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Carlo Dossi Goccie d’inchiostro IntraText CT - Lettura del testo |
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PREFAZIONE
Questo libro stava per entrare nel consorzio umano, da solo, senza corriere che lo precedesse ad apparecchiargli l'alloggio, come vi entràvano i libri in quel tempo in cui c'era minor etichetta e maggior cortesia. Il mio Gigi però, che si tiene al corrente del figurino letterario, mi tirò per la mànica, osservàndomi che non vi ha oggi appartamento completo senza anticàmera, e che se in questa il rispettàbile e colto non è fatto aspettare almeno una mezzoretta, si arrischia, noi padroni di casa, di passare — perché troppo gentili — per maleducati. — Ed è appunto nell'anticàmera del libro — continuò Gigi — che qualche amico di casa (per es. lo stesso padrone) ha modo di catechizzare chi attende e d'imboccargli la conveniente ammirazione, col decantare cioè le doti dell'autore, i pregi del libro, le difficoltà superate, ecc. ecc. Vero è bene, che nelle lor prefazioni, i romanzieri de' nostri nonni seguìvano tutt'altro stile. Quella buona pasta di gente pareva temesse di èsser creduta capace d'inventare le più innocenti fandonie, e si vergognasse di scrìvere — dato il caso — de' capolavori. Quando perciò non mettèvano innanzi o un'ampia protesta d'ignoranza od una sùpplica di compatimento, cercàvano di affibbiare le lor fantasìe a qualche babbo d'impresto. Raddoppiando così, per l'affermazione della verità, la bugia, chi veniva a contarci dell'incontro fatto con un vecchio barcajolo, il quale, fra un tuffo di remo e l'altro, gli avèa confidato i suòi bruciori amorosi di quarant'anni addietro o narrata la storia di un sàlice che in riva al lago, piangeva su una romàntica urna, storia e bruciori che l'autore avrà nulla più che trascritti «a sfogo di quegli occhi gentili che àmano il pianto»; chi c'informava della scoperta di un anònimo scartafaccio bucherellato dalle tarme e scompisciato dai topi, dal quale, a conforto dei buoni, a spavento de' tristi, avèa cavata la sua narrazione, non aggiungèndovi altro del suo — osservava modestamente — che i punti e le virgole. Senonché, oggi, la moneta dell'umiltà, commerciàbile ai tempi in cui Manzoni si affannava ad inargentare il suo oro, fu rilegata nei medaglieri; oggi, tempi di metallo Christophle e diamante francese, non corre che la sfacciatàggine. Se dunque tu hai, a cagione d'esempio, composta una nuova pòlvere contro il prurito o fabricato, poniamo, un cavastivali più complicato di quanti mai sono, guàrdati dall'esitare sì l'una che l'altro per quello che vàlgono; strombazza invece che la tua invenzione ha rimesso la chimica sulle vere sue basi, che la meccànica ha fatto per tè un gigantesco progresso. Se hai stiticamente tortito qualche verso duro o bislacco, giulèbbacelo per la melodiosa eco, da tè ritrovata, della poesia greca o latina, annunciàndoci insieme che, mercè tua, la letteratura è entrata nella sua, non so se quarta o quinta o sèttima rifioritura. Se poi non tieni nè in scienza nè in lèttere il minimo ingegno o sapere, e neppure in politica — purtuttavia non manchi di quella, dirèi, funzione morale, che è supposta in ogni uomo, ossia l'onestà, piglia una dozzina di trombetti e tamburi, và in piazza, e là proclama che l'ùnico galantuomo sei tu, e che ciò è sufficente (anzi ne avanza) per fare di tè un letterato, un dotto, magari un ministro di Stato. D'altronde, il lettore moderno è meno poeta che critico. Egli frequenta più volentieri le cliniche che non le palestre. Non importa che l'esemplare che tu gli presenti sia d'arte ammalata, basta che egli si accorga che tu sai farne la diàgnosi, che veda il propòsito de' tuòi spropòsiti, che creda che tu possegga, benché non ne usi, la capacità di guarire. Supponi invece che le òpere di que' portenti di completezza e di sanità cerebrale che fùrono Shakespeare e Dante uscìssero oggi, nude nella loro bellezza, la prima volta al mondo; c'è da giurare che il pùbblico, dovendo, senza alcun preavviso, affrontarne le meraviglie — meraviglie, spesso create in momenti di sonnambulismo sublime — le guarderebbe con diffidenza, e aspetterebbe ad entusiasmarsi che qualche maestro di scuola glien desse, con un preàmbolo illustrativo, licenza. Insomma, si vògliono, ora, vedere i libri col punto dell'imbastito. È un detestàbile gusto, non nego, ma è il gusto della maggioranza. Siamo in China, abbigliàmoci da cinesi. Di più; una prefazione fatta come si deve, ti risparmia la noja di andar girando per le redazioni delle gazzette a suggerire o scriverti bibliografìe. Per procurarti una buona réclame, non hai che a raccògliere nella tua pattumiera… volevo dir prefazione — la spazzatura… cioè il maggior possibile nùmero de' nomi de' tuòi viventi colleghi in voga e non in