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Carlo Dossi Goccie d’inchiostro IntraText CT - Lettura del testo |
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Era notte; e, nelle càmere d'Ines, niun lume, ma le finestre aperte, sì che il raggio lunare e la brezza entràvano a loro piacere. Leopoldo passò le due prime. E, nella seguente, era Ines, sur il poggiolo che rispondeva al giardino, seduta, e reclinando la testa all'indietro, gli occhi velati, semichiuse le labbra, in quell'abbandono di quasi-delìquio, che inonda chi pianse molto e molto si disperò. Piovèndole attorno, la luna ora piangeva per lei. Leopoldo riste' a contemplarla un istante. Ed ella se lo sentì forse vicino, vicinìssimo anzi, ma tènnesi immota. Leopoldo tentò proferire un nome; la lingua non gli ubbidì. Ei la obbligò, e disse: sorella! — Si alzàrono lentamente le palpèbre di lei, e scopèrser due occhioni, nuotanti in negri stagni di duolo. — Sorella — riappiccò egli a fatica, in tono alterato — sono ancor quì… perché… perché non ti posso stare lontano… quando tu soffri. E, che tu soffri, io so. — Ma no — ella disse con un filo di voce. — Sì! — egli fece, in uno scoppio di rabbia — or perché contradici?… Atrocemente soffri. Io leggo negli occhi tuòi, ebri; nella tua faccia patita, colore di perla; in questo tuo istesso singulto. Eppòi, conosco il tuo male — Ines sorrise pallidamente. — Tu spàsimi di amore. — Ella ne sobbalzò; si raddrizzò sulla vita, e, serràndosi al cuore le mani, quasi per ratenerlo, ché le parèa fuggisse, gridò: no. — Sì! — ripetè Leopoldo con un riflesso d'incendio nelle pupille, piantàndosi innanzi a lei — Non mentire a mè! Tu spàsimi d'amore per… per tale, che io odio, che io schiaffeggerò, ucciderò — (e accennava come a sé stesso) — per… — (e si stravolse la lingua) — Emilio… — Ma oltre non disse. Ella il guardava, schiettamente stupita, ed ei ne ebbe un sussulto e di gioja e dolore. — Dunque, chi è? — disse, piegàndosi sopra di lei, strette le pugna. Ines era un trèmito solo. — Voglio saperlo — egli fece — voglio!… hai capito? — Il viso della fanciulla sformossi, pigliò la strana gonfiezza del viso di un folle. E una ràuca voce esclamò «tè»; e un bacio, incandescente carbone, arse per sempre un sorriso. Ma a pena Leopoldo ebbe toccata la sua contro la bocca di lei, che si ritrasse atterrito, cacciò le mani ai capelli, fuggì — Caino d'amore. Ed ella si morse a sangue le labbra; poi, tramortita, cadde.
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