Ti ho detto che mi avèano messa
in un collegio di Francia; aggiungo ch'ei si trovava in una mezza città di
provincia, Chateau-Mauvèrt. Là, mentr'io toccava i nove anni,
corrèvano i giorni i più vermigli della Rivoluzione. La tolle faceva la
testa senza riposo. Giorni, ricorda bene, nei quali per ottener l'eguaglianza
si calpestava la fraternità, e, proclamando i diritti dell'uomo,
legàvasi il volume riformatore in pelle umana. Il nostro collegio s'era fatto
deserto. Non vi restàvano che quelle poche, le quali non avèan potuto fuggire,
cioè sei o sette bambine del tempo mio e una ragazza intorno ai diciotto, che
noi chiamavamo la grande. Quanto alle suore, due — suora Clotilde e
suor'Anna — giòvani creature, amorose, che la nostra innocenza, in quelli
orrìbili tempi, più che tutt'altro, teneva in un continuo sbàttito.
Una mattina, noi, raccolte in una
pìccola sala, ascoltavamo suora Clotilde. Essa, con la sua voce vellutata e
soave, pingèvane le dolcezze della carità. Entra di pressa il giardiniere, e:
suora — dice — un commissario della Repùbblica… il ciabattino
Garnier. —
Suora Clotilde, impallidita oltre
il suo abituale pallore, si alzò: ben venga — disse.
Ma, a che il permesso? —
l'ex-tiraspaghi, in nome della onnipossente libertà,
se l'era già preso. Ecco apparire alla soglia un uomo dal viso tutto occhielli
e bottoni, con la sòlita fascia dai tre-colori, seguito da
mezza dozzina di mascalzoni, sùcidi, a strappi, armati di picche.
— Cittadina Beaumont! — egli
fece, nemmen toccando il berretto, ché cortesìa non è repubblicana virtù —
rispondi: ci hai quì una cotale Isolina, figlia di un sedicente conte della
Roche-Surville, smoccolato a Parigi? —
Suora Clotilde tremò: forse, le
sue purìssime labbra stàvano per proferire la prima bugìa. Senonché, i nostri
occhiettini avèano di già tradita Isolina. Anzi, ella si avèa da lei, sorgendo.
Era la grande. Oh la gentile figura! svelta, fràgile come un bicchier di
Murano: poi, di certe manine! mani sì bianche, sì trasparenti e voluttuose!
— Garnier — proruppe la
suora quasi piangendo — non per pietà! per giustizia. Voi non potete
strapparci questa delicata fanciulla, innocentìssima. Ella ci venne affidata
da' suòi genitori, e i suòi genitori son morti. Fòsser pur stati i più malvagi
del mondo, che ci può ella mai? e la Repùbblica nostra, gloriosa, come mai può
temere una ragazza, tìmida, senza parenti, nè amici, pòvera…
— Pòvera? — ghignò il
commissario — Con quella miseria alle dita? — e accennò a tre o
quattro anelli di lei, ùnica fortuna sua che or le tornava in disgrazia —
Intanto — ciò vèr gli straccioni alle terga — noi, pòpolo,
crepiamo di fame!… Cittadina Beaumont! guarda col tuo parlare anticìvico
di non obbligarmi a ritornare da te… guàrdati bene! —
E lì il birbone venne alla
giovinetta:
— Isolina la Roche —
disse — ti arresto! — e allungò la mano su lei.
— Largo! tu puzzi! — disse
arretrando la tosa.
— Aristocràta! — vociò il
canagliume.
Così, ne fu condotta via
un'amica: ed allorquando suora Clotilde, uscita dietro Isolina, rincasò verso
l'Ave-Maria, a noi che chiedevamo: e dunque? — venne
solo risposto: pregate —
S'andava chiudendo la sera. Prima
di coricarci, noi usavamo entrare in una stanza dedicata al Signore. Peraltro,
non vi si vedèa nessunìssimo segno della nostra salute. A mezzo allora di
gente, la quale imponeva la libertà del pensiero, tai segni, o per paura
o pudore, si nascondèvano. Noi li portavamo nel cuore.
E l'oratorio dava sur una viuzza
perduta. Quando splendeva la luna, non vi si accendèvano lumi. Quella sera
splendeva la luna.
Le suore s'inginocchiàrono senza
dire parola intorno di esse, noi; e pregammo.
Gemèa la calma notturna. Per chi
pregavamo, tu sai.
Ma, a un tratto, suono di vetri
spezzati; e, a terra, il tonfo di cosa morta. E un grido: vive la
république!
Balzammo in pie' sbigottite… Dio!
Sul pavimento giaceva tagliata una mano, bianca, ornata ancora di anella…
— Basta! — qui esclamava
Albertino, serràndosi all'ava. E rimanèa pensoso il resto della giornata. A
notte, sognava — e mani e mani spiccate, sotto chiaro di luna, che
gocciolàvano sangue, fine, bianchìssime, inanellate di topazi e smeraldi.
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