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Carlo Dossi
La desinenza in A

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  • LA DESINENZA IN A
    • ATTO PRIMO
      • Scena nona - Gioje del matrimonio. (Seconda portata)
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Scena nona - Gioje del matrimonio. (Seconda portata)

 

¡Mortaretti, sparate! ¡dindonate, campane! ¡, in coro, oche, merli, gabbiani, inneggiate! Il barone Caprara, nella acerba età di sessanta, è babbo, il che talora succede, ma e' se ne tiene, il che non succedespesso. È babbo di una bamberòttola, rossa come uno scojàttolo, sana come un acciarino bresciano, che è settimestre eppur si direbbe di dieci, e a lui s'assomiglia come un còlibri a un rospo, quantunque i servi e gli amici, facendo ressa al neonato, o piuttosto alla balia, tròvingli tutti gli stessi occhi del putativo, il medèsimo naso, la eguale espressione (oh! questo sì, ché l'espressione era zero) e soggiunge un maligno — perché pelati ambidùe — «la idèntica capigliatura.» Sul che il barone, estasiato, un po' mira la bimba, un po' sé nello specchio, ed a ciascun complimento, quasiché gli toccasse, s'inchina tra il riconoscente e il borioso. L'idèa di aversi aquistato un erede, cioè un èssere che possa alternarsi a sua moglie nelle funzioni di quotidiano bojetto e gli debba augurare tègoli in capo a ogni passo, gli sembrar tanta piuma ogni passata durezza e gli insieme squadrare il futuro con sembiante di sfida. «Venite pure, aquazzonipar dica, «ho l'ombrella

Non taciuto peraltro, che Eugenia non è più quella di prima, o almeno sembra, con lui. Gli strapazzi iniquamente cercati durante la gravidanza, e da essi il laboriosìssimo parto, sono pagati, soldi e denari, con una di quelle malattìe violente, che dìconsi di caràttere. Prostrata dal male, la baronessa diventa zùcchero e miele. S'accòrgono allora gli amici nuovi che il vento s'è vôlto, e sfùmano bellamente innanzi agli antichi, che ricàcciano in fuori i cornetti. Eugenia non soffre al suo letto se non il marito,, anche un marito, tra i purganti e i clisteri, lo si può sopportare; essa non vuole che lui a rispianarle i lenzuoli, a ministrarle le medicine, ad appressarle e la coppa da bere e quella che beve. Ed egli, il buon uomo, che non osa staccarsi da lei, se non per sguardare alla succhiante puttina, veglia e notte al suo fianco e si sente inumidire le ciglia ad ogni mìnima frase d'Eugenia che arieggi la tenerezza.

«¡Vedi!» gli fanno gli amici in trionfo «¿vedi se non avevamo ragione? La pecorella è tornata...» «Tornata sì... per moriresinghiozza il barone, e sommove tutta la mèdica Facoltà, incomodando la Scienza fin da Parigi e da Londra, poi, quando scorge la Scienza, nell'intascarsi que' rotoletti che non pèsano mai abbastanza, scuòtere il capo, mette il sequestro su tutte le preci della città, solleticando, con àurei cuori e gemmati diademi, la femminile ambizione d'ogni più miracolosa Madonna, e adulando, a furia di tabacco celeste, ogni canonizzato naso.

Ma, per disgrazia, Dio gli la grazia. Un giorno, dalle pàllide labbra d'Eugenia, scoppia all'indirizzo di lui una ingiuria. Fu il primo sìntomo della di lei guarigione. Quel , Eugenia mangiò d'appetito una quaglia.

E quì le ricette cedendo ai ménus, con il fastidio pei fàrmachi Eugenia risente anche quello per il marito. Ella vuol già le sue facce. E già, sotto il fiuto dell'infermiere barone, pàssano i sòliti vigliettini, troppo fragranti per sapergli di buono e ricomìnciano le adùltere sciàbole ad ammaccargli gli intavolati. Ecco la Moda il suo trionfale reingresso sulla rivinta Natura. Più il male si allontanando, e più riavvicìnansi i ticchi, i capricci, le stramberìe, finché Eugenia si trova perfettamente restituita nella salute e nella condotta di prima.

Senonché, stavolta, il barone vede i propri malanni col cannocchiale invertito, ché, a temperargli il dolore, è il frutto dell'amor della moglie. Oh minuti di ore, trascorsi a pavoneggiarsi nella sua bimba appiccicata alle gonfie saldìssime poppe della nutrice che le prèmono in il nasettino o a dondolarla nella sèrica culla, canterellando in una voce stonata la ninna-nanna! oh strillisoavemente sgarbati! oh paradisìaci effluvi! oh insudiciatine gentili, tutta roba d'àngiolo!

