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Carlo Dossi
La desinenza in A

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  • LA DESINENZA IN A
    • ATTO PRIMO
      • Scena quarta - Amor di sorella.
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Scena quarta - Amor di sorella.

 

Senonché, in quella sala, tra tante facce che èran sol bocche, nasi, occhi, e non mai espressioni, ne scoprìi una, infine, spirante intelligenza e bontà. Ed era l'ovale e brunetta di una fanciulla, modestamente seduta a fianco di un veneràbile vecchîo; di quelle, in cui perdi tutto stesso e l'animo ti si aqueta; incontrando le quali, l'uomo gentile, che cerca, non tanto una fèmmina a sé quanto una mamma al suo bimbo, balza di gioja, ed esclama «¡eccola!» possìbil l'inganno. Era, la faccia di lei, di quelli ampi registri scritti a majùscole e sempre aperti a chiunque, ché nulla hanno a celare; tu le scendevi per la castagnina pupilla, da una sola ombra velata, l'ombra delle lunghe sue ciglia, fin nel pensier del pensiero. La esterna armoniosìssima linea non poteva èsser che l'eco di una interna armonìa.

Dove gli occhi van volentieri, anche il cuore , il piede tarda a seguirli. Ben presto, seppi il nome di lei — Colomba — di cui nessuno più degno; e dal cognome Giojelli mi sentìi con letizia in non sconosciuto paese; ben presto, ebbi inventata una scusa per presentarmi al vecchio pappà, generale in rîtiro, assordato dal rumor delle pugne e mezzo cieco dal fumo, e potèi assidermi presso la giovinetta, assài presso... …ma, oh quanto ancora lontano!

E, già s'intende, il capo della conversazione si presentava da sé, quel capo, che, al pari del comincino della calzetta, serve a inviare il discorso; poi, come quello, inoltrata la maglia, si lascia.

«Salvo erroredissi, «lei signorina ha una sorella, maritata in Azzurri...»

«Sì,» ella fece di malagrazia, con una voce roca, sì inaspettatamente roca, che io dovetti sostare un istante, cercando di cancellare la cruda impressione del suono nella inalterata soavità del suo aspetto.

E risposi:

«L'ho conosciuta ai bagni di Lucca, st'altr'anno. ¡Una assài bella donnina

«¿Bellainterruppe Colomba, facendo la bocca bieca «¿ se è bellezza quella, che mai sarà la bruttezza? Due occhi, che non si fidan l'uno dell'altro, un bocchino carino, che susurra un segreto alle orecchie, un peperone di naso che lo si scorge mezz'ora innanzi le guance. ¡Bellezza greca insomma! ¡bellezza romana!» e sogghignò amaramente.

«Forse,» insinuài con dolcezza, «io l'ho veduta con gli occhi di un uomo... se pure non me l'ha tanto abbellita il suo spìrito...»

«¡O pigliasclamò la fanciulla, chiudendo con una mano il ventaglio e battèndone dispettosa le stecche sulla palma dell'altra. «¡Mia sorella, spìrito! ¡Anche questa mi toccava di udire! ¿Ma e dove avete il buon senso voi uòmini?... ¿Spìrito, dice lei? Non c'è da scaldarne un caffè. Stefania è un vero porta-chignon di cartone. Fu sempre il rossore della famiglia;... sempre zero alle scuole, sempre panco dell'àsino. Quand'apriva la bocca, ¡qual fuoco artificiale di stupidità! Ah, ah! a contare le sue citrullerìe s'arrischierebbe una indigestione di risa...»

Ma il rìdere di Colomba non passava la pelle; parèa piuttosto un lamento. Ed io, volgèndole lentamente un'occhiata per accertarmi se il medaglione che le posava sul seno, dicesse ancora e davvero, come con gusto ci avèa letto in principio, la non umana parola di Chàritas;

«¡Sarà!» sospirài. «Fàcile è l'ingannarsi; io mi pento di èssermi in bene ingannato,» e stetti un istante in silenzio. «Ma la bontàripresi, «tutto compensa, e la signora Stefania è sì buona...»

«E trèfe' Colomba, riaprendo con sgarbo il ventaglio, «riguardo alla bontà, le permetto anche di crèdere, che mia sorella è un àngelo per la bellezza, e per l'ingegno un diàvolo. Ella però non stìa troppo a fidarsi di cotesta bontà; le lasci, come si dice, la dritta. Se non fosse l'amore che ancora mi lega a colèi, se non fosse il decoro della famiglia, e quel precetto di carità che tanto o quanto s'ha a rispettare, potrèi spiattellarle certe cosette... certe cosette da far ispègnere i lumi da sé. La mamma, intanto, è crepata per lei, marcia; il pappà s'è mezzo intontito. ¡Oh non tema! non ode; è sordo come uno scoglio. E se non c'era io, avrebbe viaggiato dov'è la pòvera mamma, anche lui. ¡Fortuna che quel veleno s'è ito!... dovrèi dire cacciato, ma... ¡bocca taci! badi a chi mormorando ch'io parlo per gelosìa... ¿Gelosa io? ¡Scempi! ¡Porta a , se, come si conta (tutte bugìe, del resto) la mi abbia fatta una cavalletta, sposando in mia vece quello smortone di un Dario! Io, già, il Dario Azzurri, il figlio di un lustrascarpe, non l'avrèi neanche voluto per tutto l'oro del mondo... no... no...» e Colomba facèvasi vento stizzosamente. «¡Moneta falsa di un Dario! ¡felice chi se ne può liberare!... Del rimanenteaggiunse, mentr'io sbassavo la testa, oppresso da tanta ira di Dio, «¡peggio loro che noi! ¡! fàcciano pure una vita di sfoggio, i nostri cari sposini, birbonèggino pure alla grande, spèndano, spàndano! Tutta allegrìa di pane fresco, illuminello da merli. Sotto c'è il fallimento: verrà il del giudizio, e allora, una volta spiantati, via il fumo, torneranno da noi, gli orgogliosi, caveranno il cappello, piegheranno il ginocchio... Ma noi, ¡nichts! piuttosto la morte. Babbo ha giurato di non li ricèvere più. E anch'io Babbo, già lo bene — o loro o

Dicendo le quali parole, la voce della fanciulla avea raggiunto una insopportàbile asprezza. Alzài il capo. ¿Dove mai quella faccia dalla soave malinconìa, che avrebbe potuto inspirare a Cremona la sua più innamorata fanciulla? ¿dove mai quel sorriso, al cui sfavillare sarèbber spuntate, fin nell'inverno di un cuore, ancor rose? L'odio l'avèa totalmente mutata. Tutto il didentro di lei s'era soffuso al difuori. Cadute le càndide piume della colomba, battèa le funeree sue ali una strige.


 




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