Siamo in una ricca stanza da letto. La freccia dell'orologio
segna... ¡Attendete un istante! attendete, che il barone Caprara, il quale, fin
quì, ha girellato facendo i suòi pìccoli preparativi per la notte, come sarebbe
piantare il portaparrucche, rimboccar le lenzuola, disporre sul comodino con
simetrìa le caramelle di pomo, i senapismi, i fiammìferi, e, sopra i guanciali,
gli scalferotti di lana e la calottina di seta, abbia montato l'orologione del
caminetto dall'avoltojo di bronzo che becca ad un Prometeo d'avorio il fègato e
lo pareggi al suo infallìbil di tasca... Poi, dà un buffetto al pèndolo. Il
cuor della stanza riprende il consueto tic-tac; ràntola la
sonerìa, tira in su il moccio, e l'avoltojo, applaudendo con l'ali, cùcola
ùndici ore.
Fatto questo, il barone, e acceso un Virginia, si affonda in
una poltrona dinanzi al camino, ravvolgèndosi nella sua veste da càmera a fiori
di tulipano, e adagiando gl'impantofolati piedi in una pelle leonina. ¡Guarda
che faccia oscura! Non ci vuol scala a capirlo; è un marito che riassapora
l'amaro della sposalizia treggèa. Infatti, compie l'anno oggisera da che egli
ha commesso la indissolùbile corbellerìa, e pesa, fastidi a parte, venti libbre
di meno. Ùniche gioje del matrimonio, ch'egli conosca, son quelle che gli
vendette, salate, l'orèfice. Ah Caprara, Caprara! ¿che hai fatto? Tu il
corteggiato dalle mammine e dalle ragazze, da cui toglievi talvolta a credenza,
tu il cucco di un àngiolo di bambinaja che mantenèvati grasso come i pollastri
da lei capponati per tè, nè ti lasciava mai starnutire senza augurarti salute
dal profondo del cuore e ti rincalzava le coltri e ti ammirava ogni mattina la
lingua, èccoti or solo, male obedito dai servi, dagli amici scansato, che sono
invisi a tua moglie, cèlibe in un letto matrimoniale. ¿A che ammucchiare così
lunga esperienza, per sciupàrtela poi in sì triste maniera? ¿a che pensarci su
tanto per conclùdere poi con una bùggera tale? Oh ingenuità sopraffina!
¡Crèdersi fuori dalla legge comune, perché s'è scelta una sposa non ricca
(quasiché pòvera di desideri) e pattuire una real controdote alle ideali sue
trè, del pudore, dell'economia, dell'òrdine! ¿Òrdine? ¡sì davvero! Casa Caprara
non era più casa; era un caffè, un bivacco, in cui si dava la posta una
baraonda di gente, amica della signora, ma che egli, il padrone, non conosceva
nemmeno di nome, nè conoscèvalo essa, anzi lo urtava e gli camminava sui calli,
senza pur chièdergli scusa. Chiunque comandava in sua casa, salvoché lui. Tra
tanta gente, ei non poteva accozzarsi neanche la sua partita a tarocchi. Ma,
già, la sposa avea detto «¡aria! ¡aria! ¡io voglio vìver nel nuovo, io!» e
senza attènder risposta, gli avèa tutto cangiato, mòbili e amici. ¡Imaginàtevi
dunque che economìa! Questa sola, la cosa di cui si facesse risparmio. Sempre
giù la tovaglia, sempre il gòmito alzato. I balli tenèvano dietro ai concerti,
ai balli le scampagnate. E, col lusso, naturalmente, sua sorella lussuria.
Perché, di pudore — terza dote promessa — sembrava che Eugenia non ne serbasse
che per il marito. Questi, di parte sua, poteva ben dire di non possedere la
moglie se non sull'atto nuziale. Ei non avèa fatt'altro che aprire l'uscio agli
amanti, se pure. Travedùtala a pena, tra il chiaro e il bujo la prima notte,
conjugal nausea, emicranie, quattro lune ogni mese, gliel'avèano tosto rapita,
còmplice la medicina, tanto che s'egli volèa stare al corrente delle di lei
abbondanze, gli toccava pagar la sua porta al teatro e godèrsela in un
cannocchiale. E, ¡almeno avesse potuto dimenticarla del tutto, ma no! il
registro dei conti non permettèvagli manco cotesta disperatìssima consolazione.
