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Carlo Dossi
Amori

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  • AMORI
    • 6 - ANCORA IN TERRA
      • 1. Adele
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6 - ANCORA IN TERRA

 

1. Adele

 

E non solo de' mièi, ma degli amori degli altri ho goduto e specialmente di quelli degli amici. Se taluno quì sogghignando dicesse: «ciò è d'uso», potrèi rispòndergli col fiero e pudico motto dei cavalieri della Giarrettiera. Le brìciole degli altrùi banchetti amorosi hanno sempre avuto per sapori e profumi, insospettati a coloro medèsimi che vi sedèvano, ingordi o nauseati.

Ho già detto quanto mi appassionassi ai romanzi, sino a confòndermi coi lor personaggi, e come mi innamorassi delle simpàtiche eroine, fino ad incollerirmi coi loro amanti, quando questi le trattàvano non a seconda delle mie intenzioni. Soggiungerò che la lieta fine di un amore scrittoraramente lieta in uno vissuto — il matrimonio, rendeva pure beato. Mercè i romanzi, io mi trovài dunque, più volte, amante riamato o sposo felice, senz'òbblighi notarili o morali di rimangiarmi per tutta quanta la vita i detriti della felicità.

E, come sul cammino del romanzo, così in quello della vita reale, io sempre mi rallegrài e rallegro all'incontro di una coppia ben assortita e contenta. La direte follìa — non però tu, amica geniale — ma io credo e mi persuado ognor più che ciascuno di noi è il volume di un'ùnica òpera, la molècola di un medèsimo sterminato individuo sulla foggia del Leviathan di Hobbes o dei mondi animati del Nolano. E però le altrùi glorie, quando schiette, m'inorgoglìscono come se fòssero mie; gli amori degli altri, quando veri e profondi, mi consòlano come se appartenèssero a . Nulla mi è più gradito degli sguardi mutuati tra pupille che si comprèndono e si vògliono bene; io mai non mi posi tra essi; anzi, fin dove è onesto, li favorìi. Oh, con quale occhiata tu mi ringraziavi, o fanciulla, quando, uscendo a passeggio, io sequestravo alla tua ìspida istitutrice il braccio, mentre l'amato giòvane offriva a il suo: oh come, ritardando, più che potevo, il passo, mentre vojaltri lo allungavate, accompagnavo con occhio di affetto la vostra coppia gentile che si scambiava sussurri, inarrivàbili alle tesi reti acùstiche della tua vìgile!

Senonché, quanto mi è a gioja l'assìstere ad una mùsica mite d'amore a quattro mani suonata, a due desideri placati in un'ùnica soddisfazione, altrettanto m'indispettisce lo spettàcol di donna che, amando èssere amata, gli amanti odia, e li cangia, coi mille capricci della sua malvagità, in spregèvoli servi; o, peggio ancora, d'uomo che, feroce e vigliacco, piànger colèi che lo adora. E qui ricordo un mio condiscèpolo d'università, del quale si era pazzamente innamorata una fanciulla buona e bella. Di quale plebèo combustìbile si alimèntano molte volte le pure fiamme di una ragazza, è strano! in bocca di quali gattacci vàdano spesso a finire tante canarine graziose, è deplorèvole! Aveva egli una di quelle faccie convenzionali di bel-giòvine che vèggonsi sui giornali dei sarti. Né l'animaccia, che, come il sale, impedìvagli di completamente marcire, disaccordàvasi dall'aspetto. Costùi, sempre in ammirazione di sé medèsimo — e tenèasi addosso, pensa! uno specchietto in cui si mirava di tratto in tratto scimmiescamentericeveva, spesso, lèttere della pòvera bimba e, tra lo sprezzante e il vanesio, me le mostrava. Certamente, non èrano testi di lingua: a scuola non avrèbbero, forse, neppur riportato i punti occorrenti alla promozione, tuttavìa spiràvano tale una ingenua e profonda passione che, leggèndole io, mentr'egli, il furfante, sogghignava arricciàndosi i baffi, mi sentivo commosso di tenerezza per la innocente fanciulla e d'ira per l'indegnìssima càusa delle sue afflizioni. E allora, per una magnètica trasposizione di sentimenti, mi sembrava che tutte le lèttere che io leggeva di lei, fòssero, non a lui, ma veramente dirette a che le meritavo, e godevo delle loro espressioni come se fòssero a dedicate. Non solo: ma componevo le più amorose risposte, le ricopiavo sulla carta più fina e le mettevo in... pila. È un epistolario, come altri cèlebri, in cui la posta nulla ha che vedere e che potrebbe, quandochessìa, èsser dato alle stampe senza perìcolo di rossori mièi od altrùi. Un giorno, mi venne poi fattoned era così diffìcile, poiché il mio condiscèpolo piacèvasi di dimenticar dappertutto i documenti della sua vanità — d'impossessarmi di una lèttera di quel cuore malcapitato. Per lungo tempo, essa mi fu soave compagna: la recavo con nelle passeggiate: la miravo talvolta con le pupille annuvolate di làgrime e ne baciavo con religione d'amore la firma: quando poi, coricàndomi, l'avevo nascosta sotto il guanciale, mi pareva di giacere men solo. Oh fanciulla non vista mai né a nota, che ti disperavi di non èsser riamata, quanto invece lo fosti! Se nelle regioni spirìtiche, se nel mondo della quarta dimensione, c'incontreremo, come impalliderài di giojosa sorpresa, trovando negli occhi mièi le mille dichiarazioni d'amore da sognate, quelle dichiarazioni, che tante volte ti ho dette e tu non udisti, che tante volte ti ho scritto e tu non leggesti!

