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ISTINTO
Giorgio entra di corsa nella sua
càmera…
In mezzo alla tàvola posa un
certo negozio sul gusto di uno scatolone, rivestito di carta grigiastra da
bachi e stretto da spago. Giorgio ristà, gli brillano gli occhiucci, il cuore
gli fà — spiccatamente — toch-toch.
È il regalo di zio! Infine!
Giorgio avèa cessato dal sospirarlo. È il regalo di quel curioso di zio che gli
mantiene i bei fantoccini e lo fa ridere tanto, producèndoli fuori dalle sue
tasche, adagio adagio, con una storietta a rinforzo.
E che sarà, e'? Il piccinino
arràmpica sur una scranna, siede sopra la tàvola, una gamba di quà, una di là
dell'involto — poi tira uno de' capi del nodo. E la cordetta si allarga;
con essolei, anche la carta grigiastra.
Ecco uno scatolone — Giorgio
vi mette su le manine: con la sinistra se lo ponta contro, con l'altra si
sforza a strappargli il coperchio… Nenni!
Sbuffando, volge lo scatolone. E
ritenta. Bah! di nuovo fallisce… Allora, su! alle pìccole scosse, ai
colpettini, uno di quì, uno di lì… dalle dalle… aah! ci riesce. Il coperchio si
stacca, cade. Si leva un odore di vernice e di trùcioli, l'odore delle botteghe
de' baloccài.
E Giorgio, con pressa, spazza via
lo strato dei frastagli di carta. Oh! dà in un grido di gioia.
— Un pino! — fà egli,
estraendo un coso dal fogliame verde arricciato, dal fusto color
terra-di-Siena, con uno zòccolo giallo — E te lo
alloga in mezzo alla tàvola.
Ne séguono altri stranissimi
àlberi, pomi, peri, la pianta de' manuscristi, quella dei
venti-lire, nèspoli, aranci, al dire di Giorgio.
— Un pècoro — sclama poi,
assicurando sopra i picciuoli una bestietta bianca con una linea rossa al
collo. E dietro all'agnello, trotta il somaro, il drago, il bue, il
rinoceronte, il cavallo, il… Nò, l'è un omino.
— Il signor Pietro
Grattoni! — osserva, facèndogli bocchi, il monello (Grattoni gl'insegnava
le lèttere, non le belle, intendiàmoci.)
— E la sua cuoca Mattèa! — continua,
accompagnàndolo ad una villana, quadrata di spalle, e, più ancora, di gonna.
Insomma egli discàtola tutto. La
tàvola rimane coperta di un barbaglio di galantuomicini e di bestiole d'ogni
fatta — color pomodoro, pisello, inchiostro — Nè màncano pezzi di
prato con incollàtovi il muschio e coi ruscelli di specchio, nè le cascine a
tetto rosso-di-minio e le capanne coperchiate di paglia.
E in tutto questo piccolo mondo,
corre una rara concordia, il lupo giuoca con l'agnellino, il cacciatore và a
spasso col lepre, i porci cùllano i bamboletti. Giorgio poi, la cui prima gioja
è svampata, serio serio, il labbro inferiore sporgente, le sopraciglie
aggrottatuccie, guida i suoi morselli di legno l'uno a casa dell'altro, li
passeggia, li fà polcare, stringe parentadi fra essi, imbandisce de' pranzi…
Ma, tò! il lagrimèvole caso. Un
bue, quel bue pezzato, simpatìa del mimmo, salta dalla tàvola, giù. Ah! s'è
crepato un corno. Giorgio gliel vuol rassettare; lo spezza.
— Se' tu — dice allora, passando
la colpa su di un innocente ominatto — tu, birbone! — e, per smaltire
la rabbia, lo fà cozzare con un compaesano di lui.
Tich… tach — tutti e due si
scavèzzan la testa.
Non fosse mai succeduto! Ne viene,
a coda, la filatera delle vendette: si fura il pollame, rùbansi le giovenche,
si abbàttono i pini. Ve'! un generale conquasso, una fricassèa!…
* * *
Un'ora dopo, la mamma:
— Pòvero zio! — esclama.
Raccoglie lo scatolone, vi
accòmoda i biscottini.
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