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Carlo Dossi
Goccie d’inchiostro

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  • GOCCIE D’INCHIOSTRO
    • 31 - LA MAESTRINA D'INGLESE
      • 4. Chi può essere quello, che fà dieci scale per una lezione d'inglese
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4. Chi può essere quello, che fà dieci scale per una lezione d'inglese

 

Pochi dì dopo «derlin-din-din!» sclamò il campanello di casa Morelli; e la servetta, che corse ad aprire, vedendo un giòvane biondo, svelto, bellìssimo, crede' che entrasse l'Arcàngiolo Raffaele vestito alla moda.

Ned ella gli dimandò che volèa, ned egli l'espresse, ché tutti e due èrano già nella sala, alla presenza del padrone di casa.

Al quale, il nuovo arrivato, fatto un inchino, chiese:

— Ho io l'onore di salutare il signor Pietro Morelli?

— Sì, per servirla — rispose l'infermo, alquanto maravigliato; e, dopo una diffidentissima pàusa — Si accòmodi. —

La servettina portò al forestiere una scranna.

Quello, siedette.

— Mi chiamo Enrico… Giorgini — poi cominciò; e disse, ch'egli era un negoziante di panni, il quale, secco della tarda avviatura de' suòi affari in patria, voleva recarsi in Amèrica… giustamente a New-York… —

Il signor Pietro con un gesto assentì, quasi a dire: — Ma bravo!

— Tuttavia — segui il giovanotto — c'è un male… non conosco la lingua…

— Già; è un male — convenne l'infermo.

— Ora, avèa egli, il Giorgini, in una casa d'amici, udito a parlare di una signora Morelli, maestra d'inglese della contessa Orologi… di cui la contessa era enchantée… —

Quì il signor Pietro rifiutò con la mano la lode, quasi fosse per lui, bah!

— Dunque — conchiuse il Giorgini — prego la signora sua figlia ad accettarmi a scolare; scolare un po' vecchio, ma pieno di buonavoglia, e pregola inoltre di pormi un due ore ogni dì, perché io passi da lei. —

Il signor Pietro, mentre Enrico diceva, ne masticava una a una le sìllabe; com'ebbe finito, trasse, a prèndersi tempo, il moccichino di tasca, spiegollo, gli cercò ai capi la cifra, e se lo applicò. E, nel soffiàrselo lentissimamente, vide ch'egli poteva a una volta imberciare in tutti e due i bersagli, cioè nel po' più di minestra e nel non men di figliola.

Nondimeno, rispose:

— Aurora, non deve star molto a tornare; ha ella pazienza di attènderla?

— Oh si figuri — fe' Enrico, che meglio non isperava. E attese. E, intanto, discorse di moltìssimo altro col vecchio, il quale, uno trovando che dàvagli in tutto ragione, rimase giulebbe.

— È quà — disse a un tratto l'infermo, additando la porta — La fà l'ùltima scala… —

Enrico sentissi rimescolare; si alzò.

— Stia còmodo! — suggerì il signor Pietro.

Ed ecco, tenendo l'uscio dischiuso la servettina, entrare, con un visetto che ancor più brillava del sòlito, Aurora. La quale, sul primo, scorgendo una persona inusata, sostenne la vispa andatura; poi, raffigurato chi era, ne sobbalzò.

— Il signor Giorgini — disse allora il pappà — vuole imparare l'inglese. Ei chiede se puòi disporre di qualche ora per giorno, e di quali. Verrebbe quì — ed appoggiò la voce sul quì.

— Per mè, sono lìbere tutte — avvertì il giovanotto.

— Potrèi dire anch'io lo stesso — fè, sorridendo e con quel suo monello aggricciare di labbra la tosa; (e dopo una irresoluzione: ) — Alle due? le và? —

Enrico, che la bevèa con gli occhi, e a stenti non con la bocca, fu per rispòndere che tutte le ore passate con lei, dovèano èssere belle — al par di lei, belle — ma si trattenne. Invece, parlò come scolare a maestro; le dimandò se l'inglese fosse una diffìcile lingua, chièsele conto delle più buone grammàtiche, dei libri di prima lettura insomma, cercò di tirare in lungo il collòquio, nè, al certo, lei d'accorciarlo. Oh! senza il babbo per terzo, chissà fin quando avrebbe continuato! Così, dovette finire. Enrico strinse la mano al pappà, poi alla splendente fanciulla. E, da quest'ùltima stretta, il tremore, che naque ai polsi dei due e si propagò per le vene, disse lor cose che avèano poco a che fare con l'Ollendorff e il Millhouse. Molto migliori però.

 

 




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