Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Carlo Dossi
La desinenza in A

IntraText CT - Lettura del testo

  • LA DESINENZA IN A
    • ATTO PRIMO
      • Scena prima – Le due poppatole.
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

ATTO PRIMO


Scena prima – Le due poppatole.

 

Era un giorno qualunque di un qualunque gennajo. Il palazzo dei Garza si stava abbigliando pel ballo di gala che la contessa Tullia (c'è anche un marito, ma conta per vetro rotto) usava di offrire ogni anno alle stelle della città, nel cristianìssimo scopo di spègnerle tutte con il fulgore delle sue gemme, l'inaspettato della toilette, la sua bellezza spavalda e il nùmero dei sospiranti. Tapezzieri e pittori, lampadài e fioristi, avèvano invaso il palazzo sloggiàndone quasi i padroni. D'ogni parte un traurtarsi, un sorvegliare a chi sorvegliava, un comandare contro-comandi, un affannarsi a conchiùdere nulla o peggio; , il lamento di un mòbile grave che non voleva mutar domicilio compromettendo la sua emèrita età, o lo squillo di gràndine cristallina da un lampadario commosso; quà, gli accordi di un pianoforte o la scordatura improvvisa di un servizio di Sèvres; in complesso, nell'aria, tale un broncio, tale una luna da minacciare tutt'altro che un divertimento.

¡E sì, che, almeno pei servitori, la festa è già nel suo pieno! Sulle cantine, non più catenaccio; le pletòriche botti son salassate senza pietà; nella cucina par convenuto il mercato; tanto è il cibo, da spaventare la fame. Eppure, sarà una grazia, quest'oggi, se potranno i padroni sedersi a tovaglia e alzàrsene non malcontenti. Poiché la pompa ha ucciso la comodità. La sala da pranzo diventò un teatrino; la scala, una serra dal vertiginoso profumo: quanto ai saloni, sèmplice spazio; pura mobiglia, le càmere. Basti pensare, che il ballo s'è spinto fino allo studio dell'adiposo padrone, obbligàndolo a evacuare d'òrdine della signora, che intende sostituirvi un boudoir; sì che il pòvero conte Gonzalo, fàttosi usbergo di scientìfica flemma, ha dovuto raccôrre le sue ittèriche carte e colla penna all'orecchio, il calamajo in saccoccia e due messali sotto le ascelle (ché i servitori non hanno più tempo, nemmen di servire) emigrare in uno stanzone remoto, dove, vedèndosi il fiato e soffrendo di unghiella, lima ora una ottava di quel suo immenso poema tra il didascàlico e il rompiscàtole, che tratta «della domèstica pace

Diamo adesso un'occhiata alla guardaroba. ¡Vatti a nascònder, Babele! Armadi e tiretti, scatoloni e ceste, tutto è aperto, scoperto; è un guazzabuglio, una arlecchinerìa di fogge e colori, di sottanini e di gonne, di sbuffi e volanti, di bindella e cervelli... dico cioè cappellini. Potrèi, fossi maligno, osservare che la padrona, a pezzi e a pezzetti, c'è tutta. E sul tavolone un monte di bava di bachi, spuma senza sostanza come la bonne société, che basterebbe a parare otto donne, ma non a salvare il pudore a una sola, un candidìssimo monte, che decresce man mano, passando tra le àgili dita di quattro sartine, le quali, sedute nel vano di una finestra, ci danno lo strano spettàcolo di affacendarsi a cucire — mentre bianchéggiano i tetti su di un ciel grigio — una veste di estate. E quelle ragazze agùcchiano svelto, chîne le fronti gentili, in silenzio, si soffèrmano che a provvedere l'ago di nuovo filo, aguzzando, verso la cruna, occhi che non hanno dormito. Sopra la sponda della finestra òziano intanto quattro grosse pagnotte e... un coltello. ¡O sojatora cucina! ¡o carestiosa ubertà! Tuo malgrado, anzi, è per , se anche la gabbia di Cicio, il pàssero solitario, pende muta in un canto. Èccoti , Cicio mio, irrigidito sulla incommèstìbil sabbiuccia, vuoto l'abbeccatojo, scîutto l'orciuolo, senza più cuore, senza lattuga, senza ancor làgrime, salvoché forse da quel gattone soriano, che strofinàndoti-sotto le volte più voluttuose, guarda in e sospira, per non potere pagarti l'ùltimo ufficio.

