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Carlo Dossi
Goccie d’inchiostro

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  • GOCCIE D’INCHIOSTRO
    • 22 - LA CASSIERINA
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22 - LA CASSIERINA

 

Dieci anni di meno — Alberto si trovava in campagna. Era solo, su 'n terrazzino della casa paterna che soprastava al villaggio, stanco, come generalmente si è agli sgòccioli di una domènica, il giorno del fare niente, e si sentiva la faccia accarezzata dalla frescura notturna. Poco innanzi, una ventina di razzi — imàgine della più desiderèvole vita, corta e splendente — avèa, per annunciare la chiusa di una festa paesana, stracciato l'àere, e apparecchiato tabacco di naso agli uccelli. Il cielo, nero-fulìgine. Tratto tratto, un lampeggio vi abbarbagliava per un batti-palpèbra, facendo brillare vetri, gronde ed ardesie: poi, tutto rintenebriva; e rispiccàvano le illuminate finestre. Ancor più nero dell'àere, il villaggio pareva allora un ammasso di spenti carboni.

E dal villaggio salìvano ad Alberto i suoni maleaccordati di un tamburo e una tromba. Essi di tempo in tempo, cedèvano a una voce di donna, acuta… Di botto, Alberto, si parte dal terrazzino, stacca un cappello dal muro, esce di casa; e, giù per l'erta arriva al sagrato.

In cui, a mezzo di una folla di vìllici e in pie' su 'na panca, illuminata da fiàccole, era un toccone di carne fèmina, con i capelli a cespo di maggiorana, le guancie a pane buffetto, e la pappagorgia: sua veste, una petturina di raso non bianco, e una gonnella di garzo; sotto, due colonnette da balaustrato. Il che maledettamente stonava con la vocina di lei. Ma ella ricorreva spesso al tamburo. Allora, un uomo alla destra, in maglie, con una cera da pignatta bruciata, strideva una tromba; e intanto, un pagliaccio a sinistra, abbigliato da Meneghino, gambuto di uno a ventre di contrabasso e a muso biacca-e-mattone, gestiva, e, in ràuca voce, quasi annegata nell'aquavite, gridava.

E i tre saltimbanchi, rullando il tamburo, suonando la tromba, facendo un fracasso per trenta, si mèttono in marcia: dietro, la beceraglia intruppata, a zufoletti ed a fischi.

I saltimbanchi vanno alla loro baracca. Ma, ivi, perché la folla si arresta? È che tira vento di rame. Ha bel strillare il donnone: «sotto, pòpolo generoso! si tratta della miseria di un dieci-centèsimi…» tutti rimàngono sodi. Corre quel diffidente sospetto, che è la prudenza di chi moltissimo ignora e poco ragiona.

Alberto volle ròmpere il ghiaccio. Si fe' coraggio, e, camminato vèr la baracca — ove si stava a cassiere una tosuccia di circa otto anni, in bianco, con un visino stregato, gli occhi nerìssimi, lùcidi lùcidi, forse dal lagrimare continuo, ed i braccetti nudi, che ricordàvano i bastoncini del  — buttò una moneta sul tondo.

Fu 'n soldo che diede un suono di argento.

— Lei… — prese a dire la bimba, tirando una falda ad Alberto. Ma non disse di più. Il saltatore dal muso affumato, avèa grugnito con ira. Ella serrò le palpèbre come a tuono imminente, e Alberto, che s'era volto e avèa egli pure compreso, taque, e con stringicore seguitò la sua via.

Noti — chi si diletta a dipìngere — come pezzi di tela e pali formàsser due lati della baracca; gli altri, un muro di orto. E, nell'interno, si vedèvano panche, un pajo di cavalletti con padelline di grasso a fumosa fiammella agli estremi, e un organetto guardato da un cane barbone: volta, quella del cielo.

Quanto però a spettatori, all'entrare di Alberto non si toccava la mezza dozzina. Senonché, il panno tira il frustagno. « tu… vengo ancor io» appena Alberto fu dentro, èbbevi ressa alla porta; e nella baracca, folla.

