28 - DE
CONSOLATIONE PHILOSOPHIAE
— Dio solo il potrebbe —
rispose solennemente il dottore.
Il volto di Arrigo assunse la
pallidezza del volto della sua giòvine sposa, che — gravato il ciglio
dalla mano di morte — giacèvagli innanzi in quel letto, di tanta gioja
ricordo e di tanta vita. Arrigo stette per dare in un urlo; si frenò a stento,
e non potendo altrimenti, corse a celare l'ambascia nella stanza vicina. E là
cadde in una poltrona, le palme alla faccia.
Pòvera Lisa! pòvera Lisa! Non un
anno, da che èragli apparsa nella solitaria e brulla sua via, qual rugiada,
qual fiore — e vedèvasela ancora, petulante di gioventù e freschezza,
entrargli nell'ammuffìto studio, a mèttergli in fuga i topi e le tarme, ad
aprirgli le imposte al sole che crea, all'innamorata natura. Oh i libri si
vendicàvano ben crudelmente della loro rivale!
E Arrigo singhiozzò disperato.
Ma e non un conforto a tanta e sì
orrenda e improvvisa jattura? dovrà mai l'uomo esser lasciato solo, senza
difesa, alle belve affamate de' propri dolori? Che gli giovava di avere, anni e
anni, impallidito sui libri, mietendo altrùi esperienza, quand'ora, in bisogno,
non se ne sapeva comporre un panetto? A che studii se non apprendi a vìver da
amico colla sventura, tua obbligatoria compagna? a che pensi?
O vieni, filosofìa! tu che
guardando le cose e gli avvenimenti fuori di noi, li vedi nella loro essenza e
non nella loro relatività — tu che trovi a tutto una scusa e nulla ti fà
stupore: filosofìa, che hai fatto ricca la povertà di Epicuro e felice la
ricchezza di Sèneca; che hai in una dìsputa con sperimento cangiato l'agonìa di
Sòcrate e in una tranquilla accademia l'impero di Marco — o tu che non
abbandoni chi ti ama; ùnico patrimonio salvo dai colpi della fortuna.
Vieni e confòrtami. Dalle tue
eccelse regioni, imperturbabilmente serene, ben sai il mondo cos'è — : un
punto, un quasi impercettìbile punto. Che è dunque colle sue piccine passioni
la umanità? anzi — «fra il lampo di vita ed il tuono di morte» ov'è
l'uomo?
Filosofìa, dammi, se non il
sorriso, l'indifferenza almeno del saggio. Menti, ma consòlami.
Non c'è male, m'hai detto, donde
bene non sorga. Natura è perpetuamente, incorreggibilmente buona. Al disopra di
quelle nerìssime nubi, splende immacolato l'azzurro: si scioglieranno le nubi,
l'azzurro mai. Se ti par dunque la vita un doloroso sospiro, non è forse la
morte la cessazione di quello? e se la morte è di un dolore la fine, perché la
invidi, la imprechi, la vuòi furare a chi ami?
Ami! — sì è vero — ma
avresti amato poi sempre? — Lisa era bella… la vecchiaja avrèbbela resa
brutta: Lisa era buona… la bruttezza l'avrebbe fatta sembrare cattiva. Ma, or
morendo immatura, essa ti lascia il ricordo di lei intatto. Ti sarà sempre e
giòvane e bella e soave e… tua. Di desiderio più che di soddisfazione cibasi
Amore. Eternamente si àmano gli ideali perché non raggiùngonsi mai. Cosa invece
che cominciò, è destinata a cessare. Or non è meglio che cessi innanzi la
sazietà?
Eppòi tu se' nato agli studii.
Vògliono pace gli studii… Dove trovare mai pace fuorché in solitùdine?
Distratto dalle quotidiane meschinissime cure della famiglia, con un occhio
alla pèntola aspettata dai tuòi figliuoletti e l'altro alla tua letteraria
coscienza, avresti tutta la vita, per dir così, loscheggiato, di te
insoddisfattissimo. Chi non procede per una sol via, di nessuna va a capo: chi
l'arco non tende del proprio intelletto ad un ùnico scopo, nulla colpisce.
Ringrazia dunque la provvidenza, che per l'utile prova del duolo ti riconduce
alla felicità. I tuòi libri ti han perdonato e ti attèndono, pronti a riaprirti
i loro tesori, a lasciarsi ancor lèggere, fra linea e linea e nei màrgini, i
riposti veri. Quali ore, quali giorni di voluttà con quèi tuòi vecchi compagni!
Eccoti allo scrittojo, fatto un sol corpo con esso, immèmore delle immondissime
carni, palla galeotta dell'ànima, immèmore di quel bagno penale che chiàmasi il
mondo — èccoti, nell'abbraccio fecondo con un altro cervello, generando
idèe da idèe, conquistando terreno sull'avvenire — aggiungendo nuovi
piuoli alla infinita scala vèr Dio…
E già il singulto di Arrigo
taceva e trionfàvagli la pupilla. Filosofia tanto invocata gli stava seduta
sulle ginocchia e reclinava la testa contro la spalla di lui.
Quand'ecco, il dottore. La sua
faccia da lunga èrasi fatta tonda.
Stupirono l'uno dell'altro.
— Salva! — esclamò con voce
commossa il dottore.
— Davvero? — fe' Arrigo.
La voce d'Arrigo scrocchiò.
Era gioia? Quà coi vostri
lambicchi, chimici dei sentimenti.
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