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Carlo Dossi
Goccie d’inchiostro

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  • GOCCIE D’INCHIOSTRO
    • APPENDICE
      • 1. La veste
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APPENDICE

 

1. La veste

 

Aspettavamo da un'ora, io e la zuppa: questa si raffreddava, io mi scaldavo. Finalmente si udì un passo affrettato. Giannetta entrò vispa e gaja e... in una nuova toilette — la terza in un mese.

Aggrondài le ciglia.

— Non mi sgridare — ella disse con una voce da tortora e facendo scherzosamente colla manina l'atto di turarmi la bocca. — È percallo. Cinquanta lire.

Prevedevo assai più e perciò mi acquietài. Dirò anzi: l'essermela cavata a così modesto mercato mi fe' quasi contento.

Sedemmo a tavola. Giannetta era carina quanto mai e chiacchierava chiacchierava colla più amabile incoerenza. Al secondo bicchiere di vino, mi saltò la stupida idea di lodare il nuovo abito.

— Non è vero che ho scelto bene? — insinuò essa con premurosa dolcezza. — Per ottanta lire, credi, non si poteva avere di più.

— Ma e non dicesti cinquanta? — domandai con sorpresa.

— Hai capito male, amor mio — rispose ingenuamente Giannetta. — Pare a tè, a tè che tanto t'intendi ed hai gusto sì fino, che valga meno? —

Certo, non pareva. Feci un moto d'impazienza ma non dissi parola. Avendo, del resto, già consentito nella prima spesa, potevo anche imaginarmi benissimo di non aver più da pagare che trenta lire.

Così, il pranzetto, giocondo di vino e di sguardi, continuò. Tra una spiritosaggine vecchia e un'asinaggine nuova, Giannetta uscì a dire di aver giurato alla sarta che le avrebbe, il dì appresso, fatto tenere il denaro dell'abito, soggiungendo con un sorriso: — capirai che, trattandosi di una sciocchezza di cento lire…

— Cento? — interruppi. — Eppure, la cifra, se non ho male inteso…

— Oh, stavolta hai inteso malissimo — sclamò essa con vivacità. — Fa un po' il conto tu, tu che hai studiato di matematica. Ottanta la stoffa, sessanta la fattura, venti le spese… —

In principio di tàvola, avrei rovesciato… la tàvola. Ma eravamo già a mezzo, e Giannetta, attraverso il mio vino, cominciava a diventarmi bellissima.

Per dirla in breve, ad ogni muta di piatti, il prezzo della veste di lei, come in una pùblica asta, aumentava. Fortunatamente, i miei pranzi non sono lunghi. Quando si arrivò alle frutta, Giannetta aveva già avvicinata la sua alla mia sedia, e, circuèndomi il collo col braccio: — vedrai, caro — mi susurrava in voce di dichiarazione amorosa (e colle ditina giojellate e affusolate infilàvami intanto nella tasca esterna dell'abito un conticino piegato in quattro) — vedrai che pomposa figura farà sul corso la tua amatuccia colla sua veste da… trecento lire. Sembra percallo, vero? ma è tutta seta. Ne sei persuaso?

E Giannetta si partì, com'era venuta, gaja e vispa. Spiegài malinconicamente il conto. Il conto diceva trecento cinquanta. Altro non mi restava che di pagarlo. E lo pagài di gran fretta per evitare il pericolo che mi crescesse anche in saccoccia.

 


 




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