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Carlo Dossi
Goccie d’inchiostro

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  • GOCCIE D’INCHIOSTRO
    • 5 - IL MAGO
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5 - IL MAGO

 

Eppure, codesta casa, non avèa niente di strano! non gronde sporgenti, non fumajoli bizzarri o torrette, non cabalìstici segni. Era una borghesìssima casa, col suo rispettàbile nùmero senza l'uno il tre, a due piani, semplicemente rinzaffata di bianco, e dalle persiane grigie.

— Ma le persiane stàvano sempre chiuse!

Ebbene? che volèa ciò dire? ch'essa avèa molto più sonno delle altre. Non si può forse tenere gli occhi serrati anche di giorno?

E neanche il padrone di lei, almeno per vista, era fuori del sòlito; un lanternone a barba biancastra, come tanti altri. Tuttavìa la gente dicèvalo il mago; tuttavìa le mamme, nel minacciarlo ai loro bambini quando cattivi, sentìvano, elle pure, spago. Ed io v'accerto ch'egli, ben in contrario, avrebbe baciato que' tosi che al suo apparire fuggìvano! Un mago poi, che, con l'abbondanza di spiritelli a' suòi cenni, scarpeggia gobbo e doglioso con la salvietta accoccata a comperarsi egli stesso, ogni mattina, e la fetta di manzo e il cinque quattrini di sale ed il pane, è un mago, mi sembra, un po' troppo domèstico.

Ma sì! va e persuadi la contrada San Rocco. A lei era rimasto, fitto e saldato, il racconto di due operài, i quali, ammessi nella misteriosa casetta per aggiustarvi un camino che pativa di fumo, avèano scorto sopra un gran tondo una testa mozzata, ancora con i capelli, con gli occhi invetriti e con in bocca… una pipa. Tonio inoltre, il garzone, narrava con la voce in cantina, che lo stregone, tràttolo a un certo punto in disparte, avèagli offerto una pila di doppi marenghi, purché gli fosse andato a strappare un braccio di una tal croce di legno appesa ad una tal porta

Naturalmente — Tonio aggiungeva — ho risposto di no —

Oca! — osservàvano i preti — dovevi accettare, poi far dir tante messe. —

Di più; la contrada San Rocco avèa veduto un bel giorno fermarsi alla casa del mago un carretto e uscirne caldaje, storte, lambicchi. La contrada èbbene i batistini; lei, che avèa pure assistito, due mesi prima, tranquilla, al trasporto di una batterìa di roba tal quale nel liquorista di contra!

— Ei cerca l'oro — pispigliàvasi il volgo, mandando giù la saliva. Ma il volgo, secondo l'usanza, sbagliava: il mago non era in traccia dell'oro, quantunque il fosse di cosa, al pari di quello, cùpida e paurosa a una volta.

Infelice! Il più orrìbile morbo che imaginare si possa lo tormentava, ché, se negli altri ci è dato e la illusione e la tregua, o spesso, la forza del male tògliene la coscienza, quì, il martìro, sorto dalla fantasìa, alimentato da questa, e sempre in novìssime foggie, non requiava mai.

Fanciullo ancora, ei raggrinzava le mani e nella voce affiochiva alla parola «morte» e si palpava la faccia seguèndone l'ossa. In tutto, un accenno di lei; montava una scala, ogni gradino suggerìvagli un anno… oh! come presto al ripiano. A volte, stretto da improvvisi spaventi, corrèa strillando le stanze

— Che hai? — gli dimandava la mamma.

Egli taceva, aggricchiava.

E, a soffocare tali atroci paure, credette, adolescente, una via, il gittarsi nella nemica idèa, il non pensare, il non udir che di essa. Ahimè! il rimendo fu peggior dello straccio. Certo, ci ha libri, i quali ne famigliarìzzano con la figura di morte, pingèndone urne rischiarate dal sole e inghirlandate di rose; ma altri, e molti (la più parte di frati cui il digiuno del mondo fe' brusco) aumèntano i nostri terrori, col mètterne innanzi un inventario di straziartigli, code e pièd'oca sopra e sotto del letto, sudari, e puzzolenti tenèbre. E — poiché noi, verso dove incliniamo, si cade — Martino, invece d'aprire le imposte al sereno, asserragliossi nel bujo.

Sbaglio su sbaglio, dièdesi alla medicina. Questa, nella maniera che la psicologìa avèvagli tolta ogni fede e ogni opinione sul patrimonio dell'ànima gli giunse a destare intorno a quello del corpo un labirinto di dubbi. Solo, capì su quale fràgile trama fosse l'uomo tessuto, quanta folla di casi potèvala ròmpere. E, nuova scienza, nuovi dolori.

Tuttavìa, uno svario gli si frammise a tali ombre. Le ombre e la giovinezza di lui facèvano ressa a vicenda; Martinoubbriacò, stalloneggiò, riuscì a sottrarsi per qualche tempo a sé.

