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Carlo Dossi
La desinenza in A

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  • LA DESINENZA IN A
    • ATTO PRIMO
      • Scena sesta - Amore di figlia.
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Scena sesta - Amore di figlia.

 

¡Morto! ¡di quali idee, di quài sentimenti (sottintesi pensieri) è mai grave questo sèmplice annunzio, sì antico e pur sempre sì nuovo, di una coscienza che si smoccolò, di un io passato alla terza persona! Per quanto provvisti di filosòfiche sottigliezzediciamo meglio, astuzie — per quanto persuasi della «circolazione eterna della materia», e della «immutabilità universa» e papagallanti, che «nulla saprebbe morire» e per converso, che «tutto è una morte» con l'assài zoppa consolazione, che «se tanto più l'uomo è felice quanto men pensa, felicìssimo sarà nel sepolcro», basta il toccheggio di una ignota agonìa che scenda la cappa del nostro vampeggiante camino, in quell'ora del dopopranzo in cui il digestivo calore èvoca l'umanitario, a inondarci di malinconìa mentre la vista di un funereo convoglio che lungo-nereggi per le vie lasciando dietro di sé una tal quale solennità, ci rallenta l'allegra andatura e ci attira la mano al cappello, inconsapèvole omaggio a quella comun parentela, troppo fra i vivi obliata.

E, tuttavia, non conosce la morte chi non la scorse in una faccia adorata. ¡O Amelia! ¡mia Amelia! èccoti su quel letto che ti doveva èssere vita, indifferente in mezzo a un nembo di fiori, fiori che a uno a uno ti avrèbber destato altrettanti sorrisi; , in quella bianchìssima veste, cucita per le tue nozze, ma tu più bianca di lei, i grandi occhi dischiusi, e pur non scorgenti l'amato, semiaperte le labbra, e pur non chiedenti altre labbra, le mani inerti, gelate agli scottanti mièi baci. Benché presentita da una diuturna attesa, benché la morte di un amatìssimo nostro sia perfino desiderata, per tôrre lui al dolore e abbandonàrvici noi, ella sempre ne è fùlmine. Finché la paurosa parola cova in pensiero, inturgidìscono tacitamente nelle glàndule loro le làgrime, sol rattenute da una agugliata di speme. Ma la parola scoccò; rotto è il punto, e lo scoppiar delle làgrime ci confonde la vista. Dell'estinto par che ogni vizio si abbùi; non splèndono che le virtù. È allora, che gli insensìbili oggetti fra i quali ei viveva aquìstano una vita fittizia, quasiché parte di lui fosse tra loro indugiata, e presentàndoci in mille maniere quella medèsima idèa, e sì tenendo discosta la smussatrice abitùdine, protràggonci, ìrritano, ci rinnòvan la piaga. Ed ecco insieme iniziarsi un processo contro di noi, giùdici noi. ¿Come operammo con lui che cessò? Al rimorso che accusa, ogni spillo è pugnale, ogni errore colpa. ¡O tu, che fai piànger chi ti ama, oh rammenta che lo potresti poi piàngere!

¡Morto!... — tale l'annuncio, quel , a chi entrava in casa Giojelli. Del conto del generale l'ùltima somma era fatta; ed or si poteva, ora solo, giudicar della cifra. Ma la bontà stessa del risultato non ad altro serviva che a rènder più cupo il lutto alla derelitta figliuola. ¡Eccellente creatura! l'avèan dovuta a forza staccare dal babbo, cui ella, singultando, gridava di voler seppellire il suo duolo nella tomba di lui. E inutilmente la cameriera, asciugàndosi dalle ciglia, con un cantuccio del fazzoletto, la pòlvere, cercava incuorarla, dicendo, che «tanto tanto la malattìa del pòvero signor padrone era inguarìbile» mentre il cuoco, passàndosi un dito, anche lui, in sugli occhi lacrimosi pel vino, osservava, che «già troppe volte il signor generale era andato a cercare la Vecchia, senza trovarla mai in casa, perché non avesse costèi a restituirgli la vìsita,» e inutilmente il mèdico e il prete, que' due lugubri figuri, che, vivendo di morte, han di cordoglio il solo vestito, avèvano messo fuori la lor più riposta mercanzietta confortatoria, la loro «in reverendi panni stultizia», e l'uno, il turba coscienze (fiutando un dolore di prima classe) parlava con fegatoso sembiante della celeste felicità, e l'altro il guasta-corpi (che già computava nel cento anche la consolazione) svaligiava, a prò dell'erede, il sòlito Sèneca di tutti quelli ingegnosi bisticci che si gùstano tanto, quando non se ne ha di bisogno... Ahimè! pei conforti, la terra è troppo vicina e troppo lontano il cielo. Il Molto Reverendo e il Magnìfico avrèbbero meglio esitato le lor mufferìe sulla càttedra e il pùlpito. In siffatti dolori non c'è che un sollievo, il dolore. Ad ogni frasuccia elegante rispondeva uno strillo, ad ogni religiosa promessa uno scoppio di pianto, finché la fanciulla — dallo spàsimo vintasvenne, cadendo in una bene imbottita poltrona.

¡Oh quanto allora mai bella in quell'abbandono, che il caso faceva sì artìstico, sparse le nerìssime chiome, ceree le guance, le palpebre velate, ammaccate dalle lunghe vigilie! Della bellezza è come della virtù; nella fortuna, piace; nella sventura, innamora.

Ma, infine, mercè i sali del mèdico, e le palmatine (carità pelosetta) del prete, o piuttosto, essendo trascorso il tempo indicato a un deliquio, la fanciulla ritorna in sé stessa. Tòrnano insieme le addolorate pezzuole agli occhi dei servi; tòrnano e mèdico e prete a ravviare i loro consolatori motivi, fra cui la cameriera insinua il suo proprio, consigliando la padroncina a succiarsi una coscia di pollo e a bere un dito di vino; dalle dalle, tutti, ad una, ne dìcono tante che la fanciulla si persuade ad alzarsi e a ritirarsi nella sua càmera. Il che ella , sostando a ogni passo, sospirando sospiri che parèan vedersi, ponendo infine la mano sulla spagnoletta dell'uscio, tragicamente.

Ed ecco la nostra Colomba, nella càmera sua — sola. Ella stessa, incontrando lo specchio, dovette stupire all'affanno che trasparìvale in viso. Ma or puòi sfogarlo senza ritegno, o Colomba, senza incòmodi testimoni, che ad occhi asciutti ti misùrin le làgrime. Ella siede a scrittojo, elegge un fogliuzzo dalla nera orlatura, intinge nel calamajo la penna; quindi, in un bel caràttere inglese:

 

«Mio diletto biondone;

auf! finalmente...»

 

Trema la mano di lei — per la gioja.

Febo intanto, il bracco del generale, stava accucciato alla soglia dell'estinto padrone, molli le orecchie, melancònico il muso tra le zampacce. E, presso il muso, una scodella di zuppa, intatta.


 




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