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Carlo Dossi
Goccie d’inchiostro

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  • GOCCIE D’INCHIOSTRO
    • 31 - LA MAESTRINA D'INGLESE
      • 6. Malus homo stultus est
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6. Malus homo stultus est

 

Ma l'indomani dell'amorosa dichiarazione, Enrico anticipò di qualche ora la sua venuta in casa Morelli, cogliendo giusto il momento che la fanciulla era fuori. Quel dì, Enrico, avèa un aspetto grave, bùrbero, il signor Pietro.

— Ho da parlarle — disse il Giorgini, inchinàndosi al vecchio; e siedette.

— Anch'io — oppose costùi con un sogghigno di tristìssimo augurio.

— Dica — acconsentì il giovanotto.

— No; dica lei — ribattè il signor Pietro.

Dunque, Enrico, piegossi un po' indietro sulla spalliera della sua sedia, passando la mano alla bocca e accarezzàndosi il mento. Forse, avèa apparecchiato un discorso, ma il discorso era ito.

Il babbo di Aurora lo guatava attendendo.

Enrico si stancò di cercare:

— Signore — disse con risoluto cenno di capo — parliamo sgusciato. Io adoro sua figlia e gliela chiedo per sposa. —

Ve', il signor Pietro non mosse pure palpèbra. Ma con calma rispose, calma di temporale però:

— Seppi io jeri, che ella faceva la corte a mia figlia; oggi lei sappia, che, quanto a sposarla, nichts! —

Enrico sentissi le bragia sul viso; pure, si limitò di arricciarsi i mostacchi; e con le belle belline difese la causa sua e di ogni cuore gentile; toccò dell'immenso amore per lei, amore che pareggiava sol quello della ragazza per lui…

Al che, il signor Pietro sbuffava e barbugliava tra le gengive: oh! mèttere in succhio una tosa… scusate se è poco!… già; al taglio come le angurie… chiòh eh!

Poi, Enrico lasciò il tema su amore e parlò numerario; disse, ch'ei non si chiamava Giorgini; sì bene San-Giorgio, dei San-Giorgio di Ponte (che volèa dir milionari) per cui, egli ed Aurora, avrèbbero circondato il lor babbo di tutti gli agi possìbili.

La quale ùltima corda non sonò male al pappà.

— Insomma — finì il giovanotto, pigliando a colùi, con preghiera e speranza, una mano — ella può fare la felicità di noi due.

Bene; questo argomento — chi non vuol crèder non creda — ruinò tutta la càusa. Il falso egoismo susurrò tosto all'infermo, che là ove due si àman da vero, un terzo è di troppo; ch'ei sembrerebbe una pezzuola-cotone, a villani colori, sudicia, in un cassettino di fazzoletti-battista, a ricami, bianchìssimi, profumati; poi, susurrò ch'egli trarrebbe la vita in un palazzo sì, ma non suo, in mezzo a tappeti, a tappezzerìe di stoffa, a mobiglia intarsiata, ma di altri… e d'altri anche la figlia! e, tra una folla di servi, servo; in conclusione, ch'egli vivrebbe splendidamente di carità, senza il diritto ad un lagno. E Aurora intanto ed Enrico, a divertirsi, a gioire!… gaudiumque coeli poena poenàrum damnàtis.

Rispose dunque di netto:

— No —

No? Enrico era di sùbita ira. Abbiate pazienza! c'è il vino spumante e c'è il muto. Enrico, alzàtosi impetuoso, appoggiò sur il tàvolo un pugno, tale, che lo isfondò, gridando:

— Cattivisìssimo uomo! —

Il signor Pietro, lui e la sua poltrona, ruzzolò fino in fondo alla stanza, pàllido, come se l'omèrica botta avèsselo contracolpito.

— Fuori!… via!… — gridava; ed Enrico spaventato dallo spavento del vecchio, pigliò a precipizio la porta.

Ma, a mezza scala, diede nella fanciulla.

— Aurora! — esclamò, baciàndola in viso — io ti chiesi a tuo padre. Egli… mi ti ha negata!… Lo spaventài… perdona — e in quattro frasi la fece conta di tutto.

Ed essa? Essa pure baciollo… basta? sì ch'egli uscì che lanciava scintille.

 

 




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