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Scena dodicesima. Carlo e Alberta.
ALBERTA. Tu hai il diritto di sapere quello ch'essa mi disse all'orecchio. Voglio essere esatta. Mi disse ch'essa ora sa che Donato la vuol sposare ma non sa se ancora l'ami. Perché essa sa, sa intendi?, che se egli accorse al mio invito era nella speranza di trovare me, intendi? me disposta al suo amore.
CARLO. E tu che cosa le rispondesti?
ALBERTA. Io? Nulla! Che potevo risponderle? So io quello che passa per l'animo di Donato?
ALBERTA. Non lo vedevo da tanti mesi.
CARLO. Non vorrei agitarti facendoti anch'io dei rimproveri ma mi pare che tu avesti torto d'immischiarti ancora nei fatti di Alice.
ALBERTA. Per te che non t'occupi dei fatti altrui è ben facile parlare così. Ma come potevo io sopportare tutto questo disdegno dopo tutto quello che ho fatto per lei? Come non sente Alice che da parte sua è semplicemente abietto di trattarmi così, ora, perché non ha più bisogno di me?
CARLO. Donato in passato ti fece la corte! Tu ne ridesti tanto che io non pensai di proibirgli la mia porta! Io non sono geloso, lo sai, ma mi pare che tu abbia fatto male di riceverlo così in segreto.
ALBERTA. In segreto? Lo ricevetti poco fa in questa stanza alla luce del giorno.
CARLO (abbracciandola). Te ne prego non vederlo mai più.
ALBERTA. Certo non vedrò più né lui né Alice. Vedo che anche tu mi rimproveri. Eppure io non volli nulla di male. Mi pareva di aver scoperta la via migliore per fare la pace con Alice! Nient'altro! (S’abbandona con uno scoppio di pianto nelle braccia di Carlo.)
CARLO. Eppure hai fatto male povera la mia moglietta! Piangi perché lo sai.
ALBERTA (piangendo). No! Piango perché non c'è giustizia.