(Dialoghetto tra la
signora Bettina Ottonieri e sua figlia Eugenia)
Signora Bettina: Credi a chi la sà più lunga di tè. Fanciulla
inzitellonita è come una rosa di jeri, è come un romanzo della stagione
passata. ¡Guài cominciare a far crusca! non c'è più verso di riuscire a farina.
Le ragazze che fìngono la inappetitosa ad ogni marito di carne dèvono poi
consolarsi con quello di terra cotta. ¡Guarda un po' le tue amiche! Isa di
Garza è moglie ad un Millerose, nòbile, ricco, benfatto, e per soprapiù, àsino.
Bella Adriani, la figlia dell'usurajo, quantunque noce con il guscio già rotto,
scarrozza per la città il coronato tarocco del marchese Bamberga. Jole Canàris,
è vero, ha invece sposato un puro mercante, l'Araldi, ma è un mercante che è
già fallito felicemente una volta, e lascia ch'egli fallisca un paio d'altre,
che Jole sarà milionaria. Elda, infine, la quale, con nostra sorpresa, avèa
commesso la inescusàbile leggerezza di un matrimonio senza le cifre, come le se
ne offerse un secondo a dovere, accorgèndosi tosto che al primo era mancata
qualcosa, forse la sabbia, stancò leggi e avvocati, squattrinò una sùpplica al
Papa, che con un giro di chiave le riaperse la muda, ed ora Elda è Sua
Eccellenza la duchessa di Stabia. Noi, intanto, passeggiamo ancora sù e giù pel
Corso e i giardini a coltivarci un partito e ci frustiamo inutilmente le
occhiate, i sorrisi e le suola. Non già ch'io intenda cuccarti al primo venuto,
che tanto o quanto assomigli a uno sposo. Pozzi non màncano mai. Quando,
peraltro, ne càpita uno quale il barone Caprara, il che viene a dire,
trecentomila di rèddito, ¡altro che contentarsi! c'è da attaccare un cuor d'oro
e ventiquattro candele alla beata Vèrgine del Cavicchio...
Eugenia: ma Azzolino...
Signora Bettina: ¡Azzolino!... ¡Azzolino! Comincia a pigliare
marito. Verrà poi, l'Azzolino.
Eugenia: ¡eppure, tu gli davi speranze!
Signora Bettina: roba di tutti gli davo, roba che nulla costa
e val molto. Il tenente Parisi andava benone, almeno come un richiamo, fintanto
che non ci pioveva chi andasse assài meglio. ¡Benedette ragazze, che avete la
malinconìa di fare all'amore prima del matrimonio! so anch'io che la poesìa è
un'assài bella invenzione, màssime se prepuntata di polpe, e di poesìa io ne
leggo dalla mattina alla sera, ma, figliola, la vita, che è poi la cucina, è
tutt'altra facenda. Non fà brodo poesìa. Azzolino, ti accordo, piacciotta anche
a mè. Finché non si parla di vesti, è un magnìfico giòvane; pure, le vesti,
¿che vuòi? in società fanno l'uomo, e noi, grazie a Dio, abbiamo or tale trovato,
che, quanto a vesti, insacca centomila Azzolini; tale che può mandarci in un
equipaggio da rè, e ci può far baronesse, e ci può mèttere intorno toelette da
chiazzar d'itterizia tutte le nostre carìssime, compreso
quell'aloè-in-carta-da-chicche di un'Isa. Non sarà un bel
matrimonio — ti accordo anche questo — ma è un gran bel patrimonio. Rifletti a
ciò e abbandona le stiticherìe e i ripicchi. Vero è, che gli sgarbi sono
l'ùnico modo d'innamorarsi certuni, i quali, come le palle di gomma, tanto più
vèngono a noi quanto più li ributti; ma quì il caso è diverso. Il cuore del
nostro barone è già entrato in quiescenza, è già pensionato: esso teme gli
squassi, esso cerca l'amore per agio, non per passione, lo cerca, non come una
sella, ma come una sedia. In una parola, è un ventre, il barone, che per
l'amore non cambierebbe l'ora del pranzo.
Eugenia: e che dovrèi fare, mamma?
