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Carlo Dossi
La desinenza in A

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  • LA DESINENZA IN A
    • SINFONÌA
      • 1 - Sezione di una casa civile a due piani.
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1 - Sezione di una casa civile a due piani.

 

O Pùbblico, o solo mio , si porta. Due lire e tu sei in teatro. ¡Ànimo! risparmia un pajo di guanti, un nastro, un fiore, un sacchettino di dolci, e ardisci di non scroccarmi il biglietto. ¿Chi è mai, che con un cinque-centèsimi in tasca, avrebbe tanta impudenza di domandare, per grazia, a un panattiere un panuccio? ¿non si paga, fors'anche, una sbornia che ti misurare la terra tra le fratellèvoli risa del pròssimo? ¿non si paga un amplesso che ti lascia un rimorso? ¿non si paga perfino un rimedio che ti assassina il palato, e, peggio ancora, lo stòmaco? Pùbblico-Rè, tràttami almeno, ti prego, come tratti il tuo cuoco, il tuo sarto, il tuo eròtico araldo. ti rattenga la pietosa paura di rivedermi, tua mercè, a tiro di quattro e col battistrada. Lo spìrito costa molto olio. Siamo poi troppo signori per diventare mai ricchi.

¡Animo dunque! ti dazia e riempi il tuo posto. ¡Ve' che poltrone! ¡Che molle! oh che molle! Se la tua regnante Maestà — come desìdero e spero e per essa e per — ha pranzato da papa, troverà quì da disporre ampiamente la intimpanita ventraja, e potrà, cullata dal tepor della sala, succiarsi il pisolino del chilo, senz'altro timore da quello all'infuori di pèrdere la commedia, il che è forse un guadagno; se, invece, la è favorita da qualche polposo vellicatore contatto, la Libìdine tua ha di che stare a tutta sua voglia stipata in un disagio agiatìssimo. E di più, nei ritagli di tempo, badando un poco anche a e non isdegnando la tenue fatica di pensare il pensato, potrài mantenerti sull'esercizio di quella lingua italiana, in cui l'innesto lombardo distrugge la scròfola fiorentina, e ¡chissà mai! accattarti una dozzina di concetti ingegnosi, da improvvisare poi per tuòi propri, così facendo una figura men ladra nel mondo della parola, e così confermàndoti nella buona opinione, che tieni, senz'alcun forse, di .

Ma ecco, sul limitare, tra il vorrèi e il non posso, una rispettàbile dama. È una madre, incerta tra le ghiotte promesse di un cartellone e la verginale apparenza di una fanciulla, che le stà braccio a braccio. ¡O non tema, signora! Entri pure a cuor sciolto. Punto primo; la vera Morale, immutàbile, eterna, come il corso dei cieli, pel quale è tutt'uno che i càlcoli delle più prèsbiopi spècole bàttano giusto od errato; per suo conto e ben . Non creda, che i libriccioli pel popolino del castratello A**, le commedie per le bimbe da latte della maestrùcola B**, sìano proprio i Messìa da mantenere questa vera Morale nel suo diritto cammino, cariàtidi, a parer mio, che si dilòmbano a sostenere una mole che si sostiene da sé. I dieci comandamenti, così detti di Dio, hanno potuto, dopo Mosè che li scrisse con la minaccia, èssere rispettati, appunto perché per amore lo èrano già, in altro còdice inscritti ben più duraturo del granito e del bronzo, «la umana universale coscienza.» E ciò la signora favorirà di accettare sulla parola, ché a voler la ragione di ciascuna ragione, si sciuperebbe a quintali la carta e a botti l'inchiostro, coll'attraente certezza, che, fatto il giro del globo, arriveremmo alle spalle di quella prima ragione da cui s'era mossi. Non mi òbblighi dunque a nojarmi, per annojare lei. Se la signora ama proprio la noja, non màncano biblioteche. Punto secondo; Drammàtica e Letteratura, nei loro rapporti colla Morale, nàrrano più quanto si o si è fatto, che non insègnino il da farsi. In particolare poi «teatro» vale divertimento; tanto è ciò vero, che se l'autore a questo suo scopo fallisce, pensa lo spettatore a rièmpierlo, traendo dallo stesso tràgico orrore una piacèvole sensazione. Ma le sensazioni che scèndon da un palco non divèntano mai sentimenti; tutto, in un teatro è fittizio, per chi dice e chi ascolta; tutto, dai scenari alle ore. Per quanto omicida, una tragedia non fu mai rea di digestioni men buone ne' suòi spettatori ed attori. andiamo a fidarci della larva dei visi. Niun uomo s'affanna davvero o gioisce se non della propria fortuna. Calato il sipario, il sogno è finito; resta ciascuno qual'erasolitamente un briccone. E, punto terzo; concesso anche, o signora, tanto per contentarla, che la drammàtica o letteraria rappresentazione di un peccato qualunque, possa lasciare vestigia nella cera ancor molle di un giòvane cuore, ¿perché allora, domando, non ne èvita Ella alla sua quasi-intatta palomba il domèstico esempio, reale e diuturno, ben altro efficace che non scolorite finzioni? ¿e quale casa — mi dica — non è viva accademia ai più torti costumi?

