3 - LA
PROVVIDENZA
Oh aveste avuta una mano sul
cuore della fanciulla Claudia, quand'ella incontrava, là dove la scala potèa
ancor dirsi scalone, un certo giòvane bruno, e di capelli e di occhi e di baffi
nerìssimi! Tuttavìa, egli non salutava in lei che la figliola del padrone di
casa, e salutava senza pure fisarla. Egli era pòvero e bello, ma non si sentiva
che pòvero.
Chi fosse, udiamo la portinaja:
«un giòvane molto gentile — ché le chiudeva sempre la porta e accarezzava
il micino — il quale, da circa tre mesi, avèa tolto a pigione una stanza
nelle soffitte. Precisamente non sovvenìvane il nome, ma quel si vedeva
stampato e attaccato su pei cantoni, come maestro di… di… non ricordava di che.
Nondimeno, gli affari suòi, quali si fòssero, non dovèano còrrere a olio;
nessuno ne avèa mai chiesto; ed egli, se spesso usciva con dei fardelli,
rientrava sempre a man vuote.»
Alle quali parole, Claudia,
volgèvasi in fretta, e lasciando la portinarìa, salìva nelle sue stanze. Là,
presto abbandonava il ricamo per l'ago; l'ago per i fiori di carta, metteva
insieme, o una rosa turchina o un geranio verde; poi, indispettita anche dei
fiori, s'andava a sedere nel vano di una finestra con un qualche romanzo. E
Lisa Angiolelli, che gliel avèa appostato non appena finito, si
guadagnava a pazienza il suo spicchio di cielo.
Altre notizie intorno al giòvane
bruno, Claudia le ebbe da cui meno pensava, da un cugino di lei, Pietro
Bareggi: chi lo conobbe?… un mangia-dormi dalla faccia
intontita?… con un eterno sorriso senza perché?… un seccatore atroce?…
No? — Già; i connotati sono un po' troppo comuni. Pietro faceva
assiduamente la corte alla bella cugina, e in generale s'avèa per il suo sposo
futuro. Nondimeno, se è vero che molti folletti in gonnella lo sospiràssero
come un marito completo, io v'assicuro che la nostra ragazza la pensava
diverso.
Bene, questo Pietro Bareggi,
uscendo un dopopranzo in carrozza con la cugina e il padre di lei (un mezzo accidentato
e tutto acciuchito, antico beone in cui s'era rifatto al rovescio il prodigio
delle nozze di Cana) Pietro, dico, salutò il bel giòvane bruno, che rincasava
in quel punto.
— Lo conosci, tu? — disse
con vivacità la ragazza.
Nota, lettore, che Claudia con
quel suo scimunito parente, stava sempre imbronciata; sul dimandare, mai; sul
rispondere, rado; e, puta il caso, con dei sì o dei no.
L'inaspettato favore die' quindi un sorriso al pòvero goffo, che:
— Altro! — disse, e cominciò
a narrarle (avverti ancora, lettore, che per amor tuo, insàlo tanto o quanto il
suo parlare fatuo) com'egli, due o tre estati prima, avesse conosciuto a Nizza,
in quel giòvine bruno, un tal Guido Sàlis, conte, ricco allora da parte di
madre di un diecimila e passa lire di rèndita. Ma, Guido avèa per babbo uno
strappacasa, giocatore finito e di borsa e di bisca. Il quale, un bel giorno,
fatto, cinquanta e dieci, trenta, andò con un po' di stricnina a stoppar la sua
buca. Una fortuna, vero? Senonché Guido volle prefìgerle un'esse, e
accettò la successione paterna. Ed èccolo intorniato da un nùvolo di
scortichini, con fasci di carte sgorbiate, bollate. Egli, giù allegramente a
pagare! paga di quà, paga di là, non si trovò infine avanzati che i piedi fuor
dalle scarpe.
— E jeri l'altro — aggiunse
il cugino — lo rincontrài quì da noi. Quantunque molto male in arnese, ed
io moltìssimo bene, attraversài la via apposta. Già, si sa, io sono un
signore alla mano, io. E lo invitài a pranzo: parèami dire il suo viso «ho
fame» giusto, come le sue scarpe — (e quì il cugino sbassò un'occhiata di
compiacenza alle proprie, nuove e a vernice) — Che vuòi? rifiutò. E con un
far di superbia! Aqua! —
Ma, no; io sostengo il contrario.
Guido, superbo? Oh l'aveste veduto, pochi dì appresso al racconto di Pietro,
far capolino, con il cappello fra mani e in aria di soggezione, nella
ragionerìa Bareggi! Claudia, che a caso ivi era, il può dire.
