22 - LA
CASSIERINA
Dieci anni di meno — Alberto
si trovava in campagna. Era solo, su 'n terrazzino della casa paterna che
soprastava al villaggio, stanco, come generalmente si è agli sgòccioli di una domènica,
il giorno del fare niente, e si sentiva la faccia accarezzata dalla frescura
notturna. Poco innanzi, una ventina di razzi — imàgine della più
desiderèvole vita, corta e splendente — avèa, per annunciare la chiusa di
una festa paesana, stracciato l'àere, e apparecchiato tabacco di naso agli
uccelli. Il cielo, nero-fulìgine. Tratto tratto, un
lampeggio vi abbarbagliava per un batti-palpèbra, facendo
brillare vetri, gronde ed ardesie: poi, tutto rintenebriva; e rispiccàvano le
illuminate finestre. Ancor più nero dell'àere, il villaggio pareva allora un
ammasso di spenti carboni.
E dal villaggio salìvano ad
Alberto i suoni maleaccordati di un tamburo e una tromba. Essi di tempo in
tempo, cedèvano a una voce di donna, acuta… Di botto, Alberto, si parte dal
terrazzino, stacca un cappello dal muro, esce di casa; e, giù per l'erta arriva
al sagrato.
In cui, a mezzo di una folla di
vìllici e in pie' su 'na panca, illuminata da fiàccole, era un toccone di carne
fèmina, con i capelli a cespo di maggiorana, le guancie a pane buffetto, e la
pappagorgia: sua veste, una petturina di raso non bianco, e una gonnella di
garzo; sotto, due colonnette da balaustrato. Il che maledettamente stonava con
la vocina di lei. Ma ella ricorreva spesso al tamburo. Allora, un uomo alla
destra, in maglie, con una cera da pignatta bruciata, strideva una tromba; e
intanto, un pagliaccio a sinistra, abbigliato da Meneghino, gambuto di uno a
ventre di contrabasso e a muso biacca-e-mattone, gestiva,
e, in ràuca voce, quasi annegata nell'aquavite, gridava.
E i tre saltimbanchi, rullando il
tamburo, suonando la tromba, facendo un fracasso per trenta, si mèttono in
marcia: dietro, la beceraglia intruppata, a zufoletti ed a fischi.
I saltimbanchi vanno alla loro
baracca. Ma, ivi, perché la folla si arresta? È che là tira vento di rame. Ha
bel strillare il donnone: «sotto, pòpolo generoso! si tratta della miseria
di un dieci-centèsimi…» tutti rimàngono sodi.
Corre quel diffidente sospetto, che è la prudenza di chi moltissimo ignora e
poco ragiona.
Alberto volle ròmpere il
ghiaccio. Si fe' coraggio, e, camminato vèr la baracca — là ove si stava a
cassiere una tosuccia di circa otto anni, in bianco, con un visino stregato,
gli occhi nerìssimi, lùcidi lùcidi, forse dal lagrimare continuo, ed i
braccetti nudi, che ricordàvano i bastoncini del tè — buttò una moneta sul
tondo.
Fu 'n soldo che diede un suono di
argento.
— Lei… — prese a dire la
bimba, tirando una falda ad Alberto. Ma non disse di più. Il saltatore dal muso
affumato, avèa grugnito con ira. Ella serrò le palpèbre come a tuono imminente,
e Alberto, che s'era volto e avèa egli pure compreso, taque, e con stringicore
seguitò la sua via.
Noti — chi si diletta a dipìngere —
come pezzi di tela e pali formàsser due lati della baracca; gli altri, un muro
di orto. E, nell'interno, si vedèvano panche, un pajo di cavalletti con
padelline di grasso a fumosa fiammella agli estremi, e un organetto guardato da
un cane barbone: volta, quella del cielo.
Quanto però a spettatori,
all'entrare di Alberto non si toccava la mezza dozzina. Senonché, il panno tira
il frustagno. «Và tu… vengo ancor io» appena Alberto fu dentro,
èbbevi ressa alla porta; e nella baracca, folla.
E cominciàrono i giuochi —
giuochi infami!
