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Carlo Dossi
Goccie d’inchiostro

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  • GOCCIE D’INCHIOSTRO
    • 7 - ODIO AMOROSO
        • -5-
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-5-

 

era certo in villa con lei, che Leopoldo dovèa trovare riposo. L'omiopatìa non serviva. Leopoldo avèa bel circondarsi di affari, bel imbrogliarli, bel stare fuori giorno su giorno pe' suòi latifondi, ma nello specchio del capo apparìvagli sempre quella pàllida faccia contro la quale parèa battesse continuamente la luna; avèa bel vilupparsi in filosòfiche dissertazioni intorno all'equanimità, e al modo di annichilir le passioni, cioè di vìvere morti, studiàndone anche a memoria i concettini ingegnosi e le elegantissime frasi, ma tutta 'sta roba, scritta in pacifici studi verso cortile, al sovvenire di una occhiata di lei, languidissima, nera, sprofondàvasi giù.

Venivano allora i furori. E allora e' fuggiva a sérrarsi nella càmera sua e ne appiccava la chiave sotto il ritratto materno. Facea le volte di un leone affamato. Pigliàvalo uno struggimento di abbracciare colèi, di schioccare dei baci… che dico! di mòrderla, di pugnalarla. Ma, inorridito a un tratto di sé, si gettava sul letto, sospirava d'angoscia, e mirava con il desìo negli occhi le sue pistole. Oh, a non toccarle, ci volèa bene coraggio!

Ma e fuggire da lei?

Pazzie! ei si sentiva legato con doppia catena. Avesse amato soltanto, non era impossibile… forse; ma, nell'amare, egli odiava; ed una goccia di odio un sentimento eterno.

Per quante fitte crudeli, per quante torture ciò gli costasse, egli or più non poteva fare di meno di que' terribili istanti, nei quali era presso a colèi, anzi, èrale al fianco; quando, in una sentiva e le vampe amorose e i brividi dell'orrore ed i sobbalzi della disperazione; tutto, sotto una màschera calma, solo tradendo la irrompente passione al spesseggiare convulso del nome, il più severo, il più dolce, «sorella. »

E, a volte, Ines fisàvalo con gli occhi gonfi, inghirlandati di duolo

Pòvera tosa! Non avèa fatt'altro se non cangiar di prigione; e in peggio. Ché, almeno in collegio, allegre voci di amiche mischiàvansi a quella della campana imperante; quà, rinchiusa come dalla pioggia autunnale, splendèndole il sole all'intorno, senza compagne ma serve, niuno veggendo all'infuori del fratel suo e di un dottore vecchio, sentivasi orribilmente sola, spopolata pur di pensieri, perché temeva a pensare; in collegio, a traverso le spie delle persiane, scorgeva un fine, un cangiamento; quà, con un largo orizzonte, nulla. Or, che cosa, Dio mio! più paurosa dell'infinito?

E la salute si dilungava da lei; sì che Leopoldo, agitato, chiese al dottore, una sera:

— Che dice di mia sorella?

Dico — rispose il dottore — che sua sorella ha un di que' mali che i mèdici non guariscono — i mèdici vecchi almeno, come, purtroppo, io. Donna Ines ha il male di amore.

— Ah? innamorata? di chi? — sclamò Leopoldo adombrando; e, senza stare per la risposta, corse alle sue càmere.

E pòsesi a passeggiarle in lungo ed in largo. Una folla di suoni gli mormoràvano un nometremò. Lo sbigottiva il suo stato, ch'egli non avèa osato mai di segnarsi a netti contorni e che non mai in altrùi avrebbe pur sospettato. No; questo non si poteva — non si dovèa, cioè; era duopo un nome diverso; qualunque.

E cercò spasimando… Ah! ecco… Emilio Folperti… Eppure! no. Imaginate in costùi un fittabil del suo, che il mèdico avèa un giorno condotto in casa Angiolieri; un giòvane bello sì, ma bello e nient'altro. Il quale Folperti, s'era creduto d'ingraziarsi il fratello, lodando a lui la sorella, e Leopoldo — gentilmente villano — avèagli chiuso, prima la bocca, poi la porta sul viso; dopo, se n'era affatto scordato. Ma adesso, creàtoselo appena a rivale, Leopoldo non lo potè più soffrire, non gli parve più il mondo, vasto per tutti e due abbastanza… o l'uno o l'altro… ci volèa una soddisfazioneSoddisfazione? e di che?… E se il Folperti gliel'avesse accordata con lo sposare colèi?

Ben seguitava a sussurrargli il buon senso «come vuòi ch'ella ami una sì fatua cosa a bellezza ed a senno?» Ma saltò su a dire il sofisma «non si adoràrono statue? non si adoràrono mostri? non si baciàron cadàveri?… » e Leopoldo, sospinto da geloso furore, schiuse di botta salda la porta, e fe' il corritojo, lungo, che divideva le sue dalle stanze di lei.

 




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