Italo Svevo: Raccolta di opere
Italo Svevo
Commedie

LA RIGENERAZIONE.

ATTO TERZO.

Scena quinta. Giovanni e detti.

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Scena quinta. Giovanni e detti.

 

GIOVANNI.  Eccomi pronto per quel noioso signor

EMMA.  Aspetta, papà. Ho da dirti qualche cosa. È per Fortunato. È stato qui… Non saluti il signor Biggioni?

GIOVANNI  (leggermente). Buon .

ENRICO  (molto amabile ma semplice). Buon giorno. Spero ch'Ella abbia dormito bene dopo di quella formidabile sbornia.

GIOVANNI  (stupito trae in disparte Emma). Come ha detto? Ha detto «sbornia»?

EMMA.  Sì, papà.

GIOVANNI.  Come può osare? Ed ha, ora, un'aria tanto gentile per dirmi delle cose sgradevoli. Vuoi che lo gettiamo fuori?

EMMA.  No, papà.

GIOVANNI  (stupito). No? (Ad Enrico.) Sbornia? Io? Non ne presi giammai. Voglia notarlo.

ENRICO.  Ma noi giovani diciamo così quello stato in cui Ella si fece trovare iersera.

GIOVANNI  (stupito eppoi ridendo). Voi giovani? Sono cose che capitano spesso ai giovini?

ENRICO.  Ai giovanissimi specialmente.

GIOVANNI  (esita, poi non ci pensa). E che cosa vuole da me Fortunato? Perché non viene da me?

EMMA.  Perché io lo trattenni. Pensa ch'egli non vuole più sposare Rita e vuole invece immediatamente abbandonare questa casa.

GIOVANNI  (interdetto). Ma perché? perché?

ENRICO  (sorpreso). Come non l'indovina Lei? E non ricorda quello ch'è avvenuto qui, iersera, fra Lei e Rita? Eh! via!

GIOVANNI.  Non lo ricordavo. Chi può prevedere tutto quello che può derivare da una cosa? Specialmente da una cosa di cui io non ho una grande pratica? Ma chi fu quel furfante che lo disse a Fortunato? (Minaccioso.) È stato forse Lei?

ENRICO.  L'assicuro che io non ne parlai con nessuno. Ma Rita era ubbriaca e Lei dormiva russando che tremava tutta la casa

GIOVANNI.  Davvero russo tanto forte? (Ad Emma.)

EMMA.  Certe volte se sei molto… stanco. (Poi.) Ma il signor Biggioni non era presente quando Fortunato parlò con me. Egli sa che Rita era ubbriaca ma invece non sentì te dormire.

GIOVANNI.  Vede che non mi si sente dormire?

EMMA.  Fortunato era stato mandato da mamma in città per delle spese. Ed ora nessuno gli leva dalla testa che ad ubbriacarla sia stato Guido.

GIOVANNI  (riflettendo). E credi che se la prenderà fortemente con Guido?

EMMA.  Mi parve di sentire nella sua voce un suono di minaccia. Io ero per dirgli che Guido in questa non c'entrava e ch'eri stato tu a… sì, a dare del vino a Rita. Ma poi pensai d'interpellarti prima.

GIOVANNI.  E facesti benissimo. Io non amo storie simili.

ENRICO.  A me sembra che la signora Emma abbia fatto male di non dire subito che si trattava di Lei.

GIOVANNI.  Ma che cosa va dicendo Lei? Eppoi che centra Lei?

ENRICO.  Non bisogna ancora parlarne, ma a lui, a Suo padre, posso dirlo? Tutti in questa casa sanno ch'io amo la signora Emma e che vivo nella speranza di divenire all'anniversario che so io e che prima o poi pur arriverà, il Suo figliuolo, signor Giovanni.

GIOVANNI.  Ma come potremo far credere a Fortunato che sia stato Lei ad ubbriacare Rita?

ENRICO.  Non credo si possa. Io fui gettato fuori di questa casa e uscii quando Fortunato s'apprestava ad uscirne anche lui. Perciò mi vide.

GIOVANNI.  Che peccato.

ENRICO.  Io volevo dirle un'altra cosa, signor Giovanni. Quando a noi giovini tocca una cosa simile, noi subito accettiamo la nostra responsabilità. Io sono convinto che quando Lei ci penserà un poco troverà che a Lei non resta da fare altro che confessare a Fortunato tutto. Francamente io credo che la cosa si ridurrà a una questione di denaro.

GIOVANNI.  Una questione di denaro? Di molto denaro?

ENRICO.  Per Fortunato probabilmente non sarà che una questione di denaro. Per Lei invece è tutt'altra cosa.

GIOVANNI.  Capisco! Lui incassa ed io pago.

ENRICO.  Non è questo ch'io voglio dire. Lei ha fatto all'amore?

GIOVANNI  (trasognato). Io?

ENRICO.  Non occorre risponda. Anzi Le dirò che quando i giovani hanno fatto all'amore non rispondono. Il Suo dovere è di negare o almeno di tacere.

GIOVANNI  (trasognato). Ed io il mio dovere voglio farlo.

ENRICO.  Ma certo chi fa all'amore deve assumersi tutte le responsabilità che risultano dalla sua fortuna. Ecco che qui, ora, Fortunato se la prende col signor Guido. Questo Lei non può tollerare.

GIOVANNI.  Evidentemente.

ENRICO.  Certo sarebbe meglio di celare tutto. Ma non si può. Ella commise una leggerezza… (Giovanni sorpreso fa un cenno di protesta) capisco ch'era scusabile per la Sua mancanza di pratica ad onta della Sua età… però ringiovanita. Ma ora in casa chi più chi meno, sa di quella Sua avventura. E perciò il Suo decoro esige

GIOVANNI.  Il mio decoro? (Ergendosi.) Sappia, signor mio, che Ella è troppo giovine per insegnare a me quello che sia il mio decoro. Io so che cosa esiga il mio decoro ed io vi ho corrisposto sempre.

ENRICO.  Questo ammetto.

GIOVANNI.  Dunque siamo d'accordo e non se ne parli più. Io ora vado a passeggio con quell'asino che si chiama

ENRICO.  Boncini.

EMMA.  Padre mio, Fortunato vorrebbe parlare subito con te.

GIOVANNI.  Ma io ora non posso.

EMMA.  Il signor Boncini potrà aspettare un poco.

GIOVANNI.  E se non vuole aspettare?

ENRICO.  Che Gliene importa a Lei? Lo lasci correre.

GIOVANNI.  E lasciamolo correre allora.

EMMA.  Io chiamo Fortunato.

 

 


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