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Carlo Dossi Goccie d’inchiostro IntraText CT - Lettura del testo |
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9 - ISTINTO
Giorgio entra di corsa nella sua càmera… In mezzo alla tàvola posa un certo negozio sul gusto di uno scatolone, rivestito di carta grigiastra da bachi e stretto da spago. Giorgio ristà, gli brillano gli occhiucci, il cuore gli fà — spiccatamente — toch-toch. È il regalo di zio! Infine! Giorgio avèa cessato dal sospirarlo. È il regalo di quel curioso di zio che gli mantiene i bei fantoccini e lo fa ridere tanto, producèndoli fuori dalle sue tasche, adagio adagio, con una storietta a rinforzo. E che sarà, e'? Il piccinino arràmpica sur una scranna, siede sopra la tàvola, una gamba di quà, una di là dell'involto — poi tira uno de' capi del nodo. E la cordetta si allarga; con essolei, anche la carta grigiastra. Ecco uno scatolone — Giorgio vi mette su le manine: con la sinistra se lo ponta contro, con l'altra si sforza a strappargli il coperchio… Nenni! Sbuffando, volge lo scatolone. E ritenta. Bah! di nuovo fallisce… Allora, su! alle pìccole scosse, ai colpettini, uno di quì, uno di lì… dalle dalle… aah! ci riesce. Il coperchio si stacca, cade. Si leva un odore di vernice e di trùcioli, l'odore delle botteghe de' baloccài. E Giorgio, con pressa, spazza via lo strato dei frastagli di carta. Oh! dà in un grido di gioia. — Un pino! — fà egli, estraendo un coso dal fogliame verde arricciato, dal fusto color terra-di-Siena, con uno zòccolo giallo — E te lo alloga in mezzo alla tàvola. Ne séguono altri stranissimi àlberi, pomi, peri, la pianta de' manuscristi, quella dei venti-lire, nèspoli, aranci, al dire di Giorgio. — Un pècoro — sclama poi, assicurando sopra i picciuoli una bestietta bianca con una linea rossa al collo. E dietro all'agnello, trotta il somaro, il drago, il bue, il rinoceronte, il cavallo, il… Nò, l'è un omino. — Il signor Pietro Grattoni! — osserva, facèndogli bocchi, il monello (Grattoni gl'insegnava le lèttere, non le belle, intendiàmoci.) — E la sua cuoca Mattèa! — continua, accompagnàndolo ad una villana, quadrata di spalle, e, più ancora, di gonna. Insomma egli discàtola tutto. La tàvola rimane coperta di un barbaglio di galantuomicini e di bestiole d'ogni fatta — color pomodoro, pisello, inchiostro — Nè màncano pezzi di prato con incollàtovi il muschio e coi ruscelli di specchio, nè le cascine a tetto rosso-di-minio e le capanne coperchiate di paglia. E in tutto questo piccolo mondo, corre una rara concordia, il lupo giuoca con l'agnellino, il cacciatore và a spasso col lepre, i porci cùllano i bamboletti. Giorgio poi, la cui prima gioja è svampata, serio serio, il labbro inferiore sporgente, le sopraciglie aggrottatuccie, guida i suoi morselli di legno l'uno a casa dell'altro, li passeggia, li fà polcare, stringe parentadi fra essi, imbandisce de' pranzi… Ma, tò! il lagrimèvole caso. Un bue, quel bue pezzato, simpatìa del mimmo, salta dalla tàvola, giù. Ah! s'è crepato un corno. Giorgio gliel vuol rassettare; lo spezza. — Se' tu — dice allora, passando la colpa su di un innocente ominatto — tu, birbone! — e, per smaltire la rabbia, lo fà cozzare con un compaesano di lui. Tich… tach — tutti e due si scavèzzan la testa. Non fosse mai succeduto! Ne viene, a coda, la filatera delle vendette: si fura il pollame, rùbansi le giovenche, si abbàttono i pini. Ve'! un generale conquasso, una fricassèa!…
* * *
Un'ora dopo, la mamma: — Pòvero zio! — esclama. Raccoglie lo scatolone, vi accòmoda i biscottini.
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