Pronto invece fui sempre, come Ovidio, a favorire gli amori altrùi. Abitavo — molti anni son corsi — un pìccolo alloggio, in una via fuori di mano e tranquilla, tutta giardini e conventi. Di tempo in tempo, un amicìssimo mio me la chiedeva in prestanza per un segreto convegno — con chi non diceva — ma dal suo occhio sereno capivo trattarsi di ben differenti cospirazioni delle polìtiche, ed il silenzio di lui èrane prova. E allora abbigliavo a festa la mia casetta, come se la sponsa de Lìbano dovesse scèndere a , non a lui; cancellavo dagli specchi ogni mìnima appannatura e dai mòbili ogni velo di pòlvere; stendevo i lini più mòrbidi e i tappeti più sòffici, non lasciando càlice senza fiore, né fiala senz'essenza odorosacuscinetto senza spilli: disponevo perfino sui tàvoli libri di gentilezza, e sul leggìo del pianoforte pàgine musicali, dirèi amorose se tutta la mùsica non fosse voce, anche nell'ira, d'amore. Rientrando poi, a notte alta, in casa, benché l'àngiolo nel suo passaggio non vi avesse piuma perduto, sentivo cullarsi nell'aria una sottile fragranza come di violette fiorite in ajuole celesti, e negli specchi mi pareva sorprèndere ancora il riflesso di una forma di cherubino; e, quella notte, il letto mi si cangiava, tra i sogni, in càndide braccia femminee. Sovratutto gioivo, allorché qualche fiore, di quelli che avevo io colto e apprestato, mancava, imaginàndomelo ne' suòi capelli. Una volta, per contro, ne trovài uno di più — posato sulla «Divina comedia», e precisamente ai versi «

«amoreacceso di virtù sempr'altri accese, — purché la fiamma sua paresse fuore», un incoraggiamento e un consiglio. E con riconoscente tremore me lo avvicinài alle labbra, come se offèrtomi, e lo baciài. Molti anniripeto — son corsi. Il mio amico dimenticò interamente questo episodio della sua vita. Io serbo tuttora, nella tomba immortale dove fu posto, quel fiore e con esso il ricordo di un anònimo amore che ogni più facèndosi mio.

Un'altra volta, un altro amico mi pregò di dargli una mano in un incontro ch'egli desiderava di avere con una giòvine da lui amata e lontana. Il mio amico reggeva, in una borgata pettègola, un pùbblico uffìcio che non gli avrebbe permesso di accògliere in casa ragazze sole senza esporsi a commenti infiniti. La giòvine, che io non conoscevo neppur di veduta, dovèa figurar, quindi, come sorella mia e tutti e due passare per nipoti suòi. Io mi sarei recato a ricèverla sulla riva di un lago, distante poche ore dalla borgata, e gliela avrèi condotta. Per riconòscerci, era inteso che la giòvine, nello sbarcare, terrebbe in mano un volumetto dalla verde rilegatura e che io me le sarèi presentato con un garòfano rosso all'occhiello.

