«Mon amour,» disse Isa, la nuova sposina (quell'Isa dal sempre
piovoso e mortificato visuccio) entrando di pressa in un elegantìssimo àbito di
mattina nel gabinetto della non maritata Eugenia, «due soli minuti pour
t'embrasser...»
«¡Gioja mia!» esclamò la cicciosa Ottonieri, accorrendo
all'amica (e quì baci e ribaci); ma tosto sbassossi a raccôrre una bianca
gattona di Angora, che le era balzata di grembo e già minacciava con lo zampino
lo scapigliato musetto di Zòe, la pincettina dell'Isa. «¡Guarda caso! — venivo
giusto da tè.»
«Avresti perduta la strada,» fece la Millerose di Garza. «In
questi giorni, non sono più mia. ¡Tanti affari, tanti fastidi, ti dico! Non mi
si lascia un momento tranquilla. ‹Marchesina di quà... marchesina di là...›
debbo vènder mouchoirs e cache-nez per i bimbi lattanti,
debbo distribuire les prix alle operaje che lavòran di più, debbo raccòglier le
offerte per un monumento a don Alessandro Manzoni, l'autore, sai, dei Fiancés;
debbo... auf!... inaugurare con mio cognato il Prefetto la nuova sala da
ballo... ¡Insomma, una persecuzione! Pare, che, senza di mè, non si possa
conclùdere nulla, quasi ch'io fossi diventata un personaggio de conséquence, un
altro Bismarck... On dit, che dove non sono, c'è bujo, che l'Olimpo è in
isciòpero, perché una festa comincia e finisce in mè sola; che io poi giovo
all'umanità assài meglio di una sœur de charitè, perché incoraggio il
commercio... etcætera etcætera, tutte fadaises, tutti frasoni à sensation, di
que' blagueurs di gazzettieri. E spèrano forse scroccarmi un pranzo o un
sorriso. ¡Nenni! La loro M. di G., come mi chiàmano, non se ne accorge neppure.
¿Hai tu letto, Eugeniuccia, i giornali, dove si parla del ballo di Corte?»
«Davvero, no,» rispose l'amica, con l'aria la più ingenua del
mondo. «Sono inezie che sfùggono. Mi si disse però, che fu 'na festa assài
fredda. Non c'erano, mi si disse, che dei rametti vestiti,» e la Ottonieri non
potè a meno di sogguardarsi con compiacenza il doviziosìssimo seno. «Ma tu
perdona,» aggiunse, «Isa mia, se non t'ho fatto ancora le scuse di questa mia
toilette, un po' troppo, diremo, di confidenza...»
«¿Ma perché, ma toute bonne? Sei irréprochable. Chi veste a
seconda del proprio stato, veste sempre per bene. Oh potessi, al pari di te, me
passer di questo incòmodo lusso! Darèi volentieri la mia doppia corona. Quel
mestiere di stella, credi, a lungo andare, annoja; quel dover èsser di tutti,
fuorché di noi sole, stanca. Tanto più, che tu conosci i mièi gusti. Io naqui
col quietismo nel sangue; non sono niente ambiziosa io; a patto di non mèttere
piede in cucina, nè di fare rimendi, nè di notare la biancherìa sale o la
spesa, non penserèi, stesse a mè, che al ménage. Eppure, che vuòi!
ici-bas qualcuna dee sagrificarsi alla felicità pùbblica.
Da mè lo implòrano tutti e il mio Ugo lo esige. Una volta che questo benedetto marito
si ha, bisogna pure obedirlo in qualcosa, almeno nel compiacere agli altri. Ma
intanto, oh che noje! Una che non appartiene alla gran società, non può
imaginarsi quanta fatica costi a tener dietro alla moda, oggidì in cui il
figurino di Francia, cangia, dirèi, di mezz'ora in mezz'ora. Par exemple, cara,
tu sai che la decorazione di una toilette, i fiori cioè, les dentelles, les
nœuds, les rubans, jeri soltanto stava principalmente alla dritta... Bene, oggi
ricevo dalla mia buona amica, la Bruscambille di Parigi, che è una delle
lionnes di colà, un dispaccio, col quale mi avverte qu'il faut sans délai
placer tout à gauche, pena il passare per una cocotte. ¡Imàgina il mio
spavento! C'est pourquoi, in fretta e in furia vo adesso dalla Honorine a fare
découdre e recoudre il vestito per questa sera, e Dio sà quanto avrò da patire,
prima di crèdermi in salvo. Ah, tè felice, Eugeniuccia, che sei affatto au
dehors di sìmili seccature, che sei ancora senza marito, e sans la corvée,» e
Isa trasse un sospiro «del divertimento forzato.»
«Oh! per mè,» disse Eugenia col tòssico nella pupilla e nella
voce il miele, «non ci tengo davvero. Non sono di quelle, io, obbligate a
giulebbarsi al primo che passa per non andare a male. Ho aspettato, aspetterò,
ma non tradisco il mio cuore. E, quanto alle feste, te le regalo. Anche la
mamma desidererebbe che ne frequentassi. ‹Tante› dice lei ‹che non pòssono,
fanno; tu invece, che puòi...› Ma io m'ho voluto sempre pigliare i mièi còmodi,
lasciando dire gli sciocchi. Oh sì! vale proprio la pena di sopportare il
martirio per uscirne più brutte di quello che siamo, mettèndoci a forza di
àrgani in vista per farci rìdere dietro... senza contare le rabbie, i malanni,
i dèbiti, i carrozzini...»