Tanto, dico, la guardaroba era zeppa di nulla, che Isa, la settenne bambina della contessa, avèa dovuto tirare i suòi due metri quadrati d'immunità, il suo San Marinetto, il suo tappetino, sin contro uno sposareccio cassone, di quelli che con le scolture e gli intarsii dissìmulano (come l'àbito bello il cuor brutto) la biancherìa sùdicia. Era, quel tappetino, l'asilo di tutti i colletti all'àmido renitenti, di tutti i nastri ribelli al cappio o scartati dalla instàbile moda, in una parola, di tutti i banditi dall'abbigliatojo materno; ed era l'assoluta provincia della bambina e della sua amica di cartapesta, la graziosa Fanny, una fantoccia, che le assomigliava come uovo a uovo e nell'oltremare della pupilla e nel vermiglio delle guancette, tènere e tuffolotte, e nell'incipienza del naso e nel biondo-ambra della capigliatura, avvantaggiando su lei in ciò solo (d'assài rilievo però) — nel silenzio.

Ma siccome, quaggiù, cosa compensa cosa stando la perfezione nel complesso di tutte, valeva il muscoletto linguale dell'Isa e per l'una e per l'altra, anzi ne sovrabbondava.

«¡Pòvera la mia Fannydicèa essa accoccolata sul tappetino mentre aggiustava intorno alla bàmbola con la manina guantata una bianca sottana di raso, «quella brutta Honorine non ti ha ancora portato l'abituccio di gala. Hai, è vero il gros lilla, hai la faille rosa, hai la moire mauve, ma li hai messi già tutti. ¡Fi! c'est indécent comparire due volte nello stesso salon con la stessa toilette... ¿Che ne direbbe la baronessa Colorno, cette dégoutante? ¿che ne direbbe la Breda, cette parvenue?... Eppòi, tu devi ballare i lanciers con Sua Altezza, e far ‹ghigna ghigna› a quella smorfiosa di una marchesazza d'Alife. ¡Pòvera la mia Fanny! ¿È il nojoso pappà, vero? che non ti vuole dare le sou? ¡Avaraccio!... Ha ben ragione don Peppo. ¡Auf! ¡ces maris! ¡che caldo!... Ma non piàngere mica, Fanny. Noi lo diremo a don Peppo, e don Peppo ti comprerà lui la vestina

Tra parèntesi; chi mai sia don Peppo e quale il suo ufficio in casa del conte Gonzalo, non giurerèi: stanno due indizi però; l'uno che ogni qualvolta è pronunciato tal nome, s'increspa maliziosamente il cantuccio dei labbri di questa o di quella sartina; l'altro, che Isa, per ajutarsi la imaginazione, ha investito della parte di lui uno zùfolo rosso da un soldo. E Isa, adducendo il delicato strumento a Fanny, seguitava:

«¡O caro il nostro don Peppo! ¡que vous êtes ponctuel!... Attacca pure, Francesco... Su, monti don Peppo,» (e la bambina accomodava lo zufolotto a fianco della fantoccia, in una scàtola già di canditi) «la mi segga quì presso, monsieur; tout près...¡ Vite! dal mercante... E tip-top e tip-top e tip-top...

«Bonjour, mercante» «¿In che posso servirla, signora contessa?» (facèa da mercante un soffietto) «J'ai besoin di cinque e cinquanta milioni di miglia di velluto d'oro e d'argento con la coda.» «Ecco, signora contessa.» «¿Quanto costa, mercante?» «Nove franchi, signora contessa.» «Lei, mercante, è un gran ladro.» «Non posso fare di meno, signora contessa.» «Basteranno allora dix francs. M'impresti il suo porte-monnaie, don Peppo.» «Oh non s'incòmodi, signora contessa.» «Adieu, mercante.» «Servo suo, signora contessa...» E tip-top e tip-top e tip-top...

