNA D’ORO (Commedia in quattro atti).

ATTO PRIMO.

Scena dodicesima. Il dottor Paoli e detti.

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Scena dodicesima. Il dottor Paoli e detti.

 

PAOLI  (saluta le due signore). Non si dirà ch'io arrivi sempre in ritardo. Per una volta eccomi qui quando non ci pensate ancora di andare a tavola.

ALBERTA.  Andiamo subito subito, dottore. Non c'è da attendere che un quarto d'ora al massimo.

PAOLI.  Non ho fretta. Nessuno sa che sono qui e così son certo di godermi una festa di qualche ora. (Ad Alice.) I bambini bene?

ALICE.  Grazie, benissimo dottore.

PAOLI  (sollevato). Come sto bene fra persone che non hanno bisogno di me.

ALICE.  Io penso che le persone che non hanno bisogno di nessuno sono evidentemente le preferite.

ALBERTA  (quasi risentita). Perché? Io preferisco le persone che hanno bisogno di me.

ALICE.  Grazie, Alberta (ridendo).

ALBERTA  (con sincerità studiando se stessa). Credo mi facciano sentire me stessa meglio, la mia vita e la mia forza.

ALICE  (con calore). Eppoi c'è la riconoscenza.

ALBERTA  (sempre confessandosi con una certa assenza). Si sa che sulla riconoscenza non si deve contare. Non parlo mica per te che non mi devi assolutamente niente.

PAOLI.  Ma siamo lontani da quello che dicevo io. Quando hanno bisogno di me, io faccio la visita, mi pagano e siamo saldati. Soltanto c'è una differenza. Se la malattia è lieve o non c'è - perché anche questo succede - la cosa è gradevole. Ma oggi fu un inferno. Una chiamata, una polmonite in un organismo logoro, una seconda angina cardiaca, una terza un caso unico, un disastro, qualche cosa di fosco e incerto, ma diffuso in modo che la morte s'annunciava evidente nella nebbia. Allora mi arrabbiai. Era troppo.

ALICE.  È la compassione che la fa soffrire, dottore.

PAOLI.  Le direi in un orecchio quello che mi fa soffrire se ci fosse qui anche una sola persona oltre alla signora Alberta. Ma con voi due posso essere sincero. Siete tanto sane che non avete bisogno di fidarvi di me. Toccatevi il naso, ve ne prego. Non danneggia nessuno. È la mia impotenza che mi fa soffrire. Dei miei tre casi seppi provvedere al primo che dichiarai spedito, il secondo è già morto, senz'alcun rispetto, in mia presenza. In quanto al terzo mi darà qualche consolazione. Domani faremo un consulto e la mia ignoranza sarà abbondantemente scusata da quella degli altri. Io già sono convinto che l'esercizio della medicina non fa per l'uomo. Un buon medico dovrebb'essere un superuomo ma no, qualche bestia del tutto differente dall'uomo munita di molti più sensi e più potenti.

ALICE.  Ma io credo che mettendo questa bestia tanto potente a qualunque posto quaggiù farebbe meglio del meschino uomo. Ciò non vale solo per i medici.

PAOLI  (Guardandola con interessamento). Ben detto. È evidente che anche il commerciante, il facchino e il marinaio potrebbero essere migliori. È una parola di consolazione ch'Ella dice.

ALBERTA.  Ma persino il tapino che stende la mano al canto della via s'avvantaggerebbe di avere un cuore più grande e generoso. Niente ira, tutto riconoscenza.

PAOLI.  Ma non stenderebbe più la mano.

ALICE.  E anche chi mette il soldo in quella mano

PAOLI.  Diventiamo spaventosamente profondi. Siamo arrivati alla conclusione che per la vita in genere occorrerebbe qualche cosa che non sia l'uomo ma un essere superiore a lui. L'ammalato se non fosse uomo, non sarebbe ammalato. Avrei la divisione vuota. Che bellezza. Si sarebbe tutti superiori tanto che non ci sarebbero più né mediciammalati, né tapinibenefattori. Io verrei a cena qui dalla mattina alla sera.

 


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