23 - UN
ROMANZO ABORTITO
Notte; il cortil delle poste. In mezzo,
nell'ombra, una diligenza a gobba coperta di tela cerata, alla quale, degli
stallieri in camiciotto azzurro, attàccano tre robusti cavalli. E intanto,
presso un lampione, il cocchiere aggroppa una nuova scoppiarella alla frusta.
— L'interno, completo — fà
un uomo a berretto listato di oro, scendendo lo smontatojo dell'òmnibus.
E va a dare un'occhiata al coupé.
Vi è un giòvane intabarrato.
— Uno — egli dice,
consultando un libretto; poi, volgèndosi al pòrtico — manca un signore! il
signore nùmero due.
— Signore… nùmero due! —
ripete alla soglia della sala da pranzo una voce.
Quì il vetturino, per le
maniglie, s'arràmpica vèr la cassetta.
— Eccolo! — grida un ragazzo
Infatti, due donne èntrano
frettolose dalla porta di strada; si fèrmano alla diligenza; si abbràcciano;
bàciansi; pènano a separarsi. Ed il commesso si mette a far note; il vetturino
si calza i guanti più adagio.
Ma concambiato è l'ùltimo bacio.
— Olà! op op! — vocia il
cocchiere, raccogliendo le briglie e schioccando la frusta. E la grave carrozza
si muove, passa lentamente il portone, e ruota sui trottatoi di granito. Vi ha
passeggieri, di quelli infelici, costretti, nell'ampiezza del mondo, a trarre
la vita entro quel torno di mura di cui nàquer prigioni, che l'accompàgnano con
un sospiro. Molti de' viaggiatori sospìrano invece nel lasciare la gabbia.
Nel coupé, Alberto, il
quale sembra dormire, guarda la sua vicina, sott'occhio. Egli, nel nùmero
due, non aspettàvasi certo una donna, e, quel ch'è più, una donna giòvane e
bella come gli avèan tradito i fanali. Troppo desiderava e temeva ciò. Ora, il
cuore gli langue in una commozione dolcìssima. La sua compagna stà avvolta in
un waterproof, il velo del cappellino giù. Tra essi, posa una sacchetta
di cuojo, poca barriera, ma che val, per l'onore, quanto una catena di monti.
E chi potèa mai èssere la
solitaria viaggiatrice? Alberto vìdela trarre un fazzoletto di tasca, e pòrselo
agli occhi; dunque, una istoria di pianto! Tosto, il cervello di lui si die' a
fabricare romanzesche avventure, tuttavìa e' s'annaspava vieppiù; tuttavia e'
sentiva quello smarrimento di sé, quell'abbandono, che precèdono il sonno. Nè
c'era di mezzo se non il rumor del selciato; sì, che allorquando si cominciò a
còrrer soave sur il battuto, Alberto non finse più di dormire.
Come destossi, la luna splendeva
diritto nei vetri innanzi al coupè, illuminando, al di là, i dorsi e le teste
dei tre cavalli; di quà, egli e la vicina di lui, sopita. Il velo del
cappellino era su. L'ovale sua faccia, da cui le làgrime avèano cancellato e il
colore e il sorriso, pareva al melancònico chiaro uno schizzo a carbone su 'n
bianco muro. Dio sa quali occhi sotto quelle palpèbre a lunghe ciglia di seta!
E il guardo del nostro amico,
vinto da incandescenza cotanta, dovette abbassarsi. Dal waterproof di
lei, sopra un ginocchio, usciva una mano guantata, stringente una lèttera.
Un'ora passò. Svegliossi anche la
bella, s'addiede di ciò che avèa tra mani, e, volto alla sfuggita un'occhiata
ad Alberto, l'aprì.
Quella lèttera avea
forte-impresse le pieghe, ed era sciupata. L'incognita
stette un istante indecisa, poi la stracciò, e tornolla a stracciare; sogguardò
un'altra volta ad Alberto, si alzò, e, sceso un cristallo (senti che brezza!)
sparpagliò fuori i pezzetti. Quanto al suo cuore, era di già lacerato!
Impallidisce la luna; la punta
del freddo si agozza. Con il dissòlversi di una spolverina di nebbia, si
diségnano e stàccano su 'n fondo celeste a pennellate rosee, violette ed
arancie, le creste delle montagne, e de' villaggi i contorni. Il gallo, canta.
E, come la machinosa carrozza, in
discesa con uno stridore di scarpa, tocca un acciottolato, la sconosciuta si
tira in grembo la sua sacchetta di cuojo.
Ecco! la diligenza si arresta.
Generale risveglio nell'òmnibus; vi si scuòton le membra intorpidite da
uno scòmodo sonno; si danno i diti negli occhi; si ritròvan le gambe; qualcuno,
il torcicollo; altri, il naso intasato. E un uomo, di barba nera, smorto e
accigliato, apparso, di là dei vetri innanzi al coupé, illuminando, al
di là, i parole, che Alberto non riesce a far sue, alla giòvane. La quale
smonta…
Lontan lontano, in una selva di
quercie, tetti acuti e torri…
— Olà! op op! — fà il
vetturino di nuovo, riprovando la voce inumidita ad un fiasco. E il carrozzone
ripiglia la pesante sua corsa, mentre l'amico nostro mira con amarezza
l'abbandonato canto. Ella, per lui, non è più. Quale sorte attendèvala?
Ma a terra è un brano di lèttera
che gli potrebbe rispòndere.
Alberto il raccoglie, e… Scusa,
lettore! lo straccia a minutissimi pezzi.
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