Veda quì. Ho un sacco di casettine quì (e lo scuoto) sul gusto di quelle, che, scolpite nel pino, vèngonci da Norimberga, la città cara ai fanciulli. Scèlgane una, madama. ¿Vuole che mèscoli ancora?... scelga pure a suo agio... ¿Questa?.. ¡Brava! Ella ha saputo pescarsi un grazioso edifizio a due piani e senza botteghe, abitazione certo di gente, che, per mangiare, non ha da far altra fatica che di recarsi il cibo alla bocca; di gente che non còmpera cenci per vesti, ma vende vesti per cenci; di gente, in una parola, per necessità buona, non perciò virtuosa. Ed ecco, Pùbblico mio, la casa; ecco il pìccolo mondo, dove ciascuno possiede il vero suo regno, un regno in cui si comanda a chi amiamo e ci ama: ecco il sacrario del fatale palladio della polìtica quiete, la pèntola; o, se meglio v'aggrada, quel camerino dove si studia la parte da recitare in istrada e il genio ci appare in mutande e... Dite «basta», vi prego. Ché io, di tutta 'sta roba, farò come di un pomo. Con il coltello della fantasìa la spacco. ¡Ve' che taglio nettìssimo!

Passeggiàmola ora col guardo. Il primo piano può dirsi un cannocchiale di stanze. Tutto è seta, velluto, tutto è oro, cristalli. Male potrèbbero i più tèneri piedi desiderare una maggiore morbidità di tappeti; male saprebbe una logorìssima schiena imaginarsi imbottiti più voluttuosamente cedèvoli. Eppure, fuorché i servitori, non ci si trova nessun altro padrone, il che vuol dire che a meraviglia non ci si stà. Nel salottino della signora, una tenda è strappata, un pajo di sedie rovêscie, e, di più, stelleggia nel vastìssimo specchio un gran crepo, colpa forse quel braccialetto che innanzi gli giace ammaccato. Fatto è, che il padrone se l'ha scivolata di casa con una cera più muffa del consueto, gualcendo un mazzo di polizzini, e che la signora scarrozzò via con la vendetta nel volto; egli, probabilmente a pagare dei dèbiti, ella certissimamente a farne. ¿Ma a che ti scalmani, o marito? ¿a che spesseggi i picchii irritati del tuo nodoso bastone a corno di cervo? Tua moglie ha sotto di sé quattro ruote: arriverà sempre lei per la prima... E la portinaja, la quale ritorna dal chiùderle dietro il cancello, rianda la segreta consegna delle bugìe che le lasciò la padrona, e ne fa sùbito parte al signor mangiadormi, nascente in quel punto dalla cantina con due bottiglie tra mani e la terza in budello. Intanto, una botoletta sfoga di sala in sala la sua stizzosa verginità sui pizzi di una mantiglia, e intanto un bàmbolo latterino, con l'ira nelle gengive, traballare la ricchìssima culla, strillando a sgozzarsi pel noleggiato seno della nutrice. ¡Ma e sì! sparmia il fiato, ¡bimbo! Una giuliva fanfara ha invaso l'ambiente e la tua mucca a due gambe, che regge il seno a fatica, è andata ad esporlo a un poggiuolo, di dove, mirando il brioso passare dei bersaglieri, cerca, tra tante penne di gallo, la coda del suo. La cameriera le sopraggiunge. La cameriera abbandonò, di sua parte, una cuffietta a ricami sulla scottante cucchiara. Fuma la tela battista, ma la strinatura del cuore le intasa per l'altra l'olfato. E passa l'amoroso sergente e la occhieggia, mentre il marito di lei, quel bambagione di cuoco, fischia in cucina il motivo della fanfara, battèndone il ritmo su costolette di porco, nobilitate a cinghiale.

