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Carlo Dossi
Goccie d’inchiostro

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  • GOCCIE D’INCHIOSTRO
    • 6 - PROFUMO DI POESÌA
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6 - PROFUMO DI POESÌA

 

Miss Ada Banner of Bannerlodge, con un tometto del suo inseparàbile Moore sottobraccio, risaliva le scale del Grand Hôtel de Genève a Roma e veniva dall'aver impostato il suo terzo reciso rifiuto alla terza insistente proposta di matrimonio del cugino di lei, Tomaso Turtleson, esq. Mò figuràtevi presunzione! Parlare di matrimonio, anzi di letto matrimoniale, ad una che non capiva se non l'amore di contrabbando (che è il più incòmodo amore) parlarne poi tanto alla buona, tanto commercialmente, come se si trattasse di un affar di formaggi. Infatti — circostanza aggravante — il cugino Tomaso negoziava all'ingrosso di questo alleato degli osti. Per quanto muschio sentisse la sua carta da lèttere, le delicatìssime nari di Ada, odoràvano sempre formaggio. Pàride anche — chissà! — avrà esercito in sìmili gèneri, ma il Priamide vestiva pelli agnelline e non avèa su ditta. Imaginate! Sposare un «Thomas Turtleson and Co.» all'insegna della Vacca e del Bue! e di più, uno le cui ventrali carnosità, già inestètiche, auguràvano di riuscire nella maritale sbottonatura alle rotondità di una pancia. Domando io, come possìbile i voli con una sìmile bomba ai piedi? Come i lunari colloqui con un paralume tale dinanzi?

Fanciulle! gran bella cosa la poesìa — … Parlo s'intende, non a quelle dense tosoccie o piuttosto «pollanche ingrassate col riso» che si permèttono di avere sempre appetito e sempre voglia di rìdere, ma a quelle, le quali,

 

tenuia vix summo vestigia pùlvere signant,


dalla lingua perpetuamente sudicia, dagli occhi coi luciconi, dal naso che trasparisce, assidue frequentatrici del negozietto Aleardiano di profumerìa poètica: e dico, gran bella cosa, o mie azzurrine, la poesìa! inquantoché essa ci toglie al solitismo di cotesto mondaccio e ci fa piàngere amaramente sopra disgrazie non mai avvenute nè mai avventure, e ci mantiene tutta la scienza dimessa e sèrbaci magri con poco.

Disgraziatamente, per quanto poco si mangi — ahimè! — non tutto va in sangue, ed anche le più vaporose fanciulle… (dove troverò io espressione che non offenda le mie gentili lettrici, tanto caste d'orecchio?…) sono obbligate di fare da sé ciò che non pòsson far fare dalla lor cameriera. Il che, per la forma, è il capolavoro della infernale malizia: dìgitus diàboli est hic; benché io ci ravvisi piuttosto di quella sapienza divina che mette tutti nel mondo per un'ùnica strada. O pòpoli, trepidanti in ginocchio dinanzi a degli appiccapanni abbigliati d'oro e d'argento, o datevi pena d'imaginare i vostri Reacci e Papassi anche sul trono forato! Quella è la vera comune. Addìo maestà! addìo infallibilità!

E appunto — tornando a noi — fu uno di tali inviti improvvisi, imperiosi, che colse a mezza scala la biondìssima Inglese e la obbligò, pàllida e smarrita, a rifugiarsi nella sua prima compatriota in cui diede. Era il poètico cestellino di uva, mangiato il dì prima. Tutto và in quell'eterno sepolcro — e la foglia di rosa e la foglia d'alloro…

Ma sostiamo. Non è indispensàbile, vero? ch'io dica tutto. Avessi pure lettori leggenti le sole parole, di que' lettori pei quali i puntini rèstano sempre puntini, abituati alle dande e non ancora svezzati, parmi ciò nondimeno ch'io possa, in questo ùnico caso, contare un pochetto, se non sulla fantasìa loro, almeno sulla memoria. E però, pregàndoli di èssermi tacitamente collaboratori, tirerò via dritto saltando a ritrovare la nostra bionda inglesina, quando, soffusa di un pudico rossore e, diciàmolo pure, col cuore più sollevato (o cuore, comodìssimo nome) sta per riporre la mano sul catenaccio dell'uscio.

Ma, alla maniglia, un sobbalzo. Miss Ada si arrestò sussultando.

Era un nuovo avventore. Il quale trovando chiuso, e avendo invano bussato, parve si allontanasse.

E lei ripose con titubanza la mano sul catenaccio.

Ma l'avventore ritorna e si dà a passeggiare su e giù pel ripiano.

Miss Ada si ferma di nuovo e si mette in ascolto. Il passo continua. Che fare? uscire? spoetizzarsi?… Ma e in faccia di chi? La poesìa è alle fanciulle come la polve dorata alle farfalle… guài se la tocchi!… E perduta la poesìa, che le restava da pèrdere?… Fra il sì e il no, passàrono alcuni minuti, minuti che a tutti e due sembràrono un'ora — e lo credo.

Sapristì! — esclamò spazientito, colùi che aspettava —

Gran Dio! la voce del prìncipe russo — di quell'elegantìssimo giòvane, che accompagnàvala al piano e cantava con lei i più appassionati duetti ed imparava l'inglese dalle sue rosee labbruzze sul Moore… pòvero Moore! Or che fare? che fare? Ragazze mie: mettètevi ne' panni suòi. Parlo, sempre, s'intende, alle mie sòlite magroline.

Ogni speranza, vana.

E intanto s'era avviato sul pianeròttolo il dialoghetto seguente:

— Comanda il signore?

Morbleu! — ma sono tutti occupati i vostri nùmero 1000? E ci si gode a starci. È un'ora che attendo.

— Un'ora?

— Dico poco.

— Ha bussato? hanno risposto? no…? oh allora… non voglia Dio! — E forte battendo e scuotendo la spagnoletta dell'uscio, il nuovo venuto gridò: signore! signore! —

Miss Ada si guardò bene dal muòvere labbro.

— Certo… certo… — continuò in inquietìssimo tono colùi che parlava — una disgrazia è accaduta. È un luogo malaugurato questo. L'altr'anno… —

E quì nuovi passi e altre voci… Che c'è?… una disgrazia? — dove?… apoplessìa? omicidio?… Convien chiamare un dottore… Chiamate un prete piuttosto… Occorre il sìndaco… il giùdice… Fate presto… un ferro… una leva.

Miss Ada non sapeva più in che mondo si fosse, o, sapèvalo troppo. L'idèa del suicidio le balenò. Guardò al finestrino del chiaro; non vi passava nemmeno la testa; sguardò al finestrino del buio, inorridì.

E dire che ella sarebbe rimasta senza paura in una gabbia di tigri! O martirio, invidiàbile onore! all'aria aperta però. Nè più sapeva se le convenisse svenire.

Ma la porta cedette.

Miss Ada fremè di furore e si coprì colle palme la faccia. Stette immota un istante, come vinta dal peso di una universale berlina, come sotto le risa che meno udiva di quel che sentisse — eppòi precipitossi alla scala, dietro lasciando un profumo, che non era di viole.

La Poesia fuggì, turàndosi il naso.

E quel dì stesso Tomaso Turtleson, esq. negoziante in formaggi all'ingrosso — Chester — Whitesquare — leggeva, gongolando di gioia, il telegramma seguente:

            — Riceverài una lèttera mia. Non aprirla. Stràcciala. Io mi marito anche con tè.

 

 


 




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