-2-
È nato.
Giulio, tremando, alza il velo
alla culla e guarda il suo bimbo…
Brutto! Gli è un di que' còsi
falliti, aborti maturi, cinesi magoghi. Floscio, di un colore ulivigno, tien
già le rughe della vecchiaja, e Dio sa quanto vivrà! Non solo. È di un brutto
volgare; niuna favilla di quella fiamma divina, che sublimò la bruttezza di
Sòcrate; ed è di un brutto neppure, che possa, strada facendo, aggiustarsi.
veramente, si dice:
«maschi e tortelli
son sempre belli,»
ma! — ma quì non si tratta di un maschio.
O poverina, quale avvenire ti
attende?
Dopo un'infanzia, lunga, durata
in un canto, gli occhi gravi di duolo, nascosta da' tuòi genitori, che arròssan
di tè; dopo un'infanzia, buja, quà e là serenata da baci, che non làsciano
succio — baci di compassione — èccoti giovinetta, e lo «spirto di
amore» risvègliasi in tè con violenza morbosa.
Ma, nessuno ti guarda; se sì, è
per rìdere; non per sorrìdere mai. Cangia il mondo di scorza, non di midollo;
gli è ancora quello, quellìssimo, che diè la causa vinta a Frine. Sei brutta,
e le belle ragazze non ti vòglion con loro; brutta, e sgradisci alle
mamme. Cave a signatis! le ti crèdon cattiva, e, credendo, ti fanno.
Ma, come i tuòi occhi non sono
costretti vèr terra da quelli degli altri, così ognora tu guardi.
Ed ecco, il tuo «desìo amoroso»
ha incontrato una faccia soave, di uno, che a tè, alle maniere leggiadre non
usa, raccolse il fazzoletto caduto, e, con parola cortese, l'offrì. Oh nascondi
l'amore! nascondi.
Ecché? quel gentile er ti passa
vicino e non ti saluta. Sai? Hanno scoccato di tè e di lui male cose; come si
dice, bons mots; ed egli più non s'intriga con gobbe; e, in prova, sposa
Paolina, un angioletto senz'ali. Oh baci! oh strida!
Così, il caràttere tuo, siccome
la voce, inasprisce. Babbo e mamma, al pari della speranza, ti hanno lasciato
da un pezzo. Essi rimpròverano a tè la lor morte; tu, a loro, la vita. Pàssano
gli anni e più non ti resta che il calor della ciecia.
E tu diventi una vecchia
borbottona e stizzosa, che fà morir gli augelletti con il sistema Filadelfiano,
che rompe i tèneri arbusti amici a tèneri cuori, che, tutta piena di spilli, si
tira in collo i bambini a intabaccarli di baci; e tu diventi una dama, che,
lumacando col biscottino e gli scrùpoli per gli ospedali, raddoppia la febbre
ai malati — e nelle case attizza discordie, fà la chierca ai ragazzi, e a
Dio prostituisce le tose — e i matrimoni attraversa, e turba i riusciti.
Ma quì, il povero padre,
aggricciando, abbandona su quella cuna di tanti dolori il velo, e fugge. Fugge
impaurito la brama di soffocarli a una stretta; fugge un reato pietoso.
|