l'altro piano si dissomiglia troppo dal primo. Se quì non si pranza in porcellana Ginori, non si sboccona neppure in terraglia di Biella. I padroni maschi, anche quì, sono fuori; giova peraltro supporre, che ciò sia a sgobbare, per mantenere nell'ozio le loro massaje. E davvero, di esse massaje, due, cioè la nuora e sua figlia ventenne, stan trascicando pel corso da trè o quattr'ore le loro fruscianti balzane, gratuite spazzaturaje. ¡Sfido voi a restare tra quattro pareti, in una giornataazzurra, con tanto lusso di vesti, e quel ch'è più, con della carne in negozio da esitare alla svelta! Ma già suònan le cinque, e in casa non c'è letto rifatto. «Ah se non ci foss'io!» sospira, scotendo il capo, la suòcera, fida alla stanza per non poterne più uscire, «¡addìo òrdine!» E insieme, quello che può, disordinando le idèe nella ricciuta testina della nipote minore, una bimba novenne, la quale stà a lei sillabando la storia di Eva che mena pel naso il protomàrtire Adamo. Senonché il loro (parlo ancora di naso) non sembra molto sagace se non si raggrinza all'odore di bruciaticcio che esala dalla cucina. ¡Cuoca malconsigliata! bada all'arrosto che se ne , e non al pudore già andato. Fai senso perfino allo spasimante magnano, che non arriva a capire per quale ragione paventi, la prima volta, le sue fuliginose carezze. Poiché il magnano non del ganzo rivale, chiotto nel dispensino, come tu, cuoca, non sai che l'ascoso, troppo è rapito in una libbra di cotta per ingelosir della cruda. Intanto l'arrosto in fumo, coi sogni leccardi dello sgobbante padrone.

E questa casa, o signori, è delle meno sconclusionate. ¿Non mi crede, madama? Crederà. Un po' d'unguento bocchino, e rincollata è la casa, e quale pareva, torna; e ridiventa, per lui che passa in istrada e mai non pagò di focàtico, l'arca d'ogni terrestre salute.

Ma la platèa s'è zeppa. ¡Giovinotti, in orchestra! Parlo a voi, smilzi agognanti alle meritali sferoidità,, a voi, nati all'amore dalle trè pubblicazioni e alla santa fatica del procreare in perfetta sintassi e alla felicità in carta bollata; parlo a voi, che, ancor titubanti tra una tovaglia troppo piccina per due e due lenzuola troppo ampie per uno, ergete al cielo (del letto) i lìberi polsi per impetrar le manette. Tu, in buca, ira suggeritrice. ¡Giovinotti, ai leggìi! ¡Fuori i fagotti e gli zùfoli! Dice il mio quinto Vangelo «allegramente sonate, ché sarete sonati


 

 




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