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Era notte; e, nelle càmere d'Ines,
niun lume, ma le finestre aperte, sì che il raggio lunare e la brezza entràvano
a loro piacere. Leopoldo passò le due prime. E, nella seguente, era Ines, sur
il poggiolo che rispondeva al giardino, seduta, e reclinando la testa
all'indietro, gli occhi velati, semichiuse le labbra, in quell'abbandono di
quasi-delìquio, che inonda chi pianse molto e molto si
disperò. Piovèndole attorno, la luna ora piangeva per lei.
Leopoldo riste' a contemplarla un
istante. Ed ella se lo sentì forse vicino, vicinìssimo anzi, ma tènnesi immota.
Leopoldo tentò proferire un nome;
la lingua non gli ubbidì. Ei la obbligò, e disse: sorella! —
Si alzàrono lentamente le
palpèbre di lei, e scopèrser due occhioni, nuotanti in negri stagni di duolo.
— Sorella — riappiccò egli a
fatica, in tono alterato — sono ancor quì… perché… perché non ti posso
stare lontano… quando tu soffri. E, che tu soffri, io so.
— Ma no — ella disse con un
filo di voce.
— Sì! — egli fece, in uno
scoppio di rabbia — or perché contradici?… Atrocemente soffri. Io leggo
negli occhi tuòi, ebri; nella tua faccia patita, colore di perla; in questo tuo
istesso singulto. Eppòi, conosco il tuo male —
Ines sorrise pallidamente.
— Tu spàsimi di amore. —
Ella ne sobbalzò; si raddrizzò
sulla vita, e, serràndosi al cuore le mani, quasi per ratenerlo, ché le parèa
fuggisse, gridò: no.
— Sì! — ripetè Leopoldo con
un riflesso d'incendio nelle pupille, piantàndosi innanzi a lei — Non
mentire a mè! Tu spàsimi d'amore per… per tale, che io odio, che io schiaffeggerò,
ucciderò — (e accennava come a sé stesso) — per… — (e si
stravolse la lingua) — Emilio… —
Ma oltre non disse. Ella il
guardava, schiettamente stupita, ed ei ne ebbe un sussulto e di gioja e dolore.
— Dunque, chi è? — disse,
piegàndosi sopra di lei, strette le pugna.
Ines era un trèmito solo.
— Voglio saperlo — egli
fece — voglio!… hai capito? —
Il viso della fanciulla
sformossi, pigliò la strana gonfiezza del viso di un folle. E una ràuca voce
esclamò «tè»; e un bacio, incandescente carbone, arse per sempre un
sorriso.
Ma a pena Leopoldo ebbe toccata
la sua contro la bocca di lei, che si ritrasse atterrito, cacciò le mani ai
capelli, fuggì — Caino d'amore.
Ed ella si morse a sangue le
labbra; poi, tramortita, cadde.
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