8 - IL
NATALE
In que' momenti di spirituale
abbandono e di fisica immobilità che precèdono o séguono il sonno, nei quali
più non rammenti quanto sei lungo e largo, e sogni, conscio del sogno, o come
flùttuano, o come s'aggìrano in capo le larve di ciò che mai non verrà o non
ritornerà più!… E a mè sovviene della vigilia del dì di Natale, quando la folla
rigurgitante per le contrade inverte il dubbio, che ci era nato il mattino,
alla veduta di quel famoso Verziere, bondanza dì nostran, stupor di forestee,
se, cioè, a tanta roba fòssero bocche bastanti. Il giorno stà per chiùdere i
suòi registri. All'incertezza della scelta, successe la temerarietà, la febbre
scalmana della còmpera. I soldi sémbran pesare nelle saccoccie; non si fa più
prezzo; contràttasi fra i compratori, e le botteguccie a ruote de' baloccài si
vuòtano a occhio, come se tutto si donasse o rubasse.
Ed io, anch'io, col mio presepio
a màntice e le saccoccie zeppe di caldarroste, sgambetto con la fantesca ver'
casa, allungando la via dinanzi a tante vetrine che si dìsputano gli occhi e le
borse. In ogni dove, la gola ingegnosa trionfa. Il salumiere par non abbondi
che di roba rara. Sotto la pompa di un baldacchino di salsicciotti, di
trasparenti zendadine del Papa e di corda di Monza, fra il grana
piangente a saporite làgrime, e le artistiche velleità del butiro, fra nuove
bottiglie a secolari ragnaje e un luccicchio di scatolette di latta, ecco una
colossale testa di negro, inturbantata, che odora lontano un miglio la
mortadella, terrìbile e appetitosa; ecco pernici impettite con grembialini e
bianchi berretti che girarrostìscono cuochi di pane tosto e tartufi; ecco
tacchini abbigliati da uccelli del Paradiso, e porcellini di latte mascherati
da frate, e gàmberi e aragoste circùitu curvàntes brachia longo… E il
droghiere? Il droghiere, sotto la rituale fila delle fùnebri torcie da cinque o
sei libbra di dolore l'una, avvicendata coi pani di zùcchero color cielosudicio
a cordelline rosse, ha disposto un bel lago di specchio con bastimenti canditi
ed isole in cui nasce la frutta già bell'e cotta e acconciata, ed aspri monti
dolcissimi, sui quali saltìcchiano de' canarini, modo huc, modo illuc,
per la ragione della sproporzione, favolosamente enormi. Così, nella vetrina
del mercantello, sta esposto un grosso agnello imbottito, esageratamente
lanuto, col suo bindellone rosa, quieto e stùpido quasi come un agnello vero. E
intanto il lattajo assurge a sorbettajo, a pasticciere il fornajo. E quello ci
porge il tùmido lattemiele e le àride cialde, simbolo della stagione; questi,
Rè magi bollenti scroscianti, due soldi trè.
Ma il cielo promettineve incombe
viepiù. Càndidi fiocchettini si cùllano per l'àere come dubbiosi di scèndere, e
scèndono lentamente, come attaccati ad un filo. Il campanone del
Munici-pio, brontolone ostinato, comincia a rombare. È
l'ora dello scopripignatte, l'ora della minestra che bolle. I lumajoli si
spàrgono per la città; la stella cometa del Presepio meccànico illùminasi. Tu
scorgi inusitate rigonfiature negli àbiti: tu scorgi far capolino i cappucci
dorati o inceralaccati delle bottiglie. Tutti hanno il loro pacchetto, e
sovente più di uno, o, se no, certo sorriso soddisfatto e saputo, che vuole
dire lo stesso. Garzoni e facchini, carri e carriole con su a mucchi la roba
s'incròciano per ogni dove. Ma, o voi, che avete il pacchetto, non iscordate
coloro che non pòssono averlo: passando, non date solo uno sguardo a que'
pòveri bimbi, cui, delle cucine dei ricchi, altro non giova che il fumo: oh
fate che nessuno rammenti con astio il dì del Signore; fate che il pane della
miseria, almeno oggidì, non sappia troppo di sale!…
* * *
Ma la fantesca, pressosa, mi tira
a casa, piena la testa, vuota la pancia. Oh come lieta ci accoglie oggi la
tàvola, inondata di luce, riscintillante d'insòlita argenteria, rè il
Panettone! oh come vi ci sediamo volentieri!… E in verità, la vigilia del dì
del Natale è il giorno il più affacendato, vuotasaccoccie, stancatore
dell'anno; aggiungerò, il più misterioso. Ché in questo dì, ben ricordo, il
campanello della porta di strada ha tintinnito a straore; e a chi correva ad
aprire, affrettate persone hanno sporto dei pacchi, tosto pigliati dalla
fantesca, tosto rimessi alla mamma, che, sorridendo a' miei occhiucci curiosi,
andava a serrarli in un armadione profondo, cigolatore…
Or che potèvano èssere?… Certo,
regali — Epperchì?… Certo per mè… E contèngono?…
Ma, innanzi tutto, facciamo un
po' il conto su quanti e quali parenti posso ancora sperare. Ahimè! il nùmero
diminuisce ogni anno. Essi mi muòjono senza ammalarsi, anticipando le làgrime
mie. Dìcono che io sono fatto già grande, mentre son loro che fànnosi pìccoli.