Bene gli amici vecchi, imbattèndosi seco in istrada ed ascoltati i suòi guài
«Nando,» dicèvano, «¡abbi pazienza! è effetto di gioventù. Tua moglie ha
bisogno uno sfogo. Verrà la stanchezza, vedrài, e tornerà a tè, quando meno tel
pensi.» Allora, sperando, egli allungava la briglia, ma e più concedèa e più
Eugenia gli si faceva discosta. Così, è vero, in salone ancor primeggiava il
suo grande ritratto a olio con molta cornice dorata e stemmata, ma era un ben
magro compenso a quell'aquarello di giovinotto rossiccio, in tenuta di ùssero,
che divideva col Cristo e col vaso l'inginocchiatojo di lei, il qual
ritrattino, dicèa essa, dovèa aggiustarle la vista ed inspirarle bei bimbi. E i
mèdici tutti, che pàjon sapere le arcane vie della matrice, le dàvano mille
ragioni, soggiungendo al marito, tanto per consolarlo, che un bimbo non sarebbe
tardato. Oh non temere, Caprara; t'hanno sposato per ciò!
Ai quali pensieri, il barone, facèndosi ancora più tòrbido,
incominciò a masticare stizzosamente lo sìgaro. ¿Ma che avèa mai, quel Parisi,
un fatuaccio di uno, buono soltanto di montare a cavallo e d'ingommarsi i
mostacchi, per far cadere in amore tutte le mogli degli altri? ¿e che cosa mai,
lui Caprara, per tanto inimicarsi la sua?... ¡Sìgaro maledetto! ¡anche tu! (più
non tirava lo sìgaro) e spezzàndolo in due, lo gettò nel camino.
«Oh le donne di un tempo! oh gli antichi ingenui costumi!»
sospirò desioso. Ma quì lo sguardo gli cadde sopra un ritratto allato lo
specchio. Era il ritratto di sua nonna paterna, una dama del regime spagnuolo,
vero caval di parata. Parèa che intorno le crescesse la roba; tanta grazia di
Dio da rivoltare lo stòmaco. E donna Teresa volgèa superbamente al marito, che
in àbito di ciambellano le facèa riscontro, le sue spalle pompose, nè più nè
meno che in vita. Ma lì almanco l'ingiuria, venendo da regi lombi, onorava la
casa, ma almanco donna Teresa avèa coperta la cornea escrescenza del signor
Pietro Taddèo con un cerchio imperlato. E, dai ritratti dei nonni, scese il suo
occhio allo smalto di una baldracca mascherata a vestale. Il barone allibì. Ei
ricordava quanto il padre di lui — fu becco Napoleone — dicèa della consorte,
biliosamente faceto: «il glorioso mio omònimo ha bel chiamarlo un affare da
canapè. Io pago, intanto, le molle.»
E il nostro Caprara sbassò vergognando la fronte. Nella
disgrazia ei non si sentiva, è vero, più solo, ma non è detto che la compagnìa
eccellente renda gradito l'inferno. Il freddo lo guadagnava. ¡Gelare con una
moglie per casa ai 35 Réaumur, è pur duro! Si die' a inanimire a palettate il
fuoco. Era la legna affetta da idropisìa; nicchiava, piangèa. ¡Neanche il fuoco
gli volèa attaccare!
Quand'ecco, lo scattar di una toppa. Rialzò le pupille, e
guardando nella inclinata specchiera, vide spostarsi un drappeggio del
magnìfico arazzo che con la visìbile istoria di Marìa piena e del contento
Giuseppe tappezzava la stanza, e apparire una bianca figura, mezzo slacciata,
di donna — sciolti i capelli, porporine le guance, lucidìssimi gli occhi. Il
cuore di Nando palpitò fortemente: una vampa di caldo, che non irradiava dal
caminetto, lo invase; Nando risuscitava. Pur non osa ancor muòversi, quasi
oppresso da un sogno, e segue nella specchiera, con sempre crescente emozione,
il blando appressarsi d'Eugenia, finché, piegàndosi ella su lui tra il sì e il
no della vaporosa camicia, e in una voce che ha dita mormoràndogli il nome, e
già l'assorbendo nell'anèlito ardente e nel candor delle braccia e nell'onda
del fragrantìssimo seno...
Il pèndolo, in questa, cucolò mezzanotte.
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