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Carlo Dossi
Goccie d’inchiostro

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  • GOCCIE D’INCHIOSTRO
    • 31 - LA MAESTRINA D'INGLESE
      • 3. Enrico San-Giorgio scopre la Terra promessa
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3. Enrico San-Giorgio scopre la Terra promessa

 

Enrico San-Giorgio era dal suo quinquennale viaggio rimpatriato. Scàpolo e milionario, fu accolto a braccia aperte dalle mammine, e le figliole èbber licenza di compromèttersi; qualcuna anzi, ingiunzione. E ben si poteva ubbidire; giòvane e bello era Enrico.

Ma!… egli era anche di spìrito, non qualità da marito, sì che, guardàndosi attorno, vìdesi tosto, in mezzo ad amici che gli dicèvano «se' navigato abbastanza»; a babbi che gli narràvano le domèstiche gioje, apprese a colla-di-bocca in su i libri; a mamme — grandi e non grandi — che gli toglièvano il fiato a furia di sesquipedali accoglienze con tanto di fòdera, ora invitàndolo a pranzo, per mètterlo accosto a collegialine pupazze sciocchissimamente belle, ora facèndolo a forza ballare con vèrgini stagionate, pudiche fino allo scàndalo; insomma, vìdesi in mezzo a una tal rete vasta d'intrighi, a tanta roba posticcia, che, stomacato e anche un po' impaurito, risolse fuggire laddove ancor si dormiva beatamente «il greve sonno della barbarie.»

Fermo nel quale partito, Enrico, un dì, soprapensieri passeggiava una via, riandando i paesi già visti e quelli a vedere. Ecché non andrebbe al Giappone? là, in quella terra da vasi, in cui il mondo è a rovescio, e i nostri non-sensi hanno senso, e le nostre eccezioni son règole? Ei vi potrebbe comprare un bel servizio da tè, poi, tanta curiosa frugaglia — e palle d'avorio cinque-entro-una, e un vestiario di carta, e strani disegni (sogni fotografati) e scarpe di porcellana, piccine… e perché no? forse coi loro pieducci vivi al didentro, con quel che segue al difuori… — Dunque, al Giappone!… si piglia prima per Suez; si fà il mar Rosso… tocco Ceilan, mi vi provvedo del buon zafferano, torno a imbarcarmi per Singapore e Sciang-hai vo a Nagasaki, poi a Yokoama, poi, se si può, infilo lo stretto di Kanagava… — Ed egli scorgèa di già i draghi-volanti nella imperiale Jeddo, quando «Oè! la vita, signori! eh!» venne arrestato dalla carriola d'un perecottajo… Maledetta carriola!

Per cui, si trasse di banda contro di una bottega. Era questa di fiori; ci si vedèvano vasi di novellini gerani e garòfani, desìo della pòvera agucchiatrice; vasi di erba amarella, dittamo e ruta, amori della pulcellona; mazzi con il Vidoppio, musco; corone di bianche rose, da far parere più in fiamme la guancia di una vèrgine sposa o pàllida doppiamente quella di una vèrgine morta; ma, il tutto, qual sfondo ad un più splèndido fiore, dico ad una fanciulla, vero occhio di sole, ferma anche lei per la carriola di pere… Oh benedetta carriola!

E la fanciulla avèa uno di que' tai visi, passavìa della tristezza, che fanno belli gli specchi, a colori e a contorno finissimo, dal naso gentilmente aquilino, e cui, gli occhi furbetti e un germe di malizioso ghignuzzo sul destro canto fra i labbri, dàvano il moscadello. Le manine poi, lunghe, sottili, a mezziguanti di filo; una, sul seno come a fermaglio, tenèa raccolto uno scialletto scozzese; l'altra, stringendo un mazzoluccio di viole, scendeva lungo la gonna a mille-righe di bianco e di nero. E, dall'imo di questa, usciva la mascherina di una scarpetta, piccola sì da mèttere il dubbio se avrebbe potuto annidare una tòrtora.

Enrico si sentì il cuore sommosso; capì i suòi viaggi finiti; gli cadde di bocca lo scorcio di sigaro, e:

— Oh il bel mazzetto! — fece.

Allor la fanciulla girò la testa alla voce, infiorando un sorriso; ma, come diede nel giòvane, arrossì tutta e volse lo sguardo al mazzetto, quasi a passargli quel complimento, che, sotto il nome di lui, èrasele volto. Eppòi, lesta lesta, partì. Ed egli, dietro.

 


 




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