«¡Core!» interruppe pressosa la marchesina. «Duolmi di non
poter stare quì molto a goderti, ma la modista...»
«A propòsito di modista,» l'altra riprese aggiustando
all'amica il cappio della sciarpetta, «¿tu hai parlato, mi pare, dell'Honorine?
Guàrdatene, Isa: è una linguaccia colèi... Và dicendo di tè certe cose...»
«¿Di mè? ¿e che cose?»
«Dice... ¡Perdona! tacerèi se non fossi tanto tua amica.»
«Anzi. ¿E che dice?»
«Dice... ¿Indovina?... che il tuo denaro sà d'aria.»
«¡Insolente!»
«Scusa, sai.»
«Pas de quoi. Non mi formalizzo a sìmili frascherìe. Ci sono
abituata. La Honorine si sarà certo piccata perché nel penùltimo conto le ho
fatto una pìccola tassa del cinquanta per cento ¿À qui la faute se la Honorine
è una ladra?»
«Dico anch'io.»
«Ma, ces fournisseurs, vedi, agìscono tutti ad una maniera.
Non hanno educazione. Vorrèbbero quasi èsser pagati prima di averci serviti,
senza sapere che payer tout de suite non è della gente di qualità; c'est
mauvais genre. Merci bien, Eugeniuccia, grand'merci. La confidenza, tra amiche,
è una indispensàbil virtù,» e intanto Isa con lo spunterba del borzacchino
puniva la sua pincetta che brontolava fisa a Minì, la gattona in braccio
dell'Ottonieri. «Anzi, cara, tu mi sovvieni di quanto Péronette, ma femme de
chambre, m'ha contato, jer l'altro, del vostro boucher, il quale và ridicendo,»
e quì colla punta delle dita guantate, Isa accarezzava la gota d'Eugenia
«¡pensa! che vi ha rifiutato la roba...»
«¿A noi? ¡bugiardaccio! Fosse in casa, la mamma, ti
mostrerebbe i libretti.»
La marchesina fe' una smorfiuccia di schifo.
«Di' invece,» soggiunse Eugenia, «che chi la rifiuta la roba,
siam noi, quando, come spesso succede, è di scarto...»
«¡Scusa, ve'!»
«¿Ma e di che, gioja? ¡Ti ringrazio anzi! ¡Tra amiche!... E io
t'assicuro, che il manzo, ier l'altro, era proprio cattivo. Ne è testimonio
Azzolino.»
«¿Azzolino?» disse Isa con un lieve sussulto «¿Quale
Azzolino?»
«¿Vuòi una chicca?» domandò blanda l'amica, disaccocciando una
manata di dolci ed offrèndogliela.
«Merci,» fece la Millerose, eleggèndone una, «¿E questo
Azzolino?»
«Non c'è altro Azzolino, mi sembra, che l'amico Parisi.
¡Diàmine! te ne dovresti un po' ricordare. Quell'ufficiale, sai, di cavallerìa,
spalluto e rossiccio, che quando s'era in pollajo da madama Cornalba,
galanteggiava con tè, e ti spediva attraverso il graticcio le letterine, i
bomboni, i libri proibiti... e tu allora giuravi che lo avresti sposato...»
«¿Sposato io? ¿sei matta? ¿un Parisi tout pur senza un
quattrino?... ¿Ma e non s'è ucciso poi Azzolino?» aggiunse in un tuono di
semi-rincrescimento. «Me l'avèa pur scritto e promesso!»
«Eh non pare, Isa mia. Si direbbe anzi ingrassato.»
«Non lo vedevo più,» labbreggiò la sposina con certo quale
dispetto.
«¡Sfido! mia gioja. O è a cavallo o è da noi. A sentirlo, egli
verrebbe da mamma per giocare alla dama, ma nessuno ci crede. Figùrati, se un
officiale di cavallerìa potrebbe durarla, giocando con una vecchia, per intere
serate, e con a posta un onore che non si può mèttere in pila. ¿Ma vuòi sapere
il busìllis? ¡Zitto, ve'! Azzolino è innamorato pazzo di mè. ¿Vedi que' fiori?
Son suòi. ¿Vedi quel cestellino d'argento? è suo. Anche la chicca che màstichi
è delle sue...»
Isa compresse il fazzoletto alla bocca e nel fazzoletto passò
il zuccherino.
«¿Non ti piace forse?» chièsele Eugenia, vellutando la voce.
«Non amo troppo... la menta,» ribattè imbizzita la Millerose.
«E... e... » riprese con uno sforzo «¿non ti ha mai parlato di mè l'Azzolino?»
«No,» fece candidissimamente la pastosona Ottonieri,
«proprio... ¡come se neanche esistessi!»
Isa si morse le labbra, pàllida, e diede uno strappo alla
cordella di Zòe.
«Pardonne-moi,» disse, «se non mi posso
più trattenere. La modista mi attende. Volevo stare da tè due minuti. ¡Vèdi! ci
sono rimasta mezz'ora... ¡effetti dell'amicizia!»
E lì «mon trésor! — ¡gioja mia!» le nostre due donne si
baciottàrono con espansione, mentre Zòe ringhiava e soffiava Minì, molto di
loro più oneste.
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