Sàlis veniva all'amministratore,
e, nel pagargli una parte arretrata di fitto, si congedava dalla cameretta sua e
da lui.
La bella ragazza lo fisò
tristamente.
L'amministratore borbottò una
frase convenzionale di dispiacere.
Il giòvane allora, sempre con lo
sguardo vèr terra, salutò e si volse.
— Fàtegli agio — suggerì,
sottovoce e con pressa, Claudia all'amministratore.
Il quale:
— Signore — fece — se è
per il fitto… —
La faccia di Guido imbragiò:
— Grazie! — disse — ma
io… io parto per l'Oceania — e, salutando ancora, sparì.
Al trach della porta che
si chiudèa dietro di lui, rispose una fitta violente nel cuore della ragazza.
Ella capì di quale incendio e di quanto avvampasse.
Partito Guido, sembrò insieme
partito dalle labbra di lei, il sorriso. Claudia lasciò le amiche, i libri, le
passeggiate; prese a cibarsi a fregucci, a limarsi nell'ànima; e, dalla fresca
fanciulla a cera spazzata di un tempo, a cambiarsi in una di viso affilato,
smorto, balogio.
Fu poi, in quel torno, che quello
sfasciume di un padre di lei, da un pezzo a sé non più vivo, cessò di morirle.
Ciò pòrsele alquanto sollievo, le disfogò quel lago di làgrime, che dalla
partenza di Guido le si era al di dentro ammassato; per la ragione stessa per
cui, in piena battaglia, un bravo maggiore mio amico, tôcco leggermente nel
naso, diede in quelli urli, i quali, una prima e grave ferita in luogo meno
eminente, gli provocava. E invano, Pietro cugino, commosso allo
struggimento di Claudia, cercò a forza di buffonate di ridonarle allegrìa e di
rimètterla in carne. Pena gettata il fare da nano, il travestirsi da cuoco, il
travestirsi da balia! non otteneva da lei un sorriso, neanche di sprezzo.
Ma un dì, il sincerone disse
all'afflitta cugina di avere, in una viuzza perduta, incontrato ancor Guido. E
Guido, questa volta, non gli avèa pur reso il saluto!
— O il mio carìssimo
Pietro! — sclamò la fanciulla con un sorriso di gioia, disincantàndosi
quasi. E a pranzo mangiò due bistecche. Piàcciavi o no, sentimentali lettrici,
stòmaco e cuore sono vicini di casa.
E quì verrèbbemi il taglio per un
sermone circa le gioje morali, le ùniche vere, che la ricchezza potrebbe apportare.
Apporta anche fastidi non dico di no, ma, come scrisse un milanese brav'uomo
«ogni qualunque cosa ha due mànichi» nè, ora, sarebbe il caso di mètter mano al
sinistro. Intorno al quale, parlerò poi a lungo, a consolazione degli
spiantati, lor dimostrando anzitutto, che se i nudi a quattrini vòlgono in capo
i più generosi e i più bizzarri progetti, i ricchi, per contrappeso, hanno i
denari, solo.
Pur tuttavìa si danno eccezioni:
èccone una:
Alcuni giorni dopo che Sàlis fu
segnalato alla tosa da quel gaglioffo cugino, un servitore di lei ne scopriva
la casa ed entrava in un desolato stambugio, dove, neanche il sole, universale
parente, si era mai arrischiato. E il servitore offriva a Guido un viglietto,
con tali parole:
— Da parte della signorina Bareggi.
Sàlis lo pigliò con tremore.
— Accomodàtevi! — fece al
domèstico.
Questi, guardàtosi attorno,
dovette stàrsene in piedi.
Quanto al viglietto, diceva:
Signore;
desiderosa da un pezzo d'imparare
il disegno, ora, mi sono risolta. Voi ne siete maestro, e mi si disse, egregio.
Vorreste insegnàrmelo? Se sì, vi aspetto: tardi è meglio che mai; presto è
ancor meglio che tardi.
Il giòvane non si moveva.
— Ha una risposta? — azzardò
il servitore.
Guido si scosse, e corse alla
tàvola (tàvola e letto era la sua sola mobilia) Ma, a che? di carta, non si
vedeva se non se un brano d'invoglia, già di salame; quant'è al calamaio,
l'inchiostro era sì secco che la ruginosa penna di acciajo rùppesi tosto. E
allora ei si frugò nelle tasche; e ne cavò una matita mezzo mangiata; era
monca! Tentò di aguzzarla con una lama di coltello da tàvola; non tagliava,
questa, oltre il cacio.
