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Carlo Dossi
Goccie d’inchiostro

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  • GOCCIE D’INCHIOSTRO
    • 21 - I RACCONTI DI DONNA GIACINTA
      • 2. Isolina
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2. Isolina

 

Ti ho detto che mi avèano messa in un collegio di Francia; aggiungo ch'ei si trovava in una mezza città di provincia, Chateau-Mauvèrt. , mentr'io toccava i nove anni, corrèvano i giorni i più vermigli della Rivoluzione. La tolle faceva la testa senza riposo. Giorni, ricorda bene, nei quali per ottener l'eguaglianza si calpestava la fraternità, e, proclamando i diritti dell'uomo, legàvasi il volume riformatore in pelle umana. Il nostro collegio s'era fatto deserto. Non vi restàvano che quelle poche, le quali non avèan potuto fuggire, cioè sei o sette bambine del tempo mio e una ragazza intorno ai diciotto, che noi chiamavamo la grande. Quanto alle suore, due — suora Clotilde e suor'Anna — giòvani creature, amorose, che la nostra innocenza, in quelli orrìbili tempi, più che tutt'altro, teneva in un continuo sbàttito.

Una mattina, noi, raccolte in una pìccola sala, ascoltavamo suora Clotilde. Essa, con la sua voce vellutata e soave, pingèvane le dolcezze della carità. Entra di pressa il giardiniere, e: suora — dice — un commissario della Repùbblica… il ciabattino Garnier. —

Suora Clotilde, impallidita oltre il suo abituale pallore, si alzò: ben venga — disse.

Ma, a che il permesso? — l'ex-tiraspaghi, in nome della onnipossente libertà, se l'era già preso. Ecco apparire alla soglia un uomo dal viso tutto occhielli e bottoni, con la sòlita fascia dai tre-colori, seguito da mezza dozzina di mascalzoni, sùcidi, a strappi, armati di picche.

Cittadina Beaumont! — egli fece, nemmen toccando il berretto, ché cortesìa non è repubblicana virtù — rispondi: ci hai quì una cotale Isolina, figlia di un sedicente conte della Roche-Surville, smoccolato a Parigi? —

Suora Clotilde tremò: forse, le sue purìssime labbra stàvano per proferire la prima bugìa. Senonché, i nostri occhiettini avèano di già tradita Isolina. Anzi, ella si avèa da lei, sorgendo. Era la grande. Oh la gentile figura! svelta, fràgile come un bicchier di Murano: poi, di certe manine! manibianche, sì trasparenti e voluttuose!

Garnier — proruppe la suora quasi piangendo — non per pietà! per giustizia. Voi non potete strapparci questa delicata fanciulla, innocentìssima. Ella ci venne affidata da' suòi genitori, e i suòi genitori son morti. Fòsser pur stati i più malvagi del mondo, che ci può ella mai? e la Repùbblica nostra, gloriosa, come mai può temere una ragazza, tìmida, senza parenti, amici, pòvera

Pòvera? — ghignò il commissario — Con quella miseria alle dita? — e accennò a tre o quattro anelli di lei, ùnica fortuna sua che or le tornava in disgrazia — Intanto — ciò vèr gli straccioni alle terga — noi, pòpolo, crepiamo di fame!… Cittadina Beaumont! guarda col tuo parlare anticìvico di non obbligarmi a ritornare da te… guàrdati bene! —

E il birbone venne alla giovinetta:

Isolina la Roche — disse — ti arresto! — e allungò la mano su lei.

Largo! tu puzzi! — disse arretrando la tosa.

Aristocràta! — vociò il canagliume.

Così, ne fu condotta via un'amica: ed allorquando suora Clotilde, uscita dietro Isolina, rincasò verso l'Ave-Maria, a noi che chiedevamo: e dunque? — venne solo risposto: pregate —

S'andava chiudendo la sera. Prima di coricarci, noi usavamo entrare in una stanza dedicata al Signore. Peraltro, non vi si vedèa nessunìssimo segno della nostra salute. A mezzo allora di gente, la quale imponeva la libertà del pensiero, tai segni, o per paura o pudore, si nascondèvano. Noi li portavamo nel cuore.

E l'oratorio dava sur una viuzza perduta. Quando splendeva la luna, non vi si accendèvano lumi. Quella sera splendeva la luna.

Le suore s'inginocchiàrono senza dire parola intorno di esse, noi; e pregammo.

Gemèa la calma notturna. Per chi pregavamo, tu sai.

Ma, a un tratto, suono di vetri spezzati; e, a terra, il tonfo di cosa morta. E un grido: vive la république!

Balzammo in pie' sbigottiteDio! Sul pavimento giaceva tagliata una mano, bianca, ornata ancora di anella

 

Basta! — qui esclamava Albertino, serràndosi all'ava. E rimanèa pensoso il resto della giornata. A notte, sognava — e mani e mani spiccate, sotto chiaro di luna, che gocciolàvano sangue, fine, bianchìssime, inanellate di topazi e smeraldi.

 


 




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