«Eppòi, ¿sai? o Fanny, ti metteremo all'ingiro un collier di brillanti, azzeruole e bottoni, con un bel dòndolo in mezzo, e dentro il portrait di don Peppo.

«En attendant, siedi alla pettiniera. ¡Ici, Lulla e Amorina!» (e Isa, da un mucchio di bambolucce, elèssene due e poi altre) «Allumez les bougies... Tu, Tesoretta, a pigliare il peignoir. Tu, Carmelita, inclina la glace e dammi un miroir. Monsieur Violet, la mi faccia una coiffure à la chienne-adorable con su una bella corona di marrons glacés e di carta di dolci e una piumona di pollo del Paradiso... ¡Du koheuil et un bâtonnet, Tesoretta! ¡de la veloutine, Carmelita! ¡une houppe, Lulla!... ¡Bestia di un'Amorina! ¿non senti che mi tiri i capelli?

«Ah! c'est fini. ¡Les gants! Mes gants a sei bottoni. Inclina un po' ancora la glace, Carmelita. ¡Que je suis bien! que je suis ravissante!... Tu, stài distante, pappà; toujours si malpropre, toi

Ma riecco don Peppo (e la bambina riprendeva lo zùfolo) «Come mi trova, don Peppo?» «Un bombonino, contessa.» «Mi dia il braccio, don Peppo.» «A' suòi comandi, contessa.» «¡Allons donc, de la musique!...» «¿ Voulez-vous danser une valse avec moi, comtesse? » «Très-volentiers, chevalier.» (e Isa accoppiava lo zufolotto a Fanny). «¿Aimez-vous la valse, comtesse?» «À la folie, chevalier; ¿et vous?» «Oh, j'aime les perdrix aux truffes, comtesse.» «¡Les perdrix à don Peppo! ¡vite! ¡le champagne et le pâté à don Peppo!» «¡Que vous êtes spirituelle, comtesse!» «¡Que vous êtes bien frisê, chevalier

Ma, a questo punto, si udì lo sbadiglio di un uscio, e apparve un metro di donna, vestita di nero, dal naso che respirava sussiego, cioè apparve la signora Modesta, la guardarobiera, una di quelle donnette dall'affacendatìssimo ozio, indispensàbili a che una casa cammini come Dio vuole. E la signora Modesta, annunziava: «Donna Isa, la maestra ti aspetta

«Io no...» fe' la bimba.

«¿Hai capito

«Io no...» ripetè Isa con sgarbo.

«¡Guarda che vado a chiamare pappà

«Vai pure. È festa. Pappà non permette che si studii alla festa

«Oggi, non è festa punto, donna Papagallinaesclamò stizzita la guardarobiera «¡Badi che la contessa!...»

Isa sospirò con dispetto. «Vengo,» disse «Ma lasciami prima coucher la Fanny. Maman vuole l'òrdine

E lentamente si diede a raccògliere e a mèttere in pila le sue proprietà.

Quand'ecco, si riapre la porta a una rotonda e sgualdrina figura di bambinaja, che dice: «Contessina, la sarta

Isa, in un balzo, fu in piedi. Attaccossi alla gonna di Lauretta, e via ambedùe. Il balocco di carne correva alla sua majùscola bimba.

Rimase con quelli di stoppa la signora Modesta, che, crollando la cuffia in aria di commiserazione, si sbassava a riunirli, ne faceva un fagotto; poi, alzato il coperchio-sedile della cassa istoriata, vi seppelliva entro ogni cosa. La qual cassapanca (anacronismo antiquario a tutto vantaggio della filosòfica lògica) rappresentava, nel secentista dossale, uno sculto pavone spiegante la pompa delle occhiute sue penne; nel telajo di sotto, l'intarsio maggiolinesco di una gran casa in rovina.


 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License