Ma lo soccorse un temperino del
servo.
E Guido, dietro il viglietto di
Claudia, scrisse:
Signorina gentile,
non posso proprio accettare:
un pùbblico impiego mi vuole di giorno, e spesso, di notte. Di malincuore è il
mio no: pur mi consolo, pensando che lascio il posto a qualch'altro, certo più
degno di me.
Voi capirete, lettori, che il
pùbblico impiego di Guido era tutto fandonìa, sebbene ei già avesse, e l'ozio
di un alto e la fame di un ùmile. Dunque, che ne era del suo schietto
carattere? mò perché ricusare un onestìssimo ajuto?
— Bella! se è un matto! —
salta su a dire un N.N., che a questo mondo cantò sempre nei cori. E, matto,
in confidenza, è quel nome, molto di uso, che noi regaliamo a coloro, i quali
òsan pensare diversamente di noi, quando ne sembra un po' forte il chiamarli o bestie
o birbanti.
Ma il viso della mia Bigia si fà
più furbetto del sòlito.
Ve', se ha compreso!
Tu allora, Bigia, e insieme a te,
quelli che hanno intelletto d'amore e scèlgono le scorciatoje del sentimento,
non chiederete certo perché, allontanàtosi il servo, Guido si buttasse sul
letto, a piàngere e a pentirsi, prima del suo rifiuto, del pentimento poi.
Guido sentiva di aversi accecato il solo spiraglio di luce che ancor gli
restasse, di avere perduto l'ùltimo filo che il ratteneva alla vita.
Ma, un'ora dopo, un picchio alla
porta: forse, della vecchia padrona di casa pel fitto settimanale.
— Avanti! — Sàlis rispose,
con la faccia sul pagliericcio.
Si udì l'aprirsi dell'uscio.
— Signore — principiò
oscillando una voce di donna; ma questa voce descrisse una curva; non, come
Guido attendeva, un àngolo.
Egli ne trasalì. Levando
lentamente e con timore la testa:
— Oh! — fece; e balzando in
sui pie', poggiossi alla tàvola.
— Signore — Claudia
continuò, dal lato opposto di quella — il mio servitore m'ha detto… io
vengo… mi disse il mio servitore…, — ma lì, s'empiendo di parole la bocca,
taque rossa e confusa, e fisò l'occhio alla tàvola.
— Signorina… voi… — cominciò
allora il giòvane bruno — avete scritto… il vostro servitore mi disse… io…
l'impiego…
E batti con questo impiego! Guido
si moltiplicava le macchie sulle unghie. Ma il dir bugìe non è affare da tutti.
Ed egli turbossi, azzittì, e scese lo sguardo su dove posava quello di Claudia.
In cui, era un intreccio di
lèttere, un intreccio a matita; Guido leggèvavi Claudia; Claudia, Guido. E le
pupille di essi, rialzàndosi insieme, dièdero l'una nell'altra; nè si
fuggìrono.
Dio, che scontro! In un baleno,
due storie di amore, che ne formàvano una!
— Claudia! — egli esclamò,
giugnendo le mani — io ti fuggìi; tu mi segui.
— Dunque, ci amiamo — fe' la
ragazza con uno scoppio di gioja.
Ma il giòvane impallidì, e si
lasciò cadere sul letto, e si nascose tra le palme la faccia.
— Oh noi infelici! — disse.
— Perché? — domandò la tosa,
agitata.
Ei trasse un profondo sospiro.
— A che sono ricca, io? —
esclamò con angoscia la bella.
E quì, silenziosi momenti. Poi,
s'ode un passo che si allontana; poi una porta che cricchia. Egli leva le mani
dal volto; guarda: è solo. E geme «la povertà fa paura.»
* * *
In qual maniera si maritàrono
dunque? State a sentire. La conclusione par da comedia. Un prete Armeno (chi
dice Greco, ma ciò nulla importa) apparve Dèus ex-màchina
a Guido, e gli rimise in nome di tale, morto pentito a Betlemme, una
grossìssima somma, truffata, anni già molti, al babbo di lui. Il che era bene
possìbile. La vecchia casa dei Sàlis, disordinata che mai, vincèa per ladri il
nuovo regno d'Italia; poi, l'Armeno produsse una filatèra di scritti; infine,
prova senza risposta, era il pagamento sonante.
— Bigia, or che pensi?
— Penso che la Provvidenza è pur
buona!… ad aiutarla un tantino.
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