Imàgina due piccini, di non più
di sei anni per uno, pezzati di nudo e con le animuccie lì pelle pelle,
ballottati senza misericordia; e imàgina una tosuccia (la cassierina) incesa da
bicchieretti di branda, a saltar trafelata, cerchi, corde e sedili, tossendo, e
gettando a guisa di gioja i gridi che le strappava il dolore.
A un punto, sdrucciolàtole il
piede, la cadde contro del muro; nè il muro era, per pasta, di quelli di
Gèrico.
Alberto non potè più durarla, si
alzò, e dilungossi coll'ànimo arrovesciato. E, quella notte, nella fantasìa di
lui, fu un vai-e-vieni; ora, di vispi e puliti bambini dal
sentore di cipria, cui, parlando, ognuno addolciva e le parole e la voce, e i
quali, se piangèvano mai, era per non riuscire a spezzare tutti i loro
balocchi; ora, invece, di avvizziti puttini — meglio, di pìccoli
vecchi — a strappi, lavati dalle loro làgrime solo, mai da nessuno
baciati, mai sorrisi, quì a rosicchiare secchetti di pane dinanzi alle golose
mostre di una rosticcerìa, là rannicchiati entro un pagliajo, bubbolando pel
freddo, in compagnìa di qualche cane perduto o abbandonato com'essi.
Il domani, Alberto, si destò di
buon'ora. Bisogno, più che non voglia, stringèvalo a ritornare sul luogo del
crudele spettàcolo. E, come vi fu, trovò la baracca, spiantata; sen caricava un
carretto. Sopra del quale, uno de' saltatori (quel dal mostaccio di
spazzacamino) in maglie ma con la giacchetta a ridosso, dava di piglio ad un
palo pòrtogli dal Meneghino. E questi era giù, la camicia slacciata (il che
scopriva degli àgnus) col muso ancor mezzo dipinto e mezzo verd'aglio.
Lì accosto, i due pòveri bimbi sotto di un asse, uno per capo, aspettando; in
fondo, il donnone, floscio carname, in ginocchio, che legava un fardello.
E, tra i curiosi, Alberto.
L'occhio di cui, più che a tutt'altro, indugiò sulla faccia di uno dei due
tormentati piccini, faccia sparuta, smorta, ma intelligente che mai. Poterne
cangiar l'avvenire, quale felicità! E, Dio sa che cammino di gloria gli si
sarebbe dischiuso!… Una frasuccia bastava…
Ma la frasuccia non venne, ma
Alberto si allontanò.
Ché a lui mancava qualch'altro da
rivedere, pur non sapeva dir che. Proprio, come allorquando s'ha una parola da
proferire, se ne conosce il suono, se ne conosce il valore, ma non c'è verso di
spiccicarla; notando poi, che la cosa, cui tal parola è veste, torna,
apparendo, moltìssime volte inaspettata.
La quale cosa, ad Alberto (che
svoltava in un vìcolo) fu 'na tosetta, seduta sullo scalino di una portella, fisa
a un collo di fiasco, rimàstole in mano: a terra, dinanzi a lei, cocci di vetro
ed una traccia di rosso.
La cassierina! Perché sì assorta?
Già, era vano di attèndere una di quelle fate benigne, le quali, a bei tempi
andati «splif splaf» avrebbe, con un colpetto di verga, riuniti i
vetruzzi, e riempiuto la boccia. Il vino continuava a colare. Ma ella non si
moveva. Tanto fà! le busse non le avrebbe perdute. Se lei non andava, loro
sarèbber bene venuti. Oh! per le busse, non la dimenticàvano… mai… — E
tristamente, girava il collo del fiasco.
— Tu! — disse Alberto.
La ragazzetta alzò due occhioni
neri e gonfi dal pianto.
— Ti batteranno, eh? —
dimandò egli con una voce pietosa.
Ella bassò la testina, e sospirò.
— Prendi — fe' Alberto,
rovesciàndole in grembo tutto quanto avèa in tasca… e soldi di rame e soldi
d'argento. Poi, fuggì via.
Due sguardi maravigliati e di
riconoscenza lo accompagnàrono. Ei non li vide; li sentì.
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