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Carlo Dossi Goccie d’inchiostro IntraText CT - Lettura del testo |
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Ma ora, faceva un tempo bellìssimo. Non c'era quindi, diàmine! più alcuna ragione che l'ombra di scomparse nubi oscurasse la fronte de' nostri due giòvani sposi. Un più splendente, un più azzurro cielo, da un pezzo non allegrava la montagna. L'aria, lavata dalla pioggia, imbalsamata dalle fragranti esalazioni dell'ùmida terra, lùcida come il raso, disegnava nettamente ogni profilo di monte, ogni contorno frastagliato di bosco, ravvivava tutti i colori e saliva per le nari come la bisbigliante spuma dello Champagne. Tuffati in questo bagno di puro àere, con una brezzolina fresca fresca che sfiorava i capelli ed allargava i polmoni, dissolvèvasi la stanchezza e ci si trovava tanto flessìbili e leggieri che, piuttosto di camminare, parèa di volare. Snebbiàvasi la fantasìa; nette, spiccate, schieràvansi in capo le idèe, il benèssere, la gioja si diffondèvano per tutta la persona; in una parola; a larghi càlici si beveva la vita… Oh! come sembrava mai buona! Poi — qual magnìfico paesaggio! — A un trar d'arco dal casale ove la carrozza dei conti Rinucci sostava, alzando lo sguardo, alla vostra manca voi miravate rupi a crepacci che fuori di dirittura minacciàvano voi e di continuo la via, sulle quali s'abbarbicava il silvestre pino, inerpicàvansi le saltellanti capre, e da cui la nera vacchetta, levato il pacìfico muso, che gocciolava, dalla cascatina, e scossa, lenta, la campanella, vi fissava coi grandi occhi sbarrati — nel mentre, alla vostra dritta, ponèndovi sul ciglione della strada e giù guardando, per una serie di verdeggianti praterìe, voi giungevate coll'occhio in fondo alla valle, sul fiumicino di lìquido argento che vi serpeggiava — passato il quale e ricominciata l'erta, incontravate una nuova distesa di prati, sparsa di gentili casette, indi selve annose, cupamente verdi, selve che si opponèvano alle spesse frane di quel monte, nudo, dirupato, gialliccio, che, dietro a loro ergèvasi, superbo delle sue acute cime, e baluardo a perpetue nevi dall'immacolata bianchezza. La via che il conte e la contessa or camminàvano, cacciàvasi poco fuor dal villaggio, in una boscaglia. Ivi, da una banda e l'altra della strada, si rizzàvano altìssimi gli abeti, dalla corteccia grigiastra qua e là macchiata, ora dai pàllidi licheni, ora dal tetro musco, e che, dopo di èssersi strettamente abbracciati a fior di terra nelle radici contorte a mo' di serpenti, in alto rintrecciàvano i frondosi rami sì da foggiare sui viatori un incantèvole pergolato, negli squarci del quale splendeva un ciel di zaffiro e di cui, al basso, disegnata dai raggi del sole, tremolava la ombrìa. Alla sinistra della salita — cioè dalla parte che toccava il monte — vedèvansi sull'erta costa, fra gli àlberi, immani macigni, alcuni pesantemente appoggiati a tronchi che piegàvano, ma cedèvano punto, altri interrati, altri ancora divisi in due con un taglio più netto di quello che la Durindana di Orlando potesse — tutti però coperti al sommo da una porracina di velluto e chiazzati di larghe macchie rossastre, tutti lambiti da un filo di aqua, chiaro, fresco, che sussurrando correva nel suo pìccolo letto di polve quarzosa: invece, dall'altro lato del cammino — ove il terreno dopo di èssere gravemente sceso per tre o quattro scaglioni, colto da un folle ardore, rìpido si abbassava in un pratello smagliante che, giù a tòmboli, finiva coll'arrestarsi di botto dinanzi al vuoto di un precipizio — ci si presentava alla veduta il paesaggio del di là del fiumetto, spezzato in un séguito di quadri, gareggianti in bellezza, e col frascato a cornice. Sotto le verdeggianti volte si aspirava poi quell'acuto sentore dell'ùmido legno che, come l'altro del fieno tagliato, scuote tanto piacevolmente i sensi. Ivi la plàcida, la fina, la dolcìssima sinfonìa d'idillio che la natura pe' suòi innùmeri pispigli di fronde e mormorìi di zampilli, canterellava, non era turbata da dissonanza alcuna: il rombo istesso, sordo, continuo, di una gran colonna di aqua che dirocciava lontan lontano, alla calma, alla solitùdine della pineta, aggiungeva una misteriosa velatura. Solo, di tempo in tempo, udìvasi lo scoppiettìo di àride corteccie o il pìccolo soffocato rumore di un ramoscello che cadeva sull'erba, od anche, come si rasentava un cespuglio, a un tratto il cinguettìo di chiacchierine augellette e il frullo di qualche grosso pennuto che, battèndosela a traverso il fogliame, nel mentre voi ne scorgevate sul terreno illuminato dal sole la fuggente ombra, pioveva sul vostro capo una gocciata di lìquidi diamanti. Eppure, nel mezzo di tutto questo paesaggio abbigliato a festa, che