E la bambina cresce prosperosìssima, come ogni cosa che provien dal peccato, dando di sé le più liete promesse, nella smania, ad esempio, di mostrar le gambucce, mentre il barone ha l'ineffàbile gioja di udire da quèi labbruzzi, sui quali un bacio ancor pena a star tutto, la loro prima bugìa: pappà. Anche la baronessa sembra volerle un ben matto. È la piccina un pretesto per mèttere in luce la grande; è il piattello, dirèi, che domanda e raccoglie l'elogio per la mammina. Lola è disputata fra i due innamorati parenti, i quali, come se i vizi che Dio le prodigò, non fòsser bastanti ad infiorarle la vita, spineggiàndola altrùi, garèggiano nell'assuefàrgliene nuovi. la rossigna par di capocchio intelletto: ella ha ben presto intuito il valore e l'impiego delle sue gattesche strofinatine, delle sue smorfie e stizzucce, de' suòi piantuccetti; poi, diventata la confidente del borbottare paterno in odio di donna Eugenia, e della pasquinesca imaginazione di mamma a spese di don Ferdinando, si , tra l'uno e l'altra, la spia delle continue vicendèvoli offese (aggiunti, si intende, i propri interessi in calunnia) e lucra sul dùplice tradimento una doppia mercede.

Ma, a un tratto, altra scena. Alle espansioni d'amore, agli entusiasmi materni, subèntrano iròniche sostenutezze, mute disapprovazioni, pèrdi sottintesi. ¿Che è ciò? È che dov'era una bimba stà una fanciulla, è che donna Eugenia non può vedere più in lei una popa da vestire e svestire (ché, quanto a figlia, non ne avèa mai visto) sibbene una donna, e quel ch'è più, una donna rivale. Infatti, gli smaliziati occhi di Lola càcciano già nel suo parco. Lola è stanca di lègger l'amore, e di sentimento ne ha appreso a memoria abbastanza; è stanca di aspettar l'amoroso dal buco della serratura o dalla cappa del caminetto; tanto più che s'è accorta, come i canarini di mamma, ragliando, guàrdino meno a occidente che non ad oriente. E invano, la baronessa si tien dalla sua, privilegiata alleanza, quell'arte che rende stàbile il desiderio con il continuo variar d'apparenza all'oggetto desiderando, la Moda. Con gioventù, la toeletta migliore è freschezza; solo ornamento, il nessuno. ¿Or voi credereste, voi sùdici colori, messi insieme in bottega, di vìncere quelli che improvvisa Natura? ¿or voi osereste, voi cristallini cocciuzzi dall'imprestato fulgore, compèter con gemme la cui luce è sguardo? E allora, la baronessa, impotente a superar la rivale, cerca di allontanàrsela, e come le sfugge di maritarla alla podagra di un vecchio, ché il terror del chirurgo ne azzitta nella fanciulla per qualche minuto il bisogno, colta da sùbiti scrùpoli, le riaccorcia le gonne (illudèndosi quasi di accorciarle anche gli anni) e le nega i teatri e le nega i passeggi, arrivando perfino a mutarle il chiassoso appartamentino dai petulanti balconi, più che casa strada, in una tàcita fila di stanze verso un cortile dalla inviolàbil gramigna. ¡Ma e sì! le manette non fanno che rattizzare la smania per la libertà. Lola è di quelle aquose ragazze, nate al martirio, che si consùman tacendo e sèggono in questa vita, secondo il divino inglese,

 

«come Pazienza sopra un monumento

sorridendo al Dolor...»

 

Lola non è rossa per nulla. Dunque, liti su liti tra le due donne da svergognare la più smarronata treccaja; dunque, tempeste, che vanno poi sempre a sfogarsi, annodate, sull'ùnico capo di don Ferdinando, tanto di fìsica ignaro da sostenerci le parti del parafùlmine. E i dispetti chiàman le offese, le offese le rappresaglie; vievìa, il diàpason dell'odio si eleva nella proporzione del cubo, finché, un , la mammina, in un ìmpeto di gelosìa, appoggia una solenne guanciata alla figlia, e la figlia, con meditata vendetta, ruba, fuggendo, il viceconsorte alla madre.

Così è, amici. E giacché la fanciulla ha ora pigliatobene la sdrucciolina, non sciuperemo, a seguirla, altro inchiostro. Ben s'indovina, senza troppa magìa, in su qual libro anderà Lola a finire.


 




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