5 - IL
MAGO
Eppure, codesta casa, non avèa
niente di strano! non gronde sporgenti, non fumajoli bizzarri o torrette, non
cabalìstici segni. Era una borghesìssima casa, col suo rispettàbile nùmero
senza nè l'uno nè il tre, a due piani, semplicemente rinzaffata
di bianco, e dalle persiane grigie.
— Ma le persiane stàvano sempre
chiuse!
Ebbene? che volèa ciò dire?
ch'essa avèa molto più sonno delle altre. Non si può forse tenere gli occhi
serrati anche di giorno?
E neanche il padrone di lei,
almeno per vista, era fuori del sòlito; un lanternone a barba biancastra, come
tanti altri. Tuttavìa la gente dicèvalo il mago; tuttavìa le
mamme, nel minacciarlo ai loro bambini quando cattivi, sentìvano, elle pure,
spago. Ed io v'accerto ch'egli, ben in contrario, avrebbe baciato que' tosi che
al suo apparire fuggìvano! Un mago poi, che, con l'abbondanza di spiritelli a'
suòi cenni, scarpeggia gobbo e doglioso con la salvietta accoccata a comperarsi
egli stesso, ogni mattina, e la fetta di manzo e il cinque quattrini di sale ed
il pane, è un mago, mi sembra, un po' troppo domèstico.
Ma sì! va e persuadi la contrada
San Rocco. A lei era rimasto, fitto e saldato, il racconto di due operài, i
quali, ammessi nella misteriosa casetta per aggiustarvi un camino che pativa di
fumo, avèano scorto sopra un gran tondo una testa mozzata, ancora con i
capelli, con gli occhi invetriti e con in bocca… una pipa. Tonio inoltre, il
garzone, narrava con la voce in cantina, che lo stregone, tràttolo a un certo
punto in disparte, avèagli offerto una pila di doppi marenghi, purché gli fosse
andato a strappare un braccio di una tal croce di legno appesa ad una tal
porta…
— Naturalmente — Tonio
aggiungeva — ho risposto di no —
— Oca! — osservàvano i
preti — dovevi accettare, poi far dir tante messe. —
Di più; la contrada San Rocco
avèa veduto un bel giorno fermarsi alla casa del mago un carretto e
uscirne caldaje, storte, lambicchi. La contrada èbbene i batistini; lei, che
avèa pure assistito, due mesi prima, tranquilla, al trasporto di una batterìa
di roba tal quale nel liquorista di contra!
— Ei cerca l'oro —
pispigliàvasi il volgo, mandando giù la saliva. Ma il volgo, secondo l'usanza,
sbagliava: il mago non era in traccia dell'oro, quantunque il fosse di
cosa, al pari di quello, cùpida e paurosa a una volta.
Infelice! Il più orrìbile morbo
che imaginare si possa lo tormentava, ché, se negli altri ci è dato e la
illusione e la tregua, o spesso, la forza del male tògliene la coscienza, quì,
il martìro, sorto dalla fantasìa, alimentato da questa, e sempre in novìssime
foggie, non requiava mai.
Fanciullo ancora, ei raggrinzava
le mani e nella voce affiochiva alla parola «morte» e si palpava la
faccia seguèndone l'ossa. In tutto, un accenno di lei; montava una scala, ogni
gradino suggerìvagli un anno… oh! come presto al ripiano. A volte, stretto da
improvvisi spaventi, corrèa strillando le stanze…
— Che hai? — gli dimandava
la mamma.
Egli taceva, aggricchiava.
E, a soffocare tali atroci paure,
credette, adolescente, una via, il gittarsi nella nemica idèa, il non pensare,
il non udir che di essa. Ahimè! il rimendo fu peggior dello straccio. Certo, ci
ha libri, i quali ne famigliarìzzano con la figura di morte, pingèndone urne
rischiarate dal sole e inghirlandate di rose; ma altri, e molti (la più parte
di frati cui il digiuno del mondo fe' brusco) aumèntano i nostri terrori, col
mètterne innanzi un inventario di strazi… artigli, code e pièd'oca sopra e
sotto del letto, sudari, e puzzolenti tenèbre. E — poiché noi, verso dove
incliniamo, si cade — Martino, invece d'aprire le imposte al sereno,
asserragliossi nel bujo.
Sbaglio su sbaglio, dièdesi alla
medicina. Questa, nella maniera che la psicologìa avèvagli tolta ogni fede e
ogni opinione sul patrimonio dell'ànima gli giunse a destare intorno a quello
del corpo un labirinto di dubbi. Solo, capì su quale fràgile trama fosse l'uomo
tessuto, quanta folla di casi potèvala ròmpere. E, nuova scienza, nuovi dolori.
Tuttavìa, uno svario gli si
frammise a tali ombre. Le ombre e la giovinezza di lui facèvano ressa a
vicenda; Martino sì ubbriacò, stalloneggiò, riuscì a sottrarsi per qualche
tempo a sé.
Ma, una notte, allo zènit di
un'orgia che rasentava i confini della ribalderìa, la biondìssima Giulia,
assieme alla quale egli aveva bevuto la vita, alzàtasi con un far risoluto,
teso il bicchiere, gridato «viva il…» cadde improvvisamente, senza compire la
frase, all'indietro.