È vero, che, oltre babbo e mammina, possiedo ancora trè zii di più retto
giudizio e due nonni… Oh buoni nonni, che non cessate mai di vederci con il
cèrcine in capo, anche se grigi di barba!… Ma, per nonna Prassede, quantunque i
mièi genitori si ostìnino a dire che il regalo migliore è il suo (il quale
regalo, immaginate è sempre un abitino completo, dalle scarpe al cappello) non
fo assegnamento: difatti, il suo, non è un regalo per mè, ma per loro. Nonno
Bernardo poi, si sà, il sòlito scatolone di dolci, perché, dice lui, i bimbi
vanno dolcemente trattati. Dolcezza troppa, peraltro, fà indigestione e i
regali di nonno finìscono sempre in magnesia. E nonno, insième alle chicche,
usa chiùdermi in mano un due centèsìmi d'oro… Pure, da che i marenghini
diventàrono pinti, da che non tròttolano più, non so cosa farne. Poco m'importa
che i mièi genitori me li pòrtino via e li mèttano in un grande salvadanajo che
ha nome la cassa dei risparmi, dicendo: ti servirà poi. Chissà che
diàvolo, il nonno, finirà per pagarmi!
Veniamo ora agli zii. Zio Rocco,
zio Antonio e zio Giorgio. Zio Rocco è quello del libro. Egli mi affibbia, ogni
anno, qualche volume di scarto, rilegàndomelo a nuovo… Fosse almeno, stavolta,
rilegato di rosso!… Quanto a zio Antonio… Ottimo zio! il Natale passato, mi ha
fatto avere una cassetta da legnajolo, poiché egli vuole, secondo il sistema di
Froebel, che, dilettàndomi, impari. Per carità, non chiedètene a mamma!…
poverette le gambe delle sue sedie!… Ma «tu, o rè Baldassare, fà che zio
Antonio mi regali quest'anno, un bel vaporino dal congegno del topo… di que'
vaporini che sempre si còrrono dietro e non si giùngono mai; con i suòi bravi
vagoni di prima, di seconda e di terza — e tanti!… con i carri da merce, e
tanti!… con le casine dei ferrovieri — e tante!… Amen. No, aspetta! Non
iscordare la bambagia del fumo, o buon rè Baldassare!».
Senonché, la mia maggiore
speranza… che dico?… certezza, è zia Gigia, la zia dei regaloni. Quando
a Natale sento in cortile il rumore di una carretta, io esclamo: è quì il regalo
di zia! Se poi, i doni degli altri dùrano una occhiata e non più, i suòi
contìnuano finché c'è roba da discartare. Fu l'anno scorso, ad esempio, una
grand'arca di Noè i cui inquilini occupàvano tutta la tàvola, la credenza, e un
pajo di sedie… Non avrèi mai creduto che fòssero tante le bestie!… E,
quest'anno?… che io forse indovini?… Poiché l'amantìssima zia ha cura, uno o
due mesi prima, di succhiellare i mièi desideri, e poi, ella tiene i segreti a
fiore di labbro… Ed io, già, glielo dissi: io voglio un mercato, io —
Scusate se è poco! volere nient'altro che il mondo! —
Così, spàsimo ora di vedermi
padrone, con alta e bassa giustizia, di tanto paese. Tutto stà ad èssere certi
che il Natale sia oggi… Ma sì. Sì, perché ieri scrissi io medèsimo il nome del
mio signor maestro su un pacco di zùcchero e cioccolatte, dolce corrompimento
che contrapesa, nella stima di lui, il sale che màncami, e ricopiài sopra
lùcida carta a merletti trè letterine coi sensi del cuore mio dettati dal
signor maestro, e vidi, tra compassione e allegrìa, la cuoca comporre
l'infelice tacchino, mio confidente da quindici giorni, in una bara di rame, in
mezzo all'olio e al limone…
* * *
Sì, sì, — è Natale.
All'inquietùdine del desiderio e del dubbio, all'attesa, successe la calma
della stanchezza e della soddisfazione. Dappertutto, odore di lauro e
d'arancio. Marìa cessò o dimenticò di penare, rapita nel viso raggiante del
pàrgolo suo, che pèndele addormentato alla poppa, coi boccheggianti labbruzzi
bagnati ancora di latte, inconscio di sé, mentre i due sìmboli dell'umana
famiglia lo guàrdano stupidamente e l'àngelo della Povertà fà la guardia alla
porta. Zitto! non lo destate. Solennemente cade intanto la neve, e la
Provvidenza par che stenda con essa sotto ai nostri scèttici passi un muto
tappeto. Non s'ode che il fioco galabronio di una piva lontana, non si ode che
il fruscio argentino del ruscelletto di talco del casalingo presepio…
Ed io, compreso della più dolce
illusione, alzo, fuor dalle coltri, il capo, e guàrdomi attorno. Il sole fà da
padrone nella mia stanza. È Natale davvero, me ne ricordo benìssimo, ma la mia
mano ha incontrato… una barba. Nella mia stanza, odore inveterato di
pipa, e pistole, e stivaloni appesi a spade… non di latta, purtroppo!… Dio! da
quanto tempo sono scomparse quelle faccie amorose, che, in tali mattine,
brillàvano intorno al mio letto, col più trasparente segreto nei loro sorrisi,
faccie per rivedere le quali m'è d'uopo riconfortar la memoria a fotografìe
ingiallite come foglie autunnali!… E neppure c'è un bimbo che attenda la mia!
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