Italo Svevo: Raccolta di opere
Italo Svevo
Commedie

CON LA PENNA D’ORO (Commedia in quattro atti).

ATTO TERZO.

Scena ottava. Alberta e detti.

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Scena ottava. Alberta e detti.

 

ALBERTA  (gentilmente). Alice!

ALICE  (con ribrezzo ritirandosi). Sono venuta a trovare la zia.

ALBERTA.  Sta bene! (Si volge a Carlo.) E tu avevi tanta fretta

CARLO  (esitante). Io vorrei, Alberta, che tu ti spiegassi un momento con tua cugina. Da certe sue parole, io potrei comprendere ch'essa ti getta addosso un sospetto che non meriti - ne sono tanto certo! - (Più franco.) Le vostre relazioni possono rimanere quali sono ma non c'è mica bisogno perciò che una persona che tu circondasti del tuo affetto abbia a pensare di te simili cose. Se volete io mi ritiro e vi spiegate da sole.

ALICE.  Io non sento il bisogno di tali spiegazioni. Voi Carlo avete inteso benissimo quello che io avevo voluto dire. Glielo potete dire. A me basta. (S'avvia.)

ALBERTA.  Te ne prego, Alice! Resta un momento. Ho anche da dirti qualche cosa. Io non mi sono ancora rassegnata che per quel lieve malinteso ch'è avvenuto fra di noi causa quella storia della zia, debba regnare fra noi un’eterna inimicizia. Vuoi che ci spieghiamo?

ALICE.  Chi ricorda quella storia? Ora si tratta di tutt'altra cosa.

ALBERTA.  So! So di che si tratta ma sono convinta che quando saprai come stanno le cose mi giudicherai altrimenti.

ALICE.  Ma io ero avviata a sentire come stanno le cose.

ALBERTA  (calma). Sta bene! Poi potrai verificare se quanto dico è vero. Ma puoi stare a sentire anche quello che ti dico io? (A Teresina.) Zia! Non è questa l'ora ch'Ella di solito passa in giardino?

CLELIA.  Oggi vuol piovere.

ALICE.  Per quanto mi riguarda la zia può restare presente a qualsiasi spiegazione.

TERESINA.  Io vorrei andare in giardino. Se pioverà mi rifugerò nella mia stanza. Già la mia presenza non può giovarvi. Che cosa potrei dire io e chi mi starebbe ad ascoltare?

ALICE  (con sdegno). Tutti devono stare ad ascoltare lei ch'è la sorella di nostra madre.

ALBERTA.  Resti pure zia! Io la onorai sempre quale sorella di mia madre e non temo affatto di aver da arrossire dinanzi a lei. (A Clelia.) Quando avrò bisogno di voi vi chiamerò. (Clelia esce.)

TERESINA  (che ha riflettuto). Ma io, cara Alberta, non dissi mai che tu abbia mancato con me di affetto o di rispetto.

ALBERTA  (alzando le spalle). Non ha importanza, cara zia. (Ad Alice e Carlo). È vero! Donato Sereni è stato a trovarmi. Io non te l'ho detto perché ho dovuto promettergli di non dirlo neppure a te. E sai perché? Perché Alice aveva dichiarato che se sapeva ch'egli avrebbe varcata quella soglia ella si sarebbe suicidata. Capisci! A questo siamo arrivati!

ALICE  (calma). Non so se Carlo sa che Donato Sereni è il mio amante.

ALBERTA.  Lo sa! Lo sa! Chi non lo sa? Ma vieni qua Alice, vieni qua disgraziata! Tu da un momento all'altro hai cambiato carattere. Tu eri l'immagine stessa della riservatezza anzi della purezza. Tu addirittura vivevi nel rispetto del mondo e delle sue leggi. E ad un tratto hai gettato tutto in disparte e ti compiaci in certi atteggiamenti di ribellione che ti rovinano. Io voglio sapere da te una cosa sola: Sono io la colpa di tutto questo? Sono io che t'ho spinta a disprezzare tutto quello che onoravi, t'ho io spinta ad abbandonare quella via sulla quale dovevi trovare la felicità tua e della tua famiglia? Io non so ma la mia coscienza grida quando penso che un dato giorno tu mi volgesti le spalle e nello stesso tempo ti comportasti in modo come se della vita non t'importasse più nulla! Son io la colpa di tutto ciò? (Alice la guarda esitante.) Come m'avviene di fare del male io che penso sempre al bene? Lo puoi dire tu stessa. Non parlo dei soccorsi che ti concessi ma ti aiutai specialmente coi miei consigli e ti diedi tutto, tutto il mio affetto. (Commovendosi.) Ne sono ben rimeritata!