Il cuore le si era spezzato.
Martino svenne; fu chi credette per la fine di Giulia, e, invece, era per
quella di lui! per quella di lui, che riapparìvagli a un tratto. Egli avèa già
spesi trent'anni; quanti gliene avanzava? altrettanti? oh il buffo!… e mettiamo
pure quaranta, cinquanta… serriamo tutte le ante… cos'era? un buffo del
pari.
— No, non voglio morire —
giurossi — Nè morirò —
E con la foga della disperazione,
a capofitto si rigettò nelle naturali scienze, le quali, agli sforzi di lui, si
aprìrono come l'onda a chi nuota. Ma l'onda mai non finiva. Dopo vent'anni di
studio, feroce, senza una posa (dunque vent'anni di morte) ei si trovò ricco di
non cercati segreti, capace di far di un cadàvere pietra, di sospèndere il
corso dell'umano orologio e ravviarlo, anzi, dietro a un filo sicuro per
costruirne a sua posta; nondimeno, impotente, e, quel ch'è più, nudo a speranze
di eternar quel battìto, mosso in noi, primo, da… Da chi? Va te
l'accatta! — E intanto il corpo di lui avèa perduto l'acciajo, la barba
èrasegli fatta grigia; ei si vedeva in là molto su quello stretto sentiero,
affondato tra insormontàbili muri e chiuso alle spalle man mano, entro di cui
non vale il coraggio, non la viltà; voglia o non voglia, bisogna camminare in
avanti, sempre, finché un abisso c'inghiotte.
Sino allora, Martino, avèa corso
l'aque e le terre, inquieto all'ubbìa che la presente sua stanza diventàssegli
l'ùltima, àvido di contemplare la morte sotto ogni clima. Oh quanta avèa
accolta eredità di sospiri!… e, nel dilungarsi dai funerei letti, gemeva «uno
di manco… vèr me.» Ma, quando sentì che irreparàbili guasti nell'interno
congegno gli minacciàvan lo sfascio, bruciò di fuggire non avvertito dal teatro
del mondo, di conigliarsi in qualche oscuro cantuccio, per aspettarvi da solo lei,
schivando almeno così le làgrime degli amici, il leppo dei ceri, il borbottare
dei preti, tutta insomma la pompa dell'ùltimo tuffo. E comperò nel sobborgo la
casina a due piani.
Vèngono gli strasudori in pensare
a quelli anni, così brevi da lungi e così lunghi da presso, vissuti da lui,
solamente con sé. Io me lo vedo ansando a fatica, mezzo seduto su di un cadàver
spaccato, a interrogare «morte che sei?» a rovistarvi le traccie di vita, la
quale vita è… Cosa? Le definizioni, molte; materialìstiche alcune; altre spiritualìstiche.
E tanto o quanto, ciascuna, per la sua strada, va: mèttile insieme, picco e
ripicco.
Disperato allora, Martino si
buttava a ginocchi, supplicando quel Dio, al quale nell'ìntimo suo mai non avèa
creduto nè oggi pure credeva, d'incretinirlo; poi, dalla stessa viltà
svergognato, spregava ansiosamente la prece. E altrevolte, èccolo, con lo
sguardo smarrito, dimandare a follia quello per cui la scienza era muta; or
mescidando ai fornelli indiavolate pozioni; or riunendo la volontà sua, tutta,
nei più turchini scongiuri; ora a sfogliare con un tremore di speme,
stranìssimi libri di scrittori sotterra, che a parte a parte insegnàvano e il
vìvere eterno e la giovinezza perpetua.
Ma il tempo non si arrestava,
mai.
E finalmente, agli albori di un
giorno, un vicino di lui, in pantòfole e col tabarro sulla camicia a ridosso,
apparve alle due portinaje del mago e disse loro che qualcheduno stava
sballando od era fatto sballar nella casa; egli ne aveva sentito le grida, il
ràntolo.
Le portinaje, prima atterrite, occhieggiàronsi
poi indecise. Romperèbbero esse il divieto del loro padrone? traverserèbbero
l'atrio? ne salirèbber le scale? E tentennàrono un poco. Senonché, il caso
premeva; risolvèttero il sì. Infatti, giunte al di là del ripiano, udìrono
angosciosa la voce del mago gridare «oh mi risparmia; pietà!» indi, un
gèmito lungo.
Precipitàrono nella stanza.
Martino, in uno de' suòi peggiori
accessi di necrofobìa, giù dal letto, e il letto sembrava quel delle streghe, era
dinanzi uno specchio, al pàllido lume dell'alba, miràndosi con ispavento. E
certo, l'aspetto di lui, dovèa èssere bene stravolto, se le due donne
agghiacciàrono, e l'uomo se la cavò… in cerca di un prete.
Non l'avesse mai fatto!
Il mago si vide perduto, vìdesi
agli sgòccioli.
— Gira largo, via! —
stridette.
Ma il prete fe' per pigliargli
una mano. Martino arretrò, con terrore, come tòcca una biscia; diede nel letto,
cadde entro la stretta…
E in quella, per paura di morte,
morì.
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