Signora Bettina: règola generale per guadagnarsi le altrùi
simpatìe è di non contradire mai, è di sempre adulare, principalmente, quando
s'ha a darla da bere a gente dell'età del barone, in cui il giudizio è fatto di
pregiudizio. Ora tu sai che il barone, a dispetto della sua aurea salute, è in
busca d'una donna di casa, o, come lui dice, di una moglie da cucina e da sala.
Dunque, tutt'altra tàttica che con l'Azzolino. Tieni il cèmbalo chiuso e il
cucitojo aperto; cessa di smerlettare buchi ne' fazzoletti e invece mèndane;
nascondi «les mignons de l'Eglise», «les confidences d'un sofa», «l'endroit des
dames» e sìmili scàndali in rima ed in prosa, ed abbi invece tra mani «l'amico
della buona massaja» e «la cucina per gli stòmaci dèboli.» Di fare bene il
caffè non si discorre neanche. Magari scopa, fa-giù i
ragnateli e apparecchia le làmpade. Con un po' di sentore di smoccolatura,
odorerài più soave al tuo sposo, che non con tutta Santa Marìa Novella indosso.
E poi, fagli vedere i tuòi conticini, confìdagli le tue economiette (ché le
confidenze sono tanti piuoli nella scala di amore) lamentàndoti insieme della
carezza del manzo, chiedendo se il mercato del riso e del burro è in rialzo o
in ribasso, se la legna...
Eugenia (col broncio): ma io non ci durerèi...
Signora Bettina: ¡auf! ¡che innocenza! Non si tratta della eternità,
non si tratta, ma di un pajo di mesi. ¿Qual'è quel diàvolo che per due o trè
mesi non la può fare da santo? Presenta prima la zampa guantata; metterài poi
fuori le unghie. Senonché, figliola, non basta parer donna di casa; è pur
necessario mostrarsi donna di stanza. Mi spiego. Bisogna, mia cara, pèrdere
l'àmido, e anticipare qualche moina al tuo uomo. Non dico di buttàrglisi al
collo e di tempestarlo di baci. Oibò. Questo ci scoprirebbe troppo. È di quelle
amorevolezze indirette che parlo, di quelle tàcite dichiarazioni, le quali,
tôcche dal lievito della fantasìa, lusìngano meglio delle altre la vanitosa
coscienza di un innamorato e lo compromèttono irremissibilmente, senza
compromèttere noi di un sol pelo. Per esempio, dico, quando odi la scampanellata
del nostro gogò, corri tu stessa ad aprirgli, e diventa, se puòi, rossa.
¿Entra? infòrmati minutamente della sua preziosa salute, mentre la tua manina
indugia tremando nel manone di lui, e se fà per sedere presso di tè sul divano,
tu, con premura, sprimàcciagli sotto un cuscino. ¿Mò perché ridi, bimba? È un
incòmodo al pari d'ogni altro; ¡tutta salute, in fondo! E s'egli si ferma a
desinare da noi, oh allora! partisci seco il tuo pane (mi raccomando di
preparàrtelo molle) e bevi nel bicchier suo, amàbile errore, o dividi con lui
un'ala di quaglia, o sulla punta del coltellino gli offri la metà d'una pera,
fisàndolo intanto con quel languidìssimo occhio che sai, e sprigionando un di
quei tali sospirucci marioli...
Eugenia (con ingenuità): oh mamma! non posso fìngere, io.
Signora Bettina: allora vàttene da questo mondo. Tra gli
uòmini inciviliti il più pericoloso dei vizi è la sincerità. Ma, in ogni modo,
per le bugìe, t'ajuterà la tua mamma. Io susurrerò al barone del tuo
stranissimo mutamento, da ch'ei ci viene per casa, e come ti si sorprenda,
sola, con le làgrime agli occhi e il greppo alle labbra — tu già sì burbona, tu
sì compagnona — o peggio, con la bottiglia del rumme, e come perciò tu dimagri
di giorno in giorno, a libbra a libbra, a non guardare l'illusione del viso,
perocché è tutto soppanni, esponèndogli poscia il mio dubbio, che un segreto
d'amore ti strugga lentissimamente. E lui, il furbone, scorgendo che a tàvola o
non mangi che aria o pura insalata...
Eugenia: ¿e se ho fame, mamma?
