Ma l'indomani dell'amorosa
dichiarazione, Enrico anticipò di qualche ora la sua venuta in casa Morelli,
cogliendo giusto il momento che la fanciulla era fuori. Quel dì, Enrico, avèa
un aspetto grave, bùrbero, il signor Pietro.
— Ho da parlarle — disse il Giorgini,
inchinàndosi al vecchio; e siedette.
— Anch'io — oppose costùi
con un sogghigno di tristìssimo augurio.
— Dica — acconsentì il
giovanotto.
— No; dica lei — ribattè il
signor Pietro.
Dunque, Enrico, piegossi un po'
indietro sulla spalliera della sua sedia, passando la mano alla bocca e
accarezzàndosi il mento. Forse, avèa apparecchiato un discorso, ma il discorso
era ito.
Il babbo di Aurora lo guatava
attendendo.
Enrico si stancò di cercare:
— Signore — disse con
risoluto cenno di capo — parliamo sgusciato. Io adoro sua figlia e gliela
chiedo per sposa. —
Ve', il signor Pietro non mosse
pure palpèbra. Ma con calma rispose, calma di temporale però:
— Seppi io jeri, che ella
faceva la corte a mia figlia; oggi lei sappia, che, quanto a sposarla, nichts! —
Enrico sentissi le bragia sul
viso; pure, si limitò di arricciarsi i mostacchi; e con le belle belline difese
la causa sua e di ogni cuore gentile; toccò dell'immenso amore per lei, amore
che pareggiava sol quello della ragazza per lui…
Al che, il signor Pietro sbuffava
e barbugliava tra le gengive: oh! mèttere in succhio una tosa… scusate se è
poco!… già; al taglio come le angurie… chiòh eh!
Poi, Enrico lasciò il tema su amore
e parlò numerario; disse, ch'ei non si chiamava Giorgini; sì bene
San-Giorgio, dei San-Giorgio di Ponte
(che volèa dir milionari) per cui, egli ed Aurora, avrèbbero circondato il lor
babbo di tutti gli agi possìbili.
La quale ùltima corda non sonò
male al pappà.
— Insomma — finì il
giovanotto, pigliando a colùi, con preghiera e speranza, una mano — ella
può fare la felicità di noi due.
Bene; questo argomento — chi
non vuol crèder non creda — ruinò tutta la càusa. Il falso egoismo susurrò
tosto all'infermo, che là ove due si àman da vero, un terzo è di troppo; ch'ei
sembrerebbe una pezzuola-cotone, a villani colori, sudicia,
in un cassettino di fazzoletti-battista, a ricami,
bianchìssimi, profumati; poi, susurrò ch'egli trarrebbe la vita in un palazzo
sì, ma non suo, in mezzo a tappeti, a tappezzerìe di stoffa, a mobiglia
intarsiata, ma di altri… e d'altri anche la figlia! e, tra una folla di servi,
servo; in conclusione, ch'egli vivrebbe splendidamente di carità, senza
il diritto ad un lagno. E Aurora intanto ed Enrico, a divertirsi, a gioire!… gaudiumque
coeli poena poenàrum damnàtis.
Rispose dunque di netto:
— No —
No? Enrico era di sùbita ira.
Abbiate pazienza! c'è il vino spumante e c'è il muto. Enrico, alzàtosi
impetuoso, appoggiò sur il tàvolo un pugno, tale, che lo isfondò, gridando:
— Cattivisìssimo uomo! —
Il signor Pietro, lui e la sua
poltrona, ruzzolò fino in fondo alla stanza, pàllido, come se l'omèrica botta
avèsselo contracolpito.
— Fuori!… via!… — gridava;
ed Enrico spaventato dallo spavento del vecchio, pigliò a precipizio la porta.
Ma, a mezza scala, diede nella
fanciulla.
— Aurora! — esclamò,
baciàndola in viso — io ti chiesi a tuo padre. Egli… mi ti ha negata!… Lo
spaventài… perdona — e in quattro frasi la fece conta di tutto.
Ed essa? Essa pure baciollo…
basta? sì ch'egli uscì che lanciava scintille.
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