Mi recài dunque, nel giorno e nell'ora posta, all'indicato luogo ed ivi aspettài la mia improvvisata parente. Il piròscafo apparve (oh come il cuore mi palpitò quand'esso riunissi alla riva!) e tra i passeggeri che ne discèsero, vidi la giòvine col volumetto verde — una magrolina ventenne, tutta sola, che intorno guardàvasi miopemente, cercando, essa pure, qualcuno. A lei mi avvicinài arrossendo, e anch'essa arrossì. Una carrozzella attendeva presso. Ella vi montò su, svelta, da un predellino, io dall'altro, e la carrozzella si mosse.

Era ben naturale che nei primi momenti ci si sentisse assài imbarazzati. Ambedùe ci vedevamo in una posizione delicatissima, dubitando e temendo ciascuno di parere all'altro quello che veramente non era. Io studiavo sott'occhio l'aspetto della mia compagna. Ella era tutta modestia, nell'àbito, nell'atteggiamento, nel viso — un viso che io avrèi definito: un complesso simpàtico di difetti. Per interròmpere un silenzio che cominciava a farsi uggioso, le domandài quale fosse il nome del libro che teneva fra mani... — né come ella si nominasse sapevo ancora.

Ella, confusa, mi disse invece il suo — Adele —, e mel disse con una melodiosa oscillazione di voce: poi, accòrtasi, mentre mi rispondeva, della domanda che fatta gli avevo, mi porse, arrossendo, il libro.

Era questo un poema in versi, breve di mole, denso di affetto, «Enoch Arden» di Tènnyson, un di que'libri la cui lettura è per l'ànimo come un bagno di bontà. Io espressi le mie simpatìe pel generoso poeta ed ella si unì a nella lode. Avviato il discorso sulla carreggiata della letteratura, scopersi presto in Adele, non solo una leggitrice insaziàbile ed un finìssimo crìtico, ma — quanto più mi fu caro — un'alleata nelle mie letterarie adorazioni. Comunanza di amicizie è di amicizia cagione. Frequentatori ambedùe di casa Shakspeare, casa Montaigne, casa Lamb, Rìchter, Manzoni e altrettali, non potevamo più considerarci, reciprocamente, forastieri.

Passava la strada fra vigneti gravi di porpuree uve e sparsi di vendemmiatori. Adele uscì in una esclamazione ammirativa e desiderosa. Feci fermare la carrozzella, e comprammo dai vignajuoli una grembialata di gràppoli. Steso quindi un giornale sulle mie e sulle ginocchia di lei e ammucchiàtavi l'uva, ci mettemmo deliziosamente a mangiarla, spiccando gli àcini dallo stesso gràppolo e insieme cianciando e ridendo all'ombra delle vaste impassìbili spalle del vetturino.

E più Adele parlava ed io miràvala e più mi sembrava che le sue cento bruttezze minùscole si fondèssero in una sola e grande bellezza, quella della intelligente bontà: la sua medèsima miopìa, che dapprincipio parèami fastidiosa, conferiva al suo viso una espressione tutta speciale di attentività, gratìssima a chi la guardava e parlàvale. All'imbarazzo era insomma sottentrato una vera famigliarità e la parte di stretti parenti, stàtaci imposta, ci diventava sempre più fàcile.

Ma, ad un tratto, il battuto della piana strada di campagna cede' all'acciottolato fracassoso e trabalzatore di una città.

— Siamo giunti! — dissi.

— Di già! — esclamò ella in tuon di rammàrico, e taque.

La carrozzella si arrestò ad una bianca casetta. Il mio amico, un giovinottone acceso di colorito e baffuto, era sul marciapiede ad attènderci. Si fe' al predellino ed ajutò a scèndere Adele, o a meglio dire, la trasportò giù come un cuscino di penne. «Come state, carìssimi nipoti mièi?» — vociava egli a noi o piuttosto ai vicini affacciati a tutte le porte e finestre — «spero bene che questa volta non mi scapperete via sì presto! » — E in casa ci trasse, sollevàndoci quasi di terra, uno per braccio.

Verso sera, mi congedài da lui e... da lei. Ella mi accompagnò fino all'albergo dove il vetturino era andato a staccare e donde sarèi ripartito — solo — con esso. Gli occhi di Adele èrano ùmidi e tristi, e anche i mièi. Non mai fratello fu salutato con affetto più intenso, non mai sorella lasciata con maggiore dolore.


 




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