empiva, faceva traboccar l'ànimo di amore e sembrava non desiderasse colle sue verzure e col suo lìmpido cielo, altro che di disporsi a scena intorno a due belle figure, le mani intrecciate, fiso il guardo nel guardo, il conte e la contessa Rinucci serbàvano sempre il loro inamidato contegno, la loro cera di cattivo umore. Anzi; al primo entrare nella foresta si èrano distaccati l'uno dall'altra e, poco dopo, vedèvansi, ella, costeggiare la pendice del monte, tiràndosi dietro di svoglia il suo bastoncino dell'Alpi che, immerso nel torrentello cui affluìvano col cessar dell'erboso i lùcidi canaletti, e, rimorchiato contro corrente, tentennava nella gorgogliante aqua, egli, dall'opposta banda, camminare sull'orlo della strada, colle mani a tergo, l'una nell'altra e, buttando coi piedi i ciòttoli in cui dava, giù pe' scaglioni… fra gli abeti, che, alcuna fiata percossi, gli rispondèvano. Nulla di meno io so (e ve lo dico a bassa voce) che la freddezza, la indifferenza, la noja non andàvano più in là del viso ne' nostri sposini. Difatti, se noi prendiamo la giòvine, l'ànima di lei era travagliata da un continuo sbàttito. Cedèvano le sue fibre dolcemente sotto le delicate sensazioni dell'amorosa natura, il cuore le si cominciava a schiùdere, già una tranquilla contentezza le stillava nelle vene, quand'ecco, lì, pronto ad amareggiarla, a gonfiarle gli occhi… un gruppo alla gola. La contessa ardeva di fuggire la solitùdine, di abbandonarsi all'universale espansione ma… le mancàvan le forze. Cento volte le sue labbra si èrano agitate a un: mio Alberto! — e cento — sia che l'aggrottate ciglia del conte le mettèsser timore, sia che ripugnasse al caràttere suo, piuttosto altero, di riconòscere un fallo, il caro nome le si sfogliava in un sussurro che confondèvasi col mùrmure de' ruscelletti, ed ella — spaurita — si ripiegava in sé stessa come una sensitiva e ringollava amaramente l'intensa voglia. — Insomma, rotte le fila d'oro e di seta di una felicità sin allora inalterata, ella a riappiccarle era o si credeva impotente. Tuttavolta vi fu un istante che lo sperò. Suo marito, lui che dal principio della salita procedeva schiacciando senza pietà i gentili fiorelli ne' quali abbattèvasi, premurosamente si era abbassato a cògliere un purpureo ciclàmine. Emma si sentì bàtter le tempia… Ben presto al pamporcino, Alberto unì un anèmone, poi aggiunse una viola, poi… Evidentemente egli intendeva di porre assieme un mazzetto. Per chi? La contessa sorrise con compiacenza. Non solo: diè in un balzo di gioia. Inquantoché il conte, dopo di avere stretto con un filo di robusta erba i raccolti fiori, volgèvasi come verso di lei e… Ma no! Pòvera Emma! Alberto, diggià pentito, lasciò cadere il braccio, fè qualche passo, avvicinossi alle nari il mazzetto, ne aspirò lentamente tutto il profumo, tutta la freschezza, irresoluto lo girò fra le dita pel gambo, fissollo con malinconìa, poi, di sùbito, sprezzatamente, lo gittò lontano da sé, fuor dalla strada. Mazzolino infelice! Passato a volo tra i fusti degli àlberi, raso il declive pratello e' si ficcò nel prunajo — corona del precipizio — e restò. Il dolore, l'angoscia fu tale allora nella giòvine donna, che gli occhi le imbambolàrono e le gocciàron le làgrime; tanta la commozione che, sentèndosi venir meno, si lasciò, smarrita, cadere sur uno di que' grossi tronchi di pino che di distanza in distanza giacèvano lungo la via. E il conte, vid'egli? — Certo, se volessi affermare, non giurerèi (ché Alberto aveva sempre tenuto il volto verso la opposta parte) ma è pura istoria che, alla fermata della contessa, egli del pari, sostò, rimase qualche momento in tentenna: quindi risòltosi, bellamente siedette anch'egli sul ciglione della strada, volgendo le spalle alla moglie, una gamba pendente giù dal muro di sostegno, l'altra, alquanto piegata, sopra il rialto. Seguìrono un cinque minuti… lenti per ambedue come quelli di un prigioniero, cinque minuti di una pesantezza di piombo. — Il conte teneva dietro machinalmente collo sguardo a due farfalle che senza posa, si corrèvano appresso a muta per acchiapparsi e non riuscìvano mai: Emma, col puntale del suo bastoncino dell'Alpi, scalzava istizzita i sassolini della via… ritardando così il viaggio ad una pòvera formica che col suo minùzzolo in bocca, mezzo balorda, mezzo acciecata pel gran polverìo, più non sapeva a qual santo raccomandarsi. E tutti e due capìvano che in tale maniera non la si poteva durare. Ma, comprendèndolo, essèndone convintìssimi, che volete? per una strana inerzia di ànimo — quantunque bramàssero di darsi presto un buon bacio e di voltare pàgina — non tentàvano nulla e si rimettevano l'un l'altro pel cominciamento — il quale non veniva mai.
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