Signora Bettina: mangia prima, che non ne avrài più. ¡Fìdati!
feci io pure altrettanto col mio pòvero Cecco ¡buon'ànima! ed io, pensa,
inghiottiva perfino cènere e sabbia, per procurarmi i colori pàllidi e sembrare
in amore. ¡Bada ancora! il discorso può cadere sui giòvani. Tu, pàrlane sempre
con un certo qual sprezzo, chiamàndoli scolarucci, fanciulli, mezze
bottiglie...; ¡so io!... osservando che le frutta acerbe allègano i denti, che
la legna ancor verde fà magro fuoco, che, conosciuto il vin stagionato, non gùstasi
più il torbidino, e s'egli sospira «ah! ¡noi siamo vecchi!» (sòlita frase di
chi desìdera di udire l'opposta) tu, con uno sguardo di meraviglia «¿vecchio
lei? oh quante sarèbber felici di...» e lì ti azzitta arrossendo. Vedrài,
allora, come sorriderà soddisfatto il minchione. Sono astuzie coteste, che non
ingoffìscono mai. ... Così, giacché hai la fortuna di possedere un bel micio,
tòglitelo spesso in braccio, bàcialo smaniosamente, sempre con la pupilla al
barone, il quale non potrà non riflèttere «se tant'è con un gatto, ¿che sarà
con un...?» — oppure, venuto il dessert, prendi un biscotto e vola a
sfregucciarlo al tuo merlo, dico il merlo piccino... E il grosso allora tra sé
«se tale con quella bestiola... ¡chissà!...» e per le gengive gli correrà l'aquolina.
E quand'anche, imbaldanzito dal vino, lui ti pregasse di un bacio... Non già
che tu gliene dia la prima, ¡Dio tolga! ciò non fà mai una bimba bene
ammaestrata... se, dico, ti pregasse di un bacio, ch'egli battezzerà per
paterno — ¡niente paura, figliuola! — non resta segno dei baci — làsciatelo
dare.
Eugenia (aggricciando): ¡ma è vecchio, ma è brutto, ma puzza!
Signora Bettina (con impazienza): non tanto, non tanto. ¿Cosa
c'è a dire? ¿che ne sai tu? Io, gli uòmini, li conosco un pochin meglio di tè.
Il barone Caprara, come marito, và a meraviglia. Porta che l'è un piacere i
suòi sessant'anni. Vèdilo attorno, raffazzonato, col suo sopràbito lungo e le
mani in saccoccia, col suo cilindro calcato, e sotto, un bel parrucchino, col
suo alto fauxcol e gli occhialoni pel sole e duemila lire di denti. Oh così ce
ne fosse! Ripeto, quì non si tratta di cuore, ma di sèmplice mano; resta, il
cuore, tuo sempre, e così l'altra mano. ¿Che più? ¿brami un sicuro rimedio per
scongiurare la nàusea? Sùbito fatto. Quando ti pàjono molti i suòi anni, pensa
a quante più pèrtiche tiene, e s'ei ti dura ancor vecchio, ¡consòlati! ché
anderài presto in seconda. ¿Puzza? un sol fiato della sua unta cucina, e
¡sentirài che fragranza!... ¿Brutto? ¿un po' bue? fèrmati alla doratura:
addossa alle bestie che pasce le sue bestialità; nùmera, mentre sproloquia, i
suòi buòi, i suòi sacchi di grano, le sue botti di vino, e li cambia in tanti
vestiti, in tanti giojelli, da dar scaccomatto alle tue inimicìssime amiche.
Insomma, o figliuola, se vuòi che tua mamma porti per tè il lutto rosa, dà
ascolto a queste quattr'ossa, e làsciati persuadere... di quanto desìderi. Tua
mamma t'insegna la strada maestra; se tu trovi, peraltro, la scorciatoja —
¡lodato sia Gesù! — pìgliala.
La cameriera (di fretta): il barone ascende le scale...
Signora Bettina: presto, Eugenia; ¡via quella lagrimetta! Fà
scintillare lo sguardo. ¡Andiamo! apparecchia un sorriso. E tieni — (mettèndole
in mano uno straccio) — Che il barone ti colga a spolverar la mobiglia. Io mi
ritiro prudentemente.
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