E cominciàrono i giuochi — giuochi infami!

Imàgina due piccini, di non più di sei anni per uno, pezzati di nudo e con le animuccie pelle pelle, ballottati senza misericordia; e imàgina una tosuccia (la cassierina) incesa da bicchieretti di branda, a saltar trafelata, cerchi, corde e sedili, tossendo, e gettando a guisa di gioja i gridi che le strappava il dolore.

A un punto, sdrucciolàtole il piede, la cadde contro del muro; il muro era, per pasta, di quelli di Gèrico.

Alberto non potè più durarla, si alzò, e dilungossi coll'ànimo arrovesciato. E, quella notte, nella fantasìa di lui, fu un vai-e-vieni; ora, di vispi e puliti bambini dal sentore di cipria, cui, parlando, ognuno addolciva e le parole e la voce, e i quali, se piangèvano mai, era per non riuscire a spezzare tutti i loro balocchi; ora, invece, di avvizziti puttini — meglio, di pìccoli vecchi — a strappi, lavati dalle loro làgrime solo, mai da nessuno baciati, mai sorrisi, quì a rosicchiare secchetti di pane dinanzi alle golose mostre di una rosticcerìa, rannicchiati entro un pagliajo, bubbolando pel freddo, in compagnìa di qualche cane perduto o abbandonato com'essi.

Il domani, Alberto, si destò di buon'ora. Bisogno, più che non voglia, stringèvalo a ritornare sul luogo del crudele spettàcolo. E, come vi fu, trovò la baracca, spiantata; sen caricava un carretto. Sopra del quale, uno de' saltatori (quel dal mostaccio di spazzacamino) in maglie ma con la giacchetta a ridosso, dava di piglio ad un palo pòrtogli dal Meneghino. E questi era giù, la camicia slacciata (il che scopriva degli àgnus) col muso ancor mezzo dipinto e mezzo verd'aglio. accosto, i due pòveri bimbi sotto di un asse, uno per capo, aspettando; in fondo, il donnone, floscio carname, in ginocchio, che legava un fardello.

E, tra i curiosi, Alberto. L'occhio di cui, più che a tutt'altro, indugiò sulla faccia di uno dei due tormentati piccini, faccia sparuta, smorta, ma intelligente che mai. Poterne cangiar l'avvenire, quale felicità! E, Dio sa che cammino di gloria gli si sarebbe dischiuso!… Una frasuccia bastava

Ma la frasuccia non venne, ma Alberto si allontanò.

Ché a lui mancava qualch'altro da rivedere, pur non sapeva dir che. Proprio, come allorquando s'ha una parola da proferire, se ne conosce il suono, se ne conosce il valore, ma non c'è verso di spiccicarla; notando poi, che la cosa, cui tal parola è veste, torna, apparendo, moltìssime volte inaspettata.

La quale cosa, ad Alberto (che svoltava in un vìcolo) fu 'na tosetta, seduta sullo scalino di una portella, fisa a un collo di fiasco, rimàstole in mano: a terra, dinanzi a lei, cocci di vetro ed una traccia di rosso.

La cassierina! Perché sì assorta? Già, era vano di attèndere una di quelle fate benigne, le quali, a bei tempi andati «splif splaf» avrebbe, con un colpetto di verga, riuniti i vetruzzi, e riempiuto la boccia. Il vino continuava a colare. Ma ella non si moveva. Tanto ! le busse non le avrebbe perdute. Se lei non andava, loro sarèbber bene venuti. Oh! per le busse, non la dimenticàvano… mai… — E tristamente, girava il collo del fiasco.

— Tu! — disse Alberto.

La ragazzetta alzò due occhioni neri e gonfi dal pianto.

— Ti batteranno, eh? — dimandò egli con una voce pietosa.

Ella bassò la testina, e sospirò.

Prendi — fe' Alberto, rovesciàndole in grembo tutto quanto avèa in tasca… e soldi di rame e soldi d'argento. Poi, fuggì via.

Due sguardi maravigliati e di riconoscenza lo accompagnàrono. Ei non li vide; li sentì.

 


 




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