ALICE  (di nuovo decisa e offesa.) Ma non si tratta di quello che è stato. Io ora voglio sapere perché esigesti che Donato venga da te.

ALBERTA  (pallida). Io non ebbi bisogno di esigerlo! Bastò che io gli aprissi la porta ed egli venne subito.

ALICE.  La apristi più volte. In mia presenza lo invitasti una volta ed egli non venne. Non so quante volte tu abbia poi aperta questa porta per costringerlo ad entrare. Mi dispiace di dover parlare così in presenza di tuo marito… Ma già tutti quanti siamo qui sappiamo che non lo chiamasti per amore. Lo chiamasti per odio, per avvilirmi.

TERESINA  (prende la mano di Alberta che le è venuta vicina per caso). Sii buona, Alberta! Se sapessi come essa è infelice.

ALICE.  Zia! Debbo dichiararle che qui non ho bisogno di nessuno.

TERESINA.  Scusami, Alice! Perdonami! Io credevo di far bene.

ALBERTA.  Dicesti tu stessa che noi dobbiamo star ad ascoltare la zia la sorella di nostra madre.

TERESINA.  No! No! Io non domando che mi ascoltiate. Io non so, io non capisco. Solo questo posso dire: Vorrei che facciate la pace. Io non capisco nulla e dico una sciocchezza ma vorrei che vi baciate senza altre spiegazioni.

ALBERTA.  Stia buona, zia! Ella vedrà come tutto subito s'accomoderà.

ALICE  (con aria di sfida). Davvero?

ALBERTA.  Vorrei solo che tu mi stessi a sentire. Io te l'ho detto: Ero turbata dal vederti battere una strada che - permetterai che te lo dica? - non era la tua ed ero turbata che, forse senza volerlo, senza aver neppure il sospetto di offenderti - lo giuro, consapevolmente io mai t'offesi - tu fossi stata spinta, fuori della strada retta da me, dall'odio per me.

ALICE.  Tu non hai nella mia vita l'importanza che tu credi.

ALBERTA.  E sia! Se avessi potuto avere tale dichiarazione da te prima io non avrei domandato di vedere Sereni. Io pensai invece: Forse, senza saperlo, del tutto innocentemente ho collaborato alla rovina di Alice. Ecco il mio obbligo di riparare. Perciò chiamai Sereni.

ALICE.  Per riparare? Strano!

ALBERTA.  Sì, per riparare! Come mi vedi io sono incaricata da Sereni di domandare la tua mano. Hai sentito?

ALICE.  Ed io rifiuto! Hai sentito anche tu? Io rifiuto! Ma è un po’ strano! Egli sente il bisogno di domandare la mia mano col tuo mezzo. È incredibile! Mi vede ogni giorno e sente il bisogno di venire a cercarti per chiederti la mia mano. Di'! Hai dovuto affaticarti molto per indurre Sereni a sposarmi?

TERESINA.  Ma Alice! Non vedi ch’essa pensa a fare il bene tuo?

ALICE.  Zia! Ella non conosce Alberta come la conosco io. Guardi! Anche se fossi convinta che Sereni mi sposa per fare un piacere a lei io tale piacere rifiuterei. Io non voglio doverle nulla! Ma io so da lungo tempo che Sereni intende di sposarmi. Non occorreva la sua intromissione che annebbia ogni felicità. Ah! La sua coscienza le imponeva di aiutarmi! Ma che! La sua coscienza! Voleva ridurmi di nuovo in schiavitù. Questo essa voleva.

CARLO.  Dio mio! Io credo signora Alice che Lei usi una ingiustizia ad Alberta.

ALICE  (evidentemente vorrebbe dire a Carlo qualche cosa e si trattiene). Lasci stare!

 


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