voga, citando pàgine di riviste, articoli di giornali, scàmpoli d'ogni penna. Avverti però bene, in qual senso. Si credeva una volta che il miglior modo per ottenere nomèa, fosse quello di lodare altrùi. Non dico che non vi sia del vero in ciò. Il tàcito patto del frico ut frìcas, fu la base, specialmente fra i dotti, di molte celebrità; se tuttavìa, colla adulazione, si và alla fama letteraria in carrozza, vi si và in vagone col biàsimo. Difatti, benché la tua lode possa rènderti amico e futuro laudatore un collega (non sempre però, ché, a contatto dell'intima soddisfazione che sente di sé qualunque autorello, ogni più fitto incenso par fumo di rapa) essa, nel medèsimo tempo, è d'offesa ai novantanove altri che tu o tacesti o in pari misura lodasti — non di tanta offesa, peraltro, da costituire il cosidetto fatto personale, cioè di farli cantare. Al contrario; il tuo dir corna apertamente di molti, anzi di tutti, ti susciterà intorno un vespajo di recriminazioni. Non vi ha scribaccino che non possa mèttere bocca in qualche trombone o fischietto della quotidiana pubblicità. Tante le accuse, altrettante le difese — ecco il pettegolezzo, o con più nòbil parola, la polèmica. Cento gazzette contro di tè, centomila lettori del nome tuo — ecco, (secondo i prezzi del mercato attuale) la fama. Con tutti questi vantaggi, non c'è da stupire se la prefazione ha messo pancia e da serva è diventata padrona. È di lei, come fu già della porta. Destinata in origine ad immèttere semplicemente nella casa, la porta non era nè più nè meno ampia di quanto occorreva, e per maggior sicurezza, la si teneva dissimulata. Senonché, nata la smania delle ambiziose apparenze, la porta fu ingrandita e recata nel mezzo della facciata, acciocché la folla avesse potuto ammirare il felice che entrava nel suo làuto palazzo. Non bastò questo, ma la si caricò d'ornamenti, e le si accollàrono, a sentinelle sui lati, un pajo di colonne, poi le colonne incominciàrono a slontanarsi dal muro, a maritarsi con altre, figliando un pronao, un pòrtico, ossìa una fila di porte. Un dì finalmente naque un bizzarro architetto, che imaginò una porta senza casa, una porta che conducesse nel vacuo, e si ebbe l'arco di trionfo. Nè la prefazione è lontana da una sìmil vittoria. Mercè i nuovi autori, essa ha già conquistato la metà del volume. Un passo, più oltre, e il libro, ridotto alle pàgine estreme, ne dovrà uscire del tutto — probabilmente, del resto, per rifar capolino dall'altra parte — la prima — sotto le spoglie mentite di una pre-prefazione. Lùnam finiri cèrnis ut incìpiat. Conchiudendo; la prefazione promette sempre; il libro non mantiene quasi mai: segui dunque la strada più piana, che, in questo caso, è la più vantaggiosa. Nè altro è il segreto della fortuna di tante mediocrità. Incontrerài spesso persone, colla presunzione nel viso e l'àmido nelle giunture, dinanzi alle quali tutti fan largo rispettosamente — chiarìssimi, onorèvoli, eccellenze — i cui nomi salìrono rapidìssimi la scala della stima ufficiale e il cui ozio gràvita sui cuscini più sòffici che può sprimacciare uno Stato. Chi mai sono costoro? Davvero non hanno nome nè Macchiavelli, nè Galilèo, nè Rovani; pur tuttavìa ti si dirà di molti, con un certo quale mistero, che sono gente di vaglia. Embè, che hanno fatto? Precisamente, nessuno lo sa: se dai retta a taluno di quelli incontentàbili che non si vòglion fermare al di quà dei frontespizi, quei bacalari non avrèbbero fatto, nè saprèbbero fare nulla — almeno di buono. Ma, tant'è, il Chiarìssimo ha dato e dà fuori programmi di òpere colossali che tèngono nell'aspettazione e nell'anticipato stupore il pùbblico, nè manca ad ogni nuova questione di letteraria dogana, di scrìvere la sua epistoluccia ai giornali, per dire che esprimerà la sua opinione; ma l'Onorèvole nelle sue gite autunnali che mèttono in moto la culinaria e la polìtica di tutto il paese, disegna, fra un brìndisi e l'altro, piani di universale cuccagna; ma l'Eccellenza, a sua volta, dai banchi ministeriali dà a bere alle Càmere di quel medèsimo vino delle promesse di cui l'Onorèvole ubbriacò gli elettori. Tutti costoro non fanno che prefazioni. Sono bottiglie cattive, spesso vuote, che dèbbono il loro posto d'onore sulla credenza alla pomposa intappatura e alla promettente etichetta: il padrone di casa stà in suggezione dinanzi loro, e, accontentàndosi d'imaginarne i sapori, ripone il cavaturàccioli. O se vuòi meglio — sono pezzi di mùsica della scuola che non ha cuore — dico quella di Wàgner: — il pùbblico, dèdito alla minchionatura, li ascolta con incorreggìbil pazienza, sempre in attesa di una melodìa che non viene mai. E infatti, guài se venisse! Si vorrebbe tosto altra mùsica. Prometti dunque o minaccia il tuo libro anche tè, ma guàrdati bene dal farlo.»
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