Ma, una notte, allo zènit di un'orgia che rasentava i confini della ribalderìa, la biondìssima Giulia, assieme alla quale egli aveva bevuto la vita, alzàtasi con un far risoluto, teso il bicchiere, gridato «viva il…» cadde improvvisamente, senza compire la frase, all'indietro.

Il cuore le si era spezzato. Martino svenne; fu chi credette per la fine di Giulia, e, invece, era per quella di lui! per quella di lui, che riapparìvagli a un tratto. Egli avèa già spesi trent'anni; quanti gliene avanzava? altrettanti? oh il buffo!… e mettiamo pure quaranta, cinquantaserriamo tutte le antecos'era? un buffo del pari.

— No, non voglio morire — giurossi — morirò —

E con la foga della disperazione, a capofitto si rigettò nelle naturali scienze, le quali, agli sforzi di lui, si aprìrono come l'onda a chi nuota. Ma l'onda mai non finiva. Dopo vent'anni di studio, feroce, senza una posa (dunque vent'anni di morte) ei si trovò ricco di non cercati segreti, capace di far di un cadàvere pietra, di sospèndere il corso dell'umano orologio e ravviarlo, anzi, dietro a un filo sicuro per costruirne a sua posta; nondimeno, impotente, e, quel ch'è più, nudo a speranze di eternar quel battìto, mosso in noi, primo, da… Da chi? Va te l'accatta! — E intanto il corpo di lui avèa perduto l'acciajo, la barba èrasegli fatta grigia; ei si vedeva in molto su quello stretto sentiero, affondato tra insormontàbili muri e chiuso alle spalle man mano, entro di cui non vale il coraggio, non la viltà; voglia o non voglia, bisogna camminare in avanti, sempre, finché un abisso c'inghiotte.

Sino allora, Martino, avèa corso l'aque e le terre, inquieto all'ubbìa che la presente sua stanza diventàssegli l'ùltima, àvido di contemplare la morte sotto ogni clima. Oh quanta avèa accolta eredità di sospiri!… e, nel dilungarsi dai funerei letti, gemeva «uno di mancovèr me.» Ma, quando sentì che irreparàbili guasti nell'interno congegno gli minacciàvan lo sfascio, bruciò di fuggire non avvertito dal teatro del mondo, di conigliarsi in qualche oscuro cantuccio, per aspettarvi da solo lei, schivando almeno così le làgrime degli amici, il leppo dei ceri, il borbottare dei preti, tutta insomma la pompa dell'ùltimo tuffo. E comperò nel sobborgo la casina a due piani.

Vèngono gli strasudori in pensare a quelli anni, così brevi da lungi e così lunghi da presso, vissuti da lui, solamente con sé. Io me lo vedo ansando a fatica, mezzo seduto su di un cadàver spaccato, a interrogare «morte che sei?» a rovistarvi le traccie di vita, la quale vita è… Cosa? Le definizioni, molte; materialìstiche alcune; altre spiritualìstiche. E tanto o quanto, ciascuna, per la sua strada, va: mèttile insieme, picco e ripicco.

Disperato allora, Martino si buttava a ginocchi, supplicando quel Dio, al quale nell'ìntimo suo mai non avèa creduto oggi pure credeva, d'incretinirlo; poi, dalla stessa viltà svergognato, spregava ansiosamente la prece. E altrevolte, èccolo, con lo sguardo smarrito, dimandare a follia quello per cui la scienza era muta; or mescidando ai fornelli indiavolate pozioni; or riunendo la volontà sua, tutta, nei più turchini scongiuri; ora a sfogliare con un tremore di speme, stranìssimi libri di scrittori sotterra, che a parte a parte insegnàvano e il vìvere eterno e la giovinezza perpetua.

Ma il tempo non si arrestava, mai.

E finalmente, agli albori di un giorno, un vicino di lui, in pantòfole e col tabarro sulla camicia a ridosso, apparve alle due portinaje del mago e disse loro che qualcheduno stava sballando od era fatto sballar nella casa; egli ne aveva sentito le grida, il ràntolo.

Le portinaje, prima atterrite, occhieggiàronsi poi indecise. Romperèbbero esse il divieto del loro padrone? traverserèbbero l'atrio? ne salirèbber le scale? E tentennàrono un poco. Senonché, il caso premeva; risolvèttero il sì. Infatti, giunte al di del ripiano, udìrono angosciosa la voce del mago gridare «oh mi risparmia; pietà!» indi, un gèmito lungo.

Precipitàrono nella stanza.

Martino, in uno de' suòi peggiori accessi di necrofobìa, giù dal letto, e il letto sembrava quel delle streghe, era dinanzi uno specchio, al pàllido lume dell'alba, miràndosi con ispavento. E certo, l'aspetto di lui, dovèa èssere bene stravolto, se le due donne agghiacciàrono, e l'uomo se la cavò… in cerca di un prete.

Non l'avesse mai fatto!

Il mago si vide perduto, vìdesi agli sgòccioli.

Gira largo, via! — stridette.

Ma il prete fe' per pigliargli una mano. Martino arretrò, con terrore, come tòcca una biscia; diede nel letto, cadde entro la stretta

E in